
Mark Rothko (Markus Rotkowičs, Daugavpils (Lettonia) 1903 – New York, 1970) – Figlio di ebrei lettoni trasferito sin da piccolo a Portland in Oregon; il padre, a causa delle persecuzioni da parte dei cosacchi, grazie ai risparmi era riuscito a partire con la famiglia per l’America per sottrarre i figli a questa forma di miseria umana e, da sognatore qual era, era praticamente un farmacista colto che preferiva parlare di Dostojeskj e di Dickens piuttosto che fare conti. Pochi mesi dopo il trasferimento in America viene a mancare e i figli vengono cresciuti dalla madre: Markus studia nelle scuole ebraiche, legge ogni tipo di libro e suona il violino, ha un grande cuore e una bella parlantina; vince una borsa di studio per frequentare l’università di Yale, ma essendo ebreo gli venne richiesta la retta, scoprendo così che anche negli States la situazione non era diversa che nel vecchio continente. Abbandona così gli studi, seguendo la sua propensione per un’attività creativa, convinto del fatto che l’arte potesse cambiare il mondo.

Arriva a New York nel 1923; negli anni in cui imperversa il Jazz, crescono il mito di Hollyvood e la vita notturna, mentre lui amava Bach, Mozart e ricercava atmosfere opposte. Vagabonda, soffre la fame e per guadagnare un po’ di denaro insegna arte ai bambini della comunità ebraica, diffondendo l’idea che in arte non vi sono regole e che la pittura è una cosa naturale, come cantare. Lavora su grandi tele di canapa con pochi colori intensi e piccoli dettagli concentrando la sua espressione su emozioni di base: le sue forme planano sulla superficie, si espandono, acquistano intensità e poi muoiono quando rimangono da sole, quando nessuno le osserva, giungendo ad affermare che la pittura vive quando il pubblico la guarda.

Le sue sono linee abbozzate con colori spessi, scuri, e le tonalità diventano attori in scena; ha sempre presente in sé la tragica nozione dell’immagine che non sa come tirare fuori. L’arte, per Rothko, deve rappresentare il mondo, la sensualità, la freddezza e il senso del sentimento della tragedia umana, esprimendone le più importanti sensazioni. Il pubblico deve provare sconforto, deve piangere, confermandogli di essere riuscito a comunicare queste sensazioni; ma con la crisi del ’29, i pittori non ebbero vita facile e con la stasi del mercato dell’arte, essi dovettero lottare per trovare spazi.

Non attratto dai pittori suoi contemporanei, trova solo in Matisse qualcuno capace di dargli delle sensazioni, per la sua capacità di estrarre il colore dagli oggetti e questo lo conduce ad una crisi creativa e lo porta a rifugiarsi nei libri. In questo frangente scoppia la Seconda Guerra Mondiale e intuisce che il conflitto è un momento cruciale per l’arte: i fascisti imperversano in Europa e, dunque, tocca all’America agire non limitandosi solo ad accogliere gli artisti. Nell ’58 ottiene una commissione impossibile da rifiutare eppure, nonostante tutto, impiega molto tempo a confermarla per questioni ideologiche: il lavoro era richiesto dal più prestigioso ristorante di Manhattan (Il Four season) e la sua diventa, così, una sfida personale al consumismo, realizzando opere in contrasto con l’ambiente, aventi la forza e la potenza dei grandi Maestri del passato – che lui ammirava – in particolare Michelangelo, che lo impressionò alla vista della scalinata della biblioteca Medicea a Firenze.

Realizza grandi tele verticali con campiture orizzontali, che creano un’attrazione magnetica, intensa, che colpisce i sensi: le composizioni sembrano immobili, ma ad un’attenta osservazione, sembrano mettersi in movimento, espandersi, respirare, gonfiarsi come vele, lasciando immergere l’osservatore nell’opera ed emettendo una luce interiore, misteriosa e potente, destando sensazione di fatalità ed estasi. Tutti i Musei vogliono sue opere e viene considerato il più grande artista americano, accostato a Pollock e Kline ed è così costretto ad un periodo di riposo, dopo oltre un anno di lavoro, perché esausto. Le opere di Mark Rothko risulteranno tra le più belle dell’arte americana del Novecento e nel 1970, nove dipinti arrivano anche alla Tate di Londra.

Distrutto da alcoolismo, fumo, problemi polmonari e cardiaci e con il secondo matrimonio in crisi, inizia un ciclo di opere cupe, dipingendo il nero e dei grigi lattiginosi, quasi a rappresentare pianeti illuminati dalla luna che divide la luce dalle tenebre. Viene ritrovato senza vita, nell’atto finale di un percorso in cui si è sentito ignorato come persona e fisicamente segnato dalla depressione. Si suicida nel suo studio di New York. A seguito della sua morte la determinazione della sua eredità divenne oggetto di un famoso caso giudiziario e successivamente, fortuna di critica e di pubblico, portano dopo il 2000 le sue opere ad essere vendute nelle maggiori aste mondiali a prezzi record, diventando uno degli artisti dalle opere più costose, con punte di oltre 70 milioni di dollari.
[C.Piazza & Angela Greco]
sempre belle e interessanti queste lezioni, approfondimenti di cose che a volte passano come se scontate dalla nostra attenzione e che invece meritano uno sguardo più attento. grazie. bravissimi
grazie a te 🙂 !!!