Nel senso del terribile e del non finito di Michelangelo Buonarroti: San Matteo

Michelangelo,_san_matteo
Michelangelo Buonarroti, San Matteo (1506),

marmo. Firenze, Galleria dell’Accademia

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Un viso bloccato a metà nella pietra è un’immagine terribile e in effetti la celebre “terribilità” di Michelangelo, che connota la possessione di una forza impressionante, nasce qui, da questo unico apostolo non finito. Non c’è niente nella figura che alluda alla sua identità, a parte un libro, che rimane incastonato nella roccia rozzamente sbozzata come il resto del corpo. Solo il ginocchio sinistro dell’apostolo sporge a sufficienza per suscitare la speranza di riuscire a emergere fuori. La torsione angosciosa del corpo è la prima risposta di Michelangelo alla scioccante rivelazione del Laocoonte di sei mesi prima, che questa statua richiama a vari livelli.

Michelangelo scolpì il San Matteo frontalmente, da una sola parte del blocco. Vasari paragonò l’effetto a un modello immerso in un bacino d’acqua, che risale lentamente facendo emergere via via in superficie un arto dopo l’altro. E’ la statua stessa a rivelarci senza ombra di dubbio che è stata concepita per essere esattamente ciò che è, un “nonfinito”.

Il San Matteo è la prima dichiarazione michelangiolesca – precedente alle formulazioni poetiche – dell’idea platonica che la figura scolpita è prigioniera nel marmo. Secondo lo stesso pensiero, l’idea di bellezza dell’artista deriva direttamente dal Divino. Togliere il marmo in eccesso era un’operazione tanto intellettuale quanto materiale, se non ancora di più.

Michelangelo disegnò alcuni tipi di apostolo, ma nessuno direttamente collegabile al San Matteo. Si potrebbe pensare che l’artista disprezzasse i tradizionali preparativi che consistevano nel disegnare e fare dei bozzetti delle statue, preferendo entrare direttamente nel marmo per catturarne l’anima prigioniera che anelava alla libertà. Il risultato è una specie di metafora, forse inconscia, della creazione artistica come lotta. L’unico modo in cui Michelangelo la poteva mostrare era lasciare la statua incastrata a metà dentro la pietra.

(Giorgio Chiantini, liberamente tratto da “Il giovane Michelangelo” di John T. Spike)

Michelangelo,_san_matteo - Copia Michelangelo,_san_matteo

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“[…] L’attualità e la grandezza di Michelangelo non si misurano solo dalle sue opere ma dall’intera sua vita: l’artista celebrato e osannato, che tiene testa a papi e principi, è in verità profondamente solo, pieno di contrasti insolubili, che non sono tanto distanti dai contrasti e dalla solitudine dell’uomo di oggi. Sebbene di recente si sia puntato il dito contro l’avarizia e perfino la presunta disonestà dell’artista, che ne avrebbero fatto uno degli uomini più ricchi del suo tempo, quello che ci rimane di lui è la difficile coerenza del suo cammino, la radicalità delle sue scelte, l’emozione che suscitano le sue opere, che ne fanno certamente una delle grandi personalità della cultura europea.

Michelangelo non smette di sollevare insieme problemi e ammirazione come il suo autore più amato, Dante, i cui versi conosceva a memoria e che certo procurò in lui un’agonistica emulazione. Pur immenso nelle angosce e nelle speranze della sua epoca, Michelangelo trascende il tempo per parlare, anche all’uomo di oggi, di eros e salvezza, di malinconia e titanismo, di peccato ed eternità, di perfezione e incompiutezza, di sofferta vitalità e di un’amara, sconsolata meditazione sullo scorrere del tempo e la fine delle cose.” (Angela Greco, tratto da “La vita e l’arte” di Claudio Gamba in “Michelangelo, I grandi maestri dell’arte” – Skira 2007)

7 pensieri su “Nel senso del terribile e del non finito di Michelangelo Buonarroti: San Matteo

  1. La collaborazione con Giorgio Chiantini, che ringrazio di cuore per questa proposta del San Matteo di Michelangelo, è un frutto buono con solide radici comuni, quelle della passione per l’arte e per la poesia. Ho accolto con gioia questa sua lettura di un’opera che personalmente non conoscevo, aggiungendovi, in nome della bella collaborazione, qualche altro rigo su questo immenso artista, pietra miliare della nostra arte,in questo anno di grandi celebrazioni per il 450°anniversario della scomparsa (http://www.museicapitolini.org/mostre_ed_eventi/mostre/1564_2014_michelangelo)

    L’indubbia bellezza canonica della forma perfetta che la grande scultura italiana offre a piene mani, ha nelle incompiutezze di alcune opere, quasi una sorta di amplificazione, poiché inevitabilmente queste ultime rimandano la mente alle prime. Eppure, il senso del non finito apre le porte all’immaginazione, conducendo in un retroscena che, a parer mio, determina un differente e forse maggior fascino. Forse per questo motivo anche soltanto grazie all’immagine, sono stata catturata da quest’opera e dal suo tormento, ma ancor più da quella forza – che in effetti, si avverte empaticamente – di voler lasciare alle spalle il peso di una vita che blocca nella sua staticità e, finalmente, prendere forma autonoma ed indipendente dal creatore stesso anche in senso metaforico.

    AnGre

    1. Ringrazio Angela Greco per lo spazio collaborativo che mi ha lasciato proporre su questo blog e soprattutto della interessante e sensibile analisi che esprime nella lettura di questa particolare opera d’arte “nonfinita”.

  2. E’ davvero un poderoso sforzo quello che fa la figura per uscire dalla pietra… Come nei “Prigioni”, se non ci sono dichiarazioni di pugno di Michelangelo, difficile dire se è stato intenzionale o soltanto una pausa prima di essere finito. Le interpretazioni senza documentazioni, sono appunto interpretazioni. Anche io non conoscevo questo blocco scultoreo e mi ha fatto molto piacere conoscerlo attraverso “il SASSO NELLO STAGNO” grazie.

  3. Comunque parecchi racconti su Michelangelo, vengono presi da ciò che l’artista ha dettato al Convivi nei suoi ultimi anni di vita. Poi il crescere in una corte come quella del Magnifico accanto a personaggi come Marsilio Ficino, hanno fatto il resto. Infatti il concetto del non finito viene riproposto in quegli anni, proprio dagli studi platonici e dalle traduzioni di queste che ne da appunto il Ficino e che Michelangelo farà sue.

  4. Lieta che l’opera perpetri in pieno quel che si può leggere nell’ultima parte dell’articolo “Michelangelo non smette di sollevare insieme problemi e ammirazione”, continuando ad affermare al contempo grandezza dell’artista e coraggio di averne detto a suo tempo e continuarne a dire oggi a riguardo!
    Grazie per la competente partecipazione di Giorgio e di Augusto, che dimostrano senza riserve, come l’Arte, al di là di quanto la circondi, sia innanzitutto momento di aggregazione, di emozione e di condivisione.

  5. Il “non finito” è la caratteristica del genio. Come il “non luogo”, il “non nome”, il “non tempo”, ecc… L’astuto Ulisse crea un “non nome”, Nessuno, per ingannare Polifemo, e un “non luogo”, il cavallo di legno, per ingannare i troiani. Queste entità frutto di processi ricorsivi, speculari, inclusivi sono state usate anche da Gesù e Leonardo da Vinci. Michelangelo nella scultura diede origine al termine. L’Adorazione di Leonardo è un non finito e non un’opera incompleta, perché l’autore si ritrasse sul bordo destro (per chi guarda), mentre si dirigeva a Milano. Si rappresentò mentre usciva dal quadro, lasciandolo apparentemente incompiuto. La ricorsività è il sigillo del genio, come Archimede che per provare i suoi amici greci matematici gli mandava da dimostrare dei teoremi errati, e loro come sempre sostenevano di averne trovato la dimostrazione. Cfr. Ebook: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.

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