La Cappella Bessarione in Roma e il sogno di salvare Bisanzio a cura di Giorgio Chiantini – sassi d’arte

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La Cappella Bessarione sorge presso la Basilica dei SS.Apostoli in Roma. Casualmente rinvenuta nel 1959, a seguito di alcuni lavori di ristrutturazione dell’attiguo Palazzo Colonna, quando ebbi modo di vederla per la prima volta, circa tre anni fa, in una di quelle visite culturali a cui spesso partecipo, ne rimasi profondamente affascinato dalla bellezza e dai rimandi storici degli affreschi, comunque rimaneggiati, che si svelavano da quel luogo rimasto nascosto e perduto dalle successive costruzioni (altare di S. Antonio (1650), che Carlo Rainaldi addossò all’abside della cappella stessa, e costruzione dell’attuale Cappella Odescalchi (1719-23) di Ludovico Rusconi Sassi).

La cappella funebre del Cardinal Bessarione, dedicata alla Madonna e ai santi Michele, Giovanni Battista ed Eugenia, rappresenta uno dei luoghi più importanti per la storia della pittura del ‘400 a Roma. Gli affreschi furono eseguiti tra il 1464 e il 1468 da Antoniazzo Romano (Antonio Aquili) con la collaborazione di Melozzo da Forlì e realizzati per l’illustre umanista e cardinale da cui prende il nome la cappella stessa. Dalle descrizioni antiche sappiamo che il ciclo pittorico, cominciando dal basso, doveva comprendere le storie di Giovanni Battista (oggi perdute) e dell’arcangelo Michele (due, visibili), per culminare in alto con la presentazione dell’uomo a Cristo trionfatore circondato dalle nove schiere angeliche (solo in parte conservate). A tale riguardo, si fa notare che nella foto d’apertura, in alto, al centro, è possibile apprezzare la parte rimanente proprio del manto del Cristo.

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Particolarmente importante per il valore simbolico, storico e teologico è il grande affresco centrale dedicato a due celebri episodi legati alle apparizioni dell’Arcangelo Michele in due importanti luoghi del culto micaelico: a sinistra, è rappresentata l’apparizione dell’Arcangelo nelle sembianze di un toro presso la città di Siponto, nel Gargano; si riconosce la città con le sue mura e il paesaggio montuoso con la grotta di Monte Sant’Angelo sul Gargano dove, all’epoca di papa Gelasio I (V secolo), sarebbe apparso l’Arcangelo nelle sembianza di un toro, che miracolosamente respinse le frecce scagliate dagli arcieri e questa scena la si attribuisce ad Antoniazzo con l’intervento di Melozzo per la figura del toro e dell’arciere in abito viola sulla destra della composizione. A destra, invece, è affrescato il sogno di S. Auberto a Mont Saint Michel, nel golfo di Saint Malo in Bretagna.

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Quella di destra è una scena storica di più complessa lettura. La sottostante didascalia APPARITI O EIUSDEM IN MONTE TUMBA permette di ricondurre la pittura alla leggenda francese di S. Michele e alla sua apparizione in sogno a S. Auberto, vescovo di Avranches, rappresentato benedicente in sontuosi paramenti sacri al centro di una processione di dignitari. Aprono la processione, raffigurati in primo piano ed attribuiti alla mano di Melozzo da Forli, due prelati a capo scoperto e di spalle, vestiti con piviali d’oro arabescati, mentre sulla destra, si osservano due gruppi di sei frati francescani e cinque monaci basiliani orientali in abito nero. Sullo sfondo, l’insenatura marina con tre imbarcazioni; sulla destra, una collinetta, dall’alto della quale un toro legato ad un albero, che simboleggia lo stesso Arcangelo Michele, assiste alla scena, esortando gli astanti a fondare il monastero. Questa scena viene collocata sulla spiaggia di Mont Saint Michel per la presenza delle conchiglie visibili sulla spiaggia stessa, raggiungibile dalla costa a piedi solo durante la bassa marea.arcieri-2

Ultimamente ho trovato un rimando alla storia narrata da questi affreschi, leggendo il libro “L’enigma di Piero” di Silvia Ronchey, grazie al quale, pur nell’adattamento narrativo, ho ricollegato il momento storico a questi affreschi. La scrittrice, analizzando l’opera “La flagellazione” di Piero della Francesca, svela (dalla quarta di copertina): la teoria seducente che emerge da questa lettura, il genio politico dell’ultimo grande bizantino, Bessarione, rimanda a quell’11 settembre immensamente più devastante, sigillo dello scontro di civiltà fra cristianesimo e islam, che fu la caduta di Costantinopoli in mano ai turchi nel 1453. In questo contesto, la Flagellazione di Piero rappresenta il manifesto politico di un progetto maturato nell’Italia della metà del Quattrocento, l’estremo tentativo di salvare la culla della nostra civiltà, Bisanzio, garantendo la sopravvivenza in Occidente …mediante un’ultima crociata mai realizzata! (ndr).

[testo e fotografie di Giorgio Chiantini]

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Approfondimento tratto sito dedicato alla Cappella Bessarione in Roma.

Nel registro superiore è riapparso dopo il restauro una parte delle nove schiere angeliche, che circondavano la figura del Cristo trionfante, di cui non resta, purtroppo, nulla. Anche il coro degli angeli, ispirato non solo teologicamente alla tradizione medievale, viene attribuito ad Antoniazzo Romano e bottega in collaborazione con Melozzo da Forli. In alto si conserva un frammento superstite del manto di Cristo eseguito dallo stesso Antoniazzo e sebbene l’incarico risulti affidato a quest’ultimo, è indubbia la partecipazione ai lavori della sua bottega. Nell’insieme, il ciclo risulta artisticamente composito e la mano del maestro può chiaramente individuarsi solo nei personaggi posti in primo piano nella scena di destra. In queste opere Antoniazzo si rivela pittore versatile, influenzato nella perfetta sintesi di luce, forma e colore dal grande Piero della Francesca senza esasperarne la ricerca di prospettiva.

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Da notare lo scarto qualitativo e le differenze di esecuzione tra le due scene e il coro sovrastante: si passa dai magnifici ritratti della scena di destra, riconducibili alla cultura di Piero della Francesca e Benozzo Gozzoli, ad una mano più lineare e dinamica nella scena di sinistra, ai fondi di paesaggio dallo stile semplice ed ingenuo, ma ricco di suggestione ed infine lo stile, ancora influenzato dal gotico internazionale, di alcuni angeli della calotta (quelli di profilo e con la chioma a riccioli).

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La scena sembra rimandare al tentativo politico perseguito in quegli anni da Bessarione in accordo con papa Pio II Piccolomini, di coinvolgere Luigi Xl, re di Francia e all’epoca monarca dello stato più ricco e militarmente potente, in un’ultima crociata, che di fatto però non fu realizzata, per liberare Costantinopoli caduta in mano ottomana nel 1453 e per riunire in tal modo la chiesa latina e greca (rappresentate nella loro unità sull’affresco dalla presenza dei basiliani e dei francescani). Nella speranza di ottenerne l’appoggio, significativamente si attribuiscono al vescovo S. Auberto le sembianze del monarca francese. Di fatto, solo quest’ultimo per il dotto cardinale era in grado dì poter difendere la cristianità e liberare il toro, ossia S. Michele, rappresentato legato a causa dell’immobilismo della Francia. Tra il corteo dei partecipanti alla processione è possibile riconoscere due importanti personaggi dell’epoca di Bessarione: Francesco Maria Della Rovere, futuro papa Sisto IV, identificato nella figura alle spalle del santo vescovo, vestito dì rosso porpora, ed il ritratto del nipote dello stesso, Giuliano Della Rovere, futuro papa Giulio II, in abiti viola.

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 Fondamentale per la comprensione del ciclo pittorico è la personalità del suo committente, Giovanni Bessarione. Il monaco basiliano, nato a Trebisonda nell’odierna Turchia 1403 e morto a Ravenna nel 1472, viene a ragione considerata una delle figure chiave del Rinascimento italiano: illustre prelato e protagonista della scena politica contemporanea, fu soprattutto un importante umanista filo-platonico e uomo di cultura, la cui casa divenne presto un centro dell’umanesimo rinascimentale, luogo d’incontro tra letterati e studiosi. spiaggia-di-mont-saint-michel-con-le-conchiglie-e-prelati-con-piviali-dorati-arabescatiFamoso è il suo impegno per l’unificazione della chiesa orientale con la chiesa dì Roma (Concilio dì Ferrara-Firenze, 1438, e Concilio dì Mantova, 1459) e la sua incessante azione diplomatica, tesa alla creazione dì una lega offensiva per liberare Costantinopoli e difendere tutto l’oriente dall’espansionismo turco. Impresa, che non trovò tuttavia l’adesione dei Principi europei, i quali all’epoca consideravano troppo rischioso l’intervento, non più sostenuto dagli ideali religiosi delle prime crociate.L’ultima delusione in ordine dì tempo fu per Bessarione proprio il rifiuto da parte del potente monarca francese Luigi Xl di aderire all’impresa, alla realizzazione della quale aveva dedicato tempo ed energie. In questo senso, il ciclo pittorico della cappella funebre può considerarsi una sorta di testamento spirituale a cui il cardinale affida le personali convinzioni religiose e le speranze di un nuovo assetto religioso e politico del mondo contemporaneo.

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a sinistra, affresco originale staccato e conservato nella basilica; a destra, copia ricollocata nel luogo originale all’interno della cappella. La qualità non elevata dell’immagine è dovuta all’assenza di flash, ce ne scusiamo.

5 pensieri su “La Cappella Bessarione in Roma e il sogno di salvare Bisanzio a cura di Giorgio Chiantini – sassi d’arte

  1. Un articolo molto curioso ed interessante, questo proposto oggi da Giorgio Chiantini.
    Sicuramente una pagina di arte importante per conoscerne lo stato all’epoca del fiorire di una stagione significativa per Italia, quale fu il Quattrocento con tutti i prodromi del successivo momento a cui ancora oggi lo stesso Vittorio Sgarbi inneggia, sottolineando quella rinascita tutt’ora assolutamente necessaria. Ma la pagina odierna mi ha colpito soprattutto per il significato socio-storico di cui parla per immagini: il tentativo di salvare la millenaria civiltà di Bisanzio, della quale siamo ancora figli almeno noi greci che ancora abitiamo il sud Italia, l’ “impegno per l’unificazione della chiesa orientale con la chiesa dì Roma” tentato da Bessarione di cui oggi per caso abbiamo ritrovato i colori e il messaggio in questi affreschi che il Caso ha voluto riportare alla luce…
    Un tentativo che è facile col senno del poi – e alla luce di tutto quanto è accaduto e accade sotto i nostri occhi nello scontro di civiltà a cui giornalmente assistiamo – attribuire valore profetico da Cassandra, ponendosi la domanda se, magari, quella volta, non spezzando il legame con la nostra culla orientale, magari oggi potevamo vivere una realtà differente… Forse, chissà…
    Però è interessante che la pittura, l’Arte, apra a queste considerazioni sociali; considerazioni che saranno anch’esse perdute, come Bisanzio, quando nell’approssimarsi del Moderno, l’Arte basterà a se stessa, assolvendo solo una funzione nemmeno tanto estetica, quanto piuttosto egoistica, precorrendo i nostri temi così tronfi del loro stesso Ego…

    Oddio, forse sono andata fuori traccia…volevo solo dire che mi è piaciuta molto questa proposta 😉

    1. Assolutamente no Angela, non sei andata affatto fuori tema, anzi il tuo intervento ha avuto la capacità di spiegare e attualizzare problemi di allora con quelli di oggi. La storia ripete sempre i suoi schemi con fatti e ricorrenze che ciclicamente si ripresentano e in questa riflessione possiamo capire quanto divergenze di allora siano ancora simili e ricorrenti nella società di oggi.

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