“Chi ha fatto il turno di notte per impedire l’arresto del cuore del mondo? Noi, i poeti”
[Cfr. E.De Luca e I.Sarajlić, Lettere fraterne, Dante & Descartes, Napoli 2007]
Nell’assedio più lungo del 1900, nella Sarajevo degli anni Novanta, i cittadini andavano alle serate di poesia nel buio di una città senza corrente elettrica. Sperimentavano che in una guerra solo i versi sono capaci di correggere a forza di sillabe miracolose il tempo sincopato dei singhiozzi, il ragtime delle granate, l’occhio di un mirino addosso. I versi portano la responsabilità della parola ammutolita. I poeti leggevano o dicevano a memoria il loro canto da una città assediata. […] I poeti facevano il turno di notte in Sarajevo per impedire l’arresto del cuore del mondo.
La biblioteca, manufatto magnifico dell’arte islamica in Europa, era in frantumi e in cenere. L’artiglieria degli assedianti centrava monumenti, cimiteri, moschee, per cancellare dal suolo ombra e radice della parte avversa. Le parole erano emigrate dai libri bombardati, giravano alla cieca le pagine invisibili, mentre dalle colline si accendevano le fiammelle degli spari dei cecchini. I poeti facevano il turno di notte.[…] (dalla Prefazione di Erri De Luca, Izet Sarajlić – Chi ha fatto il turno di notte, Einaudi)
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Fosse almeno l’anno 1993
(Luglio 1998)
(1987)
tratte da Izet Sarajlić – Chi ha fatto il turno di notte (Einaudi, a cura di Silvio Ferrari)
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Izet Sarajlić (Doboj, 16 marzo 1930 – Sarajevo, 2 maggio 2002 – qui in foto con Erri De Luca), nato nella Bosnia settentrionale, da famiglia musulmana, si trasferisce nel 1945 a Sarajevo, dove consegue la laurea in lettere alla facoltà di filosofia. Fondatore nel 1954 del “Gruppo 54”, movimento d’innovazione poetica, è anche uno fra gli organizzatori delle “Giornate poetiche di Sarajevo” nel decennio successivo; è stato un rinomato e pluripremiato scrittore jugoslavo, conosciuto anche nei paesi dell’allora Patto di Varsavia e spesso invitato come personalità culturale nella stessa Mosca. Durante la guerra in Bosnia (successiva allo scioglimento della Jugoslavia) e l’assedio di Sarajevo, fu una delle pochissime personalità a voler rimanere nella città a cui era molto legato, che apprezzava principalmente per il carattere laico e multietnico. Subito dopo la fine degli eventi bellici perderà la moglie. Nel 1997 fu spinto verso Salerno per via dei legami di amicizia avuti con Alfonso Gatto . L’ultimo premio (il “Moravia”) lo riceverà in Italia nel 2001 per la raccolta “Qualcuno ha suonato”. Dal 2002 Casa della poesia organizza a suo nome un festival internazionali di poesia nella capitale bosniaca. (da Wikipedia)
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– nell’immagine, Le rose di Sarajevo, nel centro della città, sono le tracce a forma di fiore lasciate sull’asfalto dalle granate e pitturate in rosso dopo il conflitto –
Belle, mi piacciono.Grazie.
Grazie per la lettura! Sono versi scritti così vicini alla nostra terra, che quasi li avvertiamo come il cerchio concentrico più esterno di uno stesso sasso che siamo tutti…o, così, è la poesia…🌹
Sì, credo così.. sassi dello stesso stagno 🙂
anche tu hai scelto il poeta bosniaco che tanto mi piacque, l’intera raccolta è bellissima: a Serajevo sparavano e morivano, ma un poeta è riuscito a vegliare facendo il suo lavoro
il poeta veglia, osserva e preserva la memoria…che grande insegnamento! chissà quanti, soffermandosi su questo aspetto della poesia, continuerebbero a scriverne, sapendo che grande fardello emotivo, sociale e storico comporta! Grazie, Flavio. Anche per la lettura e questa partecipazione.
E questi versi, potrebbero, anzi si adattano benissimo, al periodo che stiamo vivendo…. la poesia… 😍 💝
Giorgio! Felice di questo tuo commento!! Sempregrata alla Poesia che ci avvicina 💕 grazie della lettura!