Riproponiamo: Guido Reni, San Michele – sassi d’arte

……….“Una pittura argentea capace di raggiungere livelli straordinari di intensa delicatezza fissando i canoni di una bellezza virtuosa, una bellezza che si propone come modello estetico e morale. Immerse in un idealismo classicheggiante, le opere di Guido Reni ripercorrono i sentieri idilliaci del mito e della storia antica con uno sguardo di stima verso l’eredità culturale del Rinascimento. Una ricerca del vero necessaria e fortemente voluta, ma depurata dei suoi aspetti più volgari fino alla sublime rappresentazione del vero ideale.

Quel sottile e fragile equilibrio che cerca di mediare la purezza del divino con l’oscurità del vero si evince da ogni sua opera capace di coniugare l’ esigenza di verità caravaggesca con il divino classicismo di Raffaello nel complesso confrontarsi con la tradizione. Vesti fruscianti, delicati panneggi, volti fanciulleschi testimoniano l’alto senso della bellezza risultato finale di un approccio conservatore che ripropone la monumentalità antica ed il naturalismo contemporaneo.”[dal sito finestrasullarte]

In via Veneto, a breve distanza da piazza Barberini, sorge la chiesa di S. Maria della Concezione fatta edificare nel 1624 dal cardinale Antonio Barberini, cappuccino e fratello del pontefice Urbano VIII (1623-44). Sull’altare della prima cappella a destra è esposto uno splendido dipinto ad olio su seta raffigurante “San Michele che abbatte il demonio”. Fu eseguito intorno al 1635, su commissione del cardinale sopracitato, dal bolognese Guido Reni, uno dei massimi esponenti del classicismo, famoso anche per il suo carattere stravagante: molto ricco ed avvenente, il pittore amava il gioco d’azzardo ed era capace di passare delle intere notti a giocare a carte, aveva estrema cura del suo aspetto e qualche fobia, come quella di vivere nella continua paura di essere avvelenato.

Michele – capo supremo dell’esercito celeste, degli angeli fedeli a Dio, il cui nome significa “chi come Dio?” – l’arcangelo impegnato nella lotta contro il male, è rappresentato da Reni come un giovinetto di rara bellezza, forte e delicato al tempo stesso, che, con la spada sguainata, respinge all’inferno un irritato diavolo, di cui calpesta il capo con il piede; il quadro suscitò l’ammirazione dei contemporanei, ma anche un vespaio di polemiche all’atto dell’esposizione nella chiesa dei Cappuccini.

Occorre ricordare che, tra le famiglie romane del Seicento, spiccavano i Barberini ed i Pamphili, sempre in competizione tra loro per affermare il proprio prestigio. Secondo quanto si racconta, Guido Reni venne a sapere che il cardinale Giovanni Battista Pamphili, il futuro papa Innocenzo X (1644-55), in qualche modo gli aveva arrecato offesa o, forse, lo aveva diffamato, parlando in maniera poco felice dell’artista, ragione per cui Reni, si racconta, mise in atto una subdola vendetta.

L’artista avrebbe inserito il ritratto del cardinale sulla tela precisamente nel volto, contratto da una smorfia di dolore, di Satana schiacciato dal piede dell’Arcangelo Michele. In effetti, la somiglianza può essere verificata (foto qui sotto) confrontando questo dettaglio del volto del diavolo nel quadro di Reni con il ritratto di Innocenzo X eseguito da Diego Velasquez: stesso volto altezzoso, uguale fronte stempiata, simile persino il taglio della barba. Una tale mancanza di rispetto per un Pamphili, inoltre, avrebbe certo fatto piacere al committente dell’opera, appartenente alla famiglia rivale dei Barberini. L’artista così si espresse, circa la realizzazione dell’opera: “Vorrei aver avuto pennello angelico, o forme di Paradiso per formare l’Arcangelo, o vederlo in Cielo; ma io non ho potuto salir tant’alto, ed invano l’ho cercato in terra. Sicché ho riguardato in quella forma che nell’idea mi sono stabilita e dovetti dipingerlo secondo la mia fantasia. Il demone invece l’ho incontrato parecchie volte, l’ho guardato attentamente e ho fissato i suoi tratti proprio come li ho visti”.

Nella mente geniale dell’artista l’idea chiara e definita che il bene – personificato da San Michele – abbracci il bello, accompagna la mente dell’osservatore verso la comprensione della più antica lotta tra bene e male, in contrapposizione con lo sguardo demoniaco di Satana, così fortemente espressivo, testimone della sconfitta ormai sopraggiunta. Ma questo sguardo nasconde, forse, una personale vendetta dell’artista nei confronti di un potente uomo di Chiesa? Non era certo colpa sua se il Cardinale Pamphili somigliava alla sua visione di Satana in modo così imbarazzante! Si giustificò Guido Reni al cospetto del Cardinale stesso, che, vedendosi ritratto in sembianze demoniache, protestò vivamente nei suoi confronti. Certo è che il cardinale si pentì di aver riservato all’artista parole ben poco piacevoli sul suo operato artistico. Quando, nel 1644, Giovanni Battista Pamphili salì al soglio pontificio con il nome di Papa Innocenzo X, Guido Reni era già morto da due anni e ormai al sicuro da qualsiasi possibile vendetta. Ma se l’arte, la vera arte, è eterna, allora la vendetta dell’artista avrà ancora lunga vita.

[Giorgio Chiantini – adattamento fonti varie dal web]

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