Yves Tanguy, Giorno dell’indolenza, 1937
olio su tela, cm 92 x 73 – Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre G. Pompidou
*
Nel surrealismo, il paesaggio acquisisce una nuova dimensione e vive, nel contesto della storia di questo genere artistico, una delle sue più singolari metamorfosi. Il paesaggio surrealista potrà essere meglio compreso sullo sfondo della nuova immagine della natura che si riflette nell’arte moderna. Non solo sul piano formale, ma anche a livello di contenuti, la rappresentazione perde di chiarezza; una perdita, però, che va a compensare con una notevole totalità estetica. Non è più necessario che la natura si presenti davanti ai nostri occhi, perché può trovare spazio dentro di noi, nel nostro mondo onirico, nella nostra psiche.
Fra gli scenari surrealisti ricorrenti si annoverano paesaggi con ampie pianure desertiche, popolate di oggetti insoliti, immagini antropomorfe, configurazioni di cristalli, metamorfosi di persone e cose, oggetti che fluttuano in uno spazio sotto vuoto solcato da prospettive bizzarre e al di sotto di un freddo cielo che fa pensare a un’ambientazione extraterrestre. A partire dal 1926, fu il francese Yves Tanguy a distinguersi per la creazione di questi panorami onirici; le sue opere sono infatti attraversate da un orizzonte sconfinato, fatto di zone opaline, caliginose e fumose, che mette in risalto l’immensità di un pianeta le cui strutture striate fanno pensare a un terreno un tempo naturale. Un tempo di cui resta un vago ricordo appena, non soltanto a causa dello staffage (corredo delle figure accessorie nella pittura di paesaggio) di fantasmi divenuti utensili e forme bizzarre, ma anche in ragione dell’indeterminatezza spazio-temporale. Nel Giorno dell’indolenza, Tanguy dà forma a uno scenario il cui misterioso carattere visionario viene ulteriormente enfatizzato dal fatto che gli elementi figurativi si stagliano con cristallina precisione su uno sfondo suddiviso in zone, che l’osservatore non può fare a meno di associare a uno sconfinato paesaggio desertico. Per di più questi “personaggi” surreali proiettano ombre nere, suggerendo in tal modo un’idea di spazio che appare a dir poco improbabile in questo mondo alogico.
Gli abituali criteri di distinzione spazio-temporale non sono applicabili a un paesaggio così anonimo, in cui le qualità estetiche sembrano perdersi in un vuoto apocalittico. Da un punto di osservazione estremamente elevato, come quello che caratterizzava i paesaggi panoramici antichi, il nostro sguardo cade su questo terreno che trasuda indifferenza, e perciò appare minaccioso, illuminato da una luce cosmica parimenti inquietante.
Nei “paesaggi” di Tanguy, la vista spazia attraverso un mondo dotato di una struttura criptata che non è possibile interpretare secondo criteri logici o razionali e la nostra prospettiva dall’alto non ci dà l’impressione di dominarlo, poiché in questa realtà non c’e nulla che possa essere dominato. Si tratta di un mondo che assorbe il nostro sguardo e vi oppone i propri codici, i quali a loro volta trasferiscono la questione del significato dell’uomo e del mondo nell’ambito della psiche. Serbando in sé le vestigia di una realtà visuale, questo mondo si caratterizza come una sorta di terra di confine, in cui gli elementi onirici si trasfondono nella realtà con precisione allucinatoria e i brandelli di realtà assumono la consistenza del sogno.
(tratto da Paesaggi di Norbert Wolf edito da Taschen)