Pensando a te…

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Incontro di Karen Blixen

Ah, quando sei lontano e nessuno
più nomina il tuo nome –
quando ovunque mi rechi sento
cupo e gelido un vuoto –

comincio a credere che tu sia solo un sogno
nato dalle brame della mia mente,
e a questo sogno ho dato vita e nome
e in ultimo il tuo aspetto –

– ma quando poi ti vedo e posso
sentire ancora le tue forti parole,
e posarti ancora il capo sulla spalla –
ascoltare ancora il suono della tua voce –

allora so che il resto è solo notte,
malvagi sogni che presto scorderò,
so che tu mi porti nella luce
e che in te dimorano la vita e il giorno

~

Il tuo cuore lo porto con me di Edward Estlin Cummings 

Io porto il tuo cuore in me (lo porto nel
mio cuore) non lo lascio mai (ovunque
vado tu vai, cara: e quel che faccio
io da solo lo fai tu, tesoro mio)
non temo
fato (tu sei il mio fato, mia dolce) né
voglio il mondo (bella, mio mondo, mia fedele)
tu sei quel che luna sempre fu
e quel che un sole sempre canterà sei tu
qui sta il più grande segreto che nessuno sa
(qui l’intima radice e bocciolo e cielo
di un albero chiamato vita; che cresce
più alto di quanto anima speri e mente
celi) e questa meraviglia regge le stelle
io porto il tuo cuore (lo porto nel mio cuore)

~

Parlare di Paul Eluard

Parlare
senza avere niente da dire
comunicare
in silenzio
i bisogni dell’anima
dar voce
alle rughe del volto
alle ciglia degli occhi
agli angoli della bocca
parlare
tenendosi per mano
tacere
tenendosi per mano.

~

Penso a te nel silenzio della notte di Fernando Pessoa

Penso a te nel silenzio della notte
quando tutto è nulla,
e i rumori presenti
nel silenzio sono il silenzio stesso,
allora solitario di me, passeggero fermo
di un viaggio senza Dio, inutilmente penso a te.
Tutto il passato in cui fosti un momento eterno
è come questo silenzio di tutto.
Tutto il perduto, in cui fosti quel che più persi.
è come questi rumori,
tutto l’inutile, in cui fosti quel che non doveva essere,
è come il nulla che sarà
in questo silenzio notturno.
Ho visto morire o sentito che morirono,
quanto amai o conobbi,
ho visto non saper più nulla di quelli che un po’ andarono
con me, e poco importa se fu un’ora
o qualche parola;
o un passeggio emotivo e muto,
e il mondo oggi per me è un cimitero di notte,
bianco e nero di tombe e alberi e di chiardiluna,
ed è in questo quiete assurda di me e di tutto
che penso a te.

*

In apertura: foto di Henri Cartier-Bresson

Mezzogiorno a Caloveto di Angela Greco AnGre su Laboratorio Camenzind

Caloveto ph.AnGre 2023 - 1 A

Un racconto di viaggio pubblicato su Laboratorio Camenzind – Percorsi di antropologia meridiana di Tommaso Greco che ringrazio di cuore.

Clicca Qui per l’articolo completo di foto e per conoscere il Laboratorio

“Quando un’amica che si trova in vacanza in Calabria passa “a trovarti” nel tuo paese, sapendo che non ci sei…e riesce persino a trovarti! Cose che riescono soltanto a chi ha dimestichezza con la poesia….come Angela Greco AnGre (preciso: non siamo parenti!), che ringrazio per questo bellissimo omaggio a Caloveto.” (Tommaso Greco)

***

Di ritorno da Le Castella, direzione Taranto, attraversando l’abitato di Mirto ritrovo quel cartello dell’andata, Caloveto, il paese di Tommaso. C’ero passata molte volte lungo quel tratto della SS106 Jonica, ma se non avessi ascoltato la presentazione del suo libro, letto qualcosa su di lui e guardato qualche foto sul suo profilo social, non avrei mai seguito quella strada.
Inizia la salita: l’alveo sconfinato di un fiume un tempo generoso e oggi ridotto a guardiano silenzioso della valle, boschi di eucalipti, fiori selvatici, colline e colline, salite e curve fino al fatidico cartello di benvenuto. Appena oltre la linea spezzata delle montagne, lo Jonio si lasciava ammirare anche con la foschia di quella mattina. Lo avevo visto proprio in una foto scintillare azzurro in lontananza alle spalle della terra ed era stata anche quell’immagine a portarmi a Caloveto, pur non avendo la minima idea di come giungere al punto di quella visione. Né avevo voluto chiedere nulla a Tommaso, che poco credeva al fatto che qualcuno potesse andare a visitare il suo paese senza nemmeno che lui fosse presente.
.
Una strada giunge in piazza. Una fontana zampillante accoglie il visitatore, in una vicinanza di botteghe e luoghi della vita comunale. I forestieri non passano inosservati. Subito saluto un signore sulla soglia di un tabacchino; chiedo se è possibile parcheggiare lì nei pressi e, magari, dove si può mangiare qualcosa. Ed ecco svelarsi lo stupore, quello stesso di Tommaso, che qualcuno avesse raggiunto quel sereno e silenzioso centro di un mondo che sembrava uscito da un romanzo d’inizio Novecento. Qualche indicazione, un saluto sorridente e via, a visitare stradine in pendenza che già mi agitavano pensando alla risalita, ad osservare gli esterni di case colme di tempo trascorso e immutabile attesa, incrociando gatti diffidenti e bimbi simili, che hanno salutato solo in presenza dei genitori. Ero nella parte storica del paese, quella che guarda dritto verso lo Jonio. Le case, una accanto all’altra, serene e mute, sembravano incoraggiarsi a vicenda. E tra quei colori terrosi – così vicini a quelli dello sperone argilloso rosso alla base e cretaceo alla sommità, su cui sorgeva Caloveto e che incuteva rispetto affacciandosi dal dirupo – timide primule gialle a bordo strada svelavano aspetti poco in vista della natura del luogo.
.
Le stradine, che proseguivano dalla chiesa matrice in direzione vallata, terminavano su una strada costeggiata da una balconata; signore di passaggio salutavano per prime, sorridendo a chi stava scattando foto da quello che sembrava essere il belvedere, dove un tetto dagli embrici ormai divelti raccontava più di tante parole. Dopo tantissimi anni tornavo ad ascoltare un orologio che batteva le ore e i quarti – uno, due e tre. Fotografie, tante: ai gatti, alla valle, alle nuvole, alla ringhiera di ferro che curvava simile al letto del fiume verso il mare…Un paio di ore sono giusto il tempo di catturare qualche dettaglio e si spera un’emozione magari da riuscire a trasmettere, poi, ad altri.
.
Man mano che torno a percorrere le viuzze a ritroso per tornare in piazza, mi fermo ad osservare meglio le abitazioni e dietro finestre socchiuse immagino i gesti quotidiani, le voci, i rumori e persino le tendine che abbellivano quei vetri ormai in frantumi. La curiosità mi porta a guardare dietro una porta fatta di assi di legno, attratta da uno spiraglio dal quale si intravedeva un esterno con vegetazione spontanea. Abituati gli occhi alla penombra, una grande mola, con le ruote ancora in situ, mi parla di una realtà ancora vivissima, quella agricola, che avevo constatato nel salire al paese, vedendo le podoliche al pascolo. Mi lascio meravigliare dallo stato di abbandono e immagino qualcuno intento a raccontare ai bambini ancora le storie di quel luogo. Un piccolo frantoio abbandonato, invece, raccontava a me, in silenzio, persino delle divinità greche, che in Calabria abitano ancora.
.
Era ora di tornare.
Nei pressi della chiesa madre, mangio un panino al volo, seduta su una panchina verde dalla quale si vede l’orologio non in perfetto orario e le nuvole che si affacciano sulla vallata in uno strepitio di rondini che volano vicinissime. E rimango a pensare alla signora dell’alimentari che, con il suo bel sorriso, mi aveva chiesto: “Ma avete qualcuno al paese?”, una magnifica perifrasi per domandarmi cosa ci facessi in quel posto tranquillo, che tra metà luglio e metà agosto, però, tornava ad animarsi di persone e situazioni da bella stagione. “Un amico, che è nato qui, ma ora vive e lavora al Nord.” Ho salutato sorridendo, pensando a Tommaso, che se fosse stato lì, non ci avrebbe messo molto a presentarmi tutte le persone che conosceva.
Magari quest’estate ci torno.
Per ora porto con me questa sensazione di tempi perduti per tanto, per tanti, ma non per il cuore.
.
Angela Greco AnGre 

Konstantinos Kavafis, due poesie

mare viola

Konstantinos Kavafis, due poesie

*

Voci

Voci ideali e amate
di quanti sono morti, di quanti
sono per noi perduti come i morti.

A volte ci parlano nei sogni,
a volte le ode la mente tra i pensieri.

Col loro suono riemergono un istante
suoni della poesia prima della vita –
come di notte una musica
che in lontananza muore.

~

Mare al mattino

Fermarmi qui. Per vedere anch’io un po’ di natura.
Luminosi azzurri e gialle sponde
del mare al mattino e del cielo limpido: tutto
è bello e in piena luce.

Fermarmi qui. E illudermi di vederli
(e davvero li vidi un attimo appena mi fermai);
e non vedere anche qui le mie fantasie,
i miei ricordi, le visioni del piacere.

Tre poesie dedicate al mare

libri-mare

IL MARE 

Acqua docile al freno, sottomessa in silenzio,
Sparso mare dai flutti per sempre incatenati,
E massa offerta al cielo, specchio dell’obbedienza
Dove ogni notte tesse nuove pieghe
La lontana potenza senza sforzo degli astri.
.
Quando viene il mattino e di sé colma lo spazio,
Essa raccoglie e rende il dono della luce.
Si posa in superficie un brillìo lieve;
L’acqua, in attesa e senza desiderio,
Sotto il giorno che cresce risplende e si cancella.
.
Il riflesso serale darà all’ala sospesa
Fra cielo ed acqua un lucrore improvviso.
Trattiene in basso la legge sovrana
L’onde oscillanti, fisse alla distesa
Dove ogni goccia sale e scende alterna.
.
La bilancia dai bracci segreti e trasparenti
D’acqua si pesa, e pesa schiuma e ferro,
Di per sé giusta ad ogni barca errante.
Un filo azzurro traccia sulla nave un rapporto,
Esatto sulla sua linea apparente.
.
Sii propizio, ampio mare, agli infelici mortali,
Stretti ai tuoi bordi, persi nel tuo grande deserto.
A chi è per sprofondare parla, prima che muoia;
Éntraci fino all’anima, acqua, sorella nostra:
Degnati di lavarla dentro la tua giustizia.
.
da Le poesie di Simone Weil  (a cura di Maura Del Serra, Ed.C.R.T. by Petite Plaisance)
.
.

L’UOMO E IL MARE 

Sempre, uomo libero, amerai il mare!
È il tuo specchio il mare: ti contempli l’anima
nell’infinito volgersi delle onde
e il tuo spirito non è abisso meno amaro.

Con piacere ti tuffi in seno alla tua immagine,
l’abbracci con lo sguardo, con le braccia, e il cuore
a volte si distrae dal proprio palpitare
al rumore di quel pianto indomabile e selvaggio.

Siete discreti entrambi, entrambi tenebrosi:
inesplorato, uomo, il fondo dei tuoi abissi,
sconosciute, mare, le tue ricchezze intime,
tanto gelosamente custodite i segreti!

Eppure, ecco che da infiniti secoli
vi combattete senza pietà e rimorso,
a tal punto amate le stragi e la morte,
o lottatori eterni, o fratelli implacabili!

Charles Baudelaire, da “Spleen e Ideale”, in “I fiori del male” (Trad. Marcello Comitini)

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S’ODE ANCORA IL MARE

Già da più notti s’ode ancora il mare,
lieve, su e giù, lungo le sabbie lisce.
Eco d’una voce chiusa nella mente
che risale dal tempo; ed anche questo
lamento assiduo di gabbiani: forse
d’uccelli dalle torri, che l’aprile
sospinge verso la pianura. Già
m’eri vicina tu con quella voce;
ed io vorrei che pure a te venisse,
ora, di me un’eco di memoria,
come quel buio murmure di mare.
.
Salvatore Quasimodo, Tutte le poesie (Oscar Mondadori)

Roberto Bertoldo, quattro poesie da Il popolo che sono.

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Roberto Bertoldo, Il popolo che sono (Mimesis, Milano 2015), quattro poesie

.

Io parlo poesie
.
Io parlo poesie come i fabbri schegge
e festuche i falegnami,
amo per quel diluvio
che non potete dimenticare,
vivo come i veggenti,
scrivo da passatore.
Ho spade di legno
e l’arca di ferro,
una pagina di idee
e altri materiali sul ceppo.
Conosco la morte
perché è stata sulla penna
che ha scritto ‘bambini’,
conosco le mani disonorate
perché il vento vi ha inciso
le sue folate,
so dei rapaci che volano bassi
più della mia colpa
e aspettano che forgi il verso
di cui farmi sepolto.
Ma io ho, dentro di me,
il popolo che sono.
.
.
.
I distici della notte
.
Vi abbiamo addossato le nostre tomaie
per affrancarvi dalla parola venduta,
la poesia ha decretato l’offesa:
non morirete con il canto alla gola,
le nostre mani che hanno terra
tra le fessure delle falangi
gridano con gli ultimi tendini,
fino a troncare il colore pingue
dei vostri aggettivi.
La notte opprime i distici,
vuole un’ampia dichiarazione,
impoetica per di più.
Sulla grata del confessionale
i versi si frantumano,
la tonaca si macchia di rime
e accessori annessi,
il rosario che sproloquia
sulle gambe del messia
sputa i semi delle metafore.
Qualcuno ha gridato la verità
più fortemente delle vostre lamentele,
nababbi di apollo,
gentilizi dell’anima.
Oh poeti, poeti, quale emblema
il mio osso di popolo vi estorce
quando la bocca avete sulla platea
per la tenia degli applausi?
.
.
.
Poema delle folate (il popolo tradisce)
.
Si sono riaperte, dentro, le note della malinconia
per il perdersi dei giorni
forse qualcuno capirà questa spesa di emozioni
e avrà carezze per i marmi
ma le notti di solitudine nascondono la pelle
come fosse mille volte dietro i ceri
e file di pellegrini dalle mani bacate
non riempiranno d’amore la cesta dove crolla il mio capo.
Chi mi ha ucciso conosce i rantoli
li porta sul sorriso della sua lama
e chi ha assistito alle folate dei secoli
tra i miei capelli sepolti
sa che gli inverni portano ancora
i fiocchi freddi dei deserti.
.
.
.
Iraq
.
Fatemi delirare l’amore
prima di sorprendere i mercati
coi vostri deliri di glicerina nitrata,
io li conosco gli avventori,
i loro occhi, la bocca e lo scarnito,
la fame che farfugliano,
rinvengo le verità e le altre carabattole
nel campo delle mie aritmie.
Oh, questi versi che marciscono
per troppa passione, tra le mie scapole
incontrano la notte che ghermisce.
.
.

popolo

Rileggiamo l’opera: Pisanello, San Giorgio e la principessa – sassi di arte

Pisanello (Pisa, ante 1395 – Napoli, 1455 circa), San Giorgio e la principessa, affresco,  1433-1438 circa.

Pisanell- Affresco intero

Antonio di Puccio Pisano, meglio noto come Pisanello (Pisa, ante 1395 – Napoli, 1455 circa), realizzò San Giorgio e la principessa con la tecnica dell’affresco tra il 1433-1438.

Di dimensioni intere pari a cm 223 x 620, l’affresco, che doveva far parte di un ciclo oramai andato perduto, è stato riportato su tela ed ubicato, insieme alla corrispettiva sinopia, nella cappella Giusti della chiesa di Sant’Anastasia, nel centro storico di Verona. Il Pisanello realizzò questa famosa ed importantissima opera sulla parete esterna di un’altra cappella, situata nel transetto destro della stessa chiesa, assegnata alla famiglia Pellegrini e descritta con vera enfasi ne “Le Vite” dal Vasari (1568): “Et per dirlo in una parola non si può senza infinita meraviglia, anzi stupore contemplare questa opera fatta con disegno con grazia, e con giudizio straordinario”.Pisanello - Part. di lucertola e scorie cibo drago

Dunque, l’affresco di San Giorgio e la principessa è la sola opera superstite dell’assai più vasto impianto pittorico decorante la cappella Pellegrini, come si evince dalla dettagliata descrizione vasariana. A complicare le cose, intorno alla fine dell’Ottocento, a causa d’una grande infiltrazione d’acqua piovana, anche il dipinto del Pisanello subì gravi danneggiamenti (soprattutto la zona del drago in agguato), tanto che si decise di staccarlo dalla parete e di trasferirlo su telaio per essere sottoposto a restauro.

Pisanello - Part. di San Giorgio e la principessa

L’opera costituisce una delle espressioni più alte dell’arte di Pisanello e ha come soggetto San Giorgio, mentre, dopo aver riverito la principessa, si appresta a risalire a cavallo per correre a sconfiggere il drago. Il santo appare splendidamente rappresentato nei suoi preziosi abiti cavallereschi, con un piede già nella staffa e la mano sinistra nell’atto di reggersi alla sella prima di spiccare il balzo per salire a cavallo. È da notare come la meticolosa e quasi ossessiva ricerca del particolare contribuisca a conferire alla scena una dimensione irreale e senza tempo. La tetra presenza dei due impiccati sullo sfondo finisce per perdere ogni drammaticità, come se si trattasse di pupazzi anziché uomini (nelle rappresentazioni non solo pittoriche, ma soprattutto nella vita reale di quei tempi, spesso facevano parte del paesaggio figure e visioni macabre lasciate in vista, come monito per la popolazione).

Pisanello - Particolare della nave edegli impiccati

Il fiabesco svettare delle architetture tardo-gotiche che appaiono all’orizzonte, contro un cielo blu intenso, perde qualsiasi intento realistico e si trasforma in un gioco di linee e colori; lo stesso avviene anche con gli animali, la cui meticolosa realizzazione sembra farli emergere da un trattato di zoologia. Nessuno, prima di Puccio Pisano era giunto ad un’analisi del mondo naturale così accurata, come testimonia la sua vastissima produzione grafica. Famosi sono, infatti, i suoi studi-disegno dal vero di personaggi e animali, tra i migliori dell’epoca, superati solo sul finire del XV secolo dall’occhio indagatore di Leonardo da Vinci e successivamente di Albrecht Dürer.

Pisanello - Part. di sinistra col drago e destra con testa

L’elegante profilo del volto della principessa si ricollega con l’attività medaglista che Pisanello svolgeva parallelamente a quella di pittore, derivante da un vivace disegno dal vero realizzato a penna e inchiostro su una traccia preparata a matita; ciò che più colpisce è la fluidità della linea di contorno, che dalla fronte giunge al naso, descrivendo morbide curve che richiamano la lettera “S”. Questa linea non è realistica ma conferisce al profilo un’espressione intensa e pensosa di serenità, mentre la complicata acconciatura, che sembra ispirarsi alla moda delle ricche dame del tempo, al contempo si trasforma in un irreale turbante con funzione decorativa.

Pisanello - Part. dei personaggi

È in questo continuo contraddittorio rapporto, tra osservazione minuziosa degli elementi singoli e fiabesca irrealtà delle visioni d’insieme, che si concretizza l’arte di Pisanello.

[Giorgio Chiantini – fonti varie]

Pisanello - Part. di cavallo e cavaliere

San Giorgio, Giornata del libro e delle rose

libro e rose

23 aprile: Giornata del libro e delle rose.

La “Giornata Mondiale del Libro”, è stata voluta dall’Unesco nel 1996 con lo scopo di promuovere il “continuo progresso culturale attraverso la lettura, a protezione della pace, della cultura e dell’educazione di tutti i popoli.”

La scelta della data è legata alla coincidenza con due ricorrenze: la scomparsa, proprio il 23 aprile 1616, di nomi fondanti della letteratura mondiale, quali Shakespeare e Cervantes, e la tradizione  legata alla regione spagnola della Catalogna, dove già si festeggiava una Giornata dedicata al libro proprio il 23 aprile, nel giorno di Sant Jordi (San Giorgio), patrono, e dove è uso donare, nella stessa data, rose in ricordo di una leggenda.

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A Barcellona, secondo la leggenda, Giorgio, cavaliere, sconfisse il drago, salvando il popolo e la principessa minacciati dalla mostruosa creatura; dal sangue sgorgato dalle ferite, il santo fece fiorire immediatamente delle meravigliose rose rosse, una delle quali venne regalata proprio da Sant Jordi alla principessa.

In memoria di questo mitico accadimento, nel giorno dedicato a San Giorgio – il 23 aprile, appunto – in Catalogna si festeggia regalando un libro e una rosa alla persona amata. E anche i librai usano donare un fiore, quel giorno, ai lettori. (notizie dal web).

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William Shakespeare

Sonetto n.3

Guardati allo specchio e di’ al volto che vedi
che è ormai tempo per quel viso di crearne un altro,
se non rinnovi ora la sua giovane freschezza
inganni il mondo e rinneghi la gioia d’ogni madre.
Vi è forse donna tanto pura il cui illibato grembo
disdegni il seme della tua virilità?
O forse uomo tanto folle da voler essere la tomba
del suo proprio amore per non aver progenie?
Tu sei lo specchio di tua madre e come lei in te
ricorda il leggiadro Aprile della sua primavera,
così dai vetri del tuo crepuscolo tu rivedrai
a dispetto delle rughe, questo tuo tempo d’oro.
Ma se invece vuoi vivere senza esser ricordato,
muori celibe e la tua immagine morirà con te.

🌹

Sonetto n.46

I miei occhi e il cuore sono in conflitto estremo
per contendersi l’immagine della tua persona:
gli occhi al cuor vorrebbero celare la tua effigie,
agli occhi il cuor contesta la libertà di tal diritto.
Il cuore a difesa adduce che tu dimori in lui
– un tempio mai violato da sguardi penetranti –
ma gli accusati negano tal dissertazione,
dicendo che in loro giace il tuo bel sembiante.
Per attribuir questo diritto si convoca in giuria
un esame dei pensieri che al cuore son fedeli,
e per verdetto loro viene aggiudicata
la parte dei puri occhi e quella del caro cuore:
così: agli occhi spetta la tua esteriorità,
e diritto del mio cuore è il tuo profondo amore.

(Versi dal sito shakespeareitalia.com)

🌹

Tre poesie di Alexander Shurbanov

carta e penna

Tre poesie di Alexander Shurbanov: poeta, traduttore, saggista, critico letterario e professore universitario nato a Sofia (Bulgaria) nel 1941 è anche dottore honoris causa delle Università britanniche nel Kent e nel Surrey e  traduttore bulgaro dei Racconti di Canterbury di Chaucer,  delle tragedie di Shakespeare, del Paradiso perduto di Milton, delle poesie di Dylan Thomas e di numerosi altri poeti inglesi.

*

Ninnananna

Certe sere il mare si fa pallido e calmo
come se temesse qualcosa di estraneo
che incombe.
Ma subito l’universo buio china
su di lui il proprio volto sorridente,
i suoi capelli lo avvolgono dolcemente,
e acquietandosi
il mare si placa,
scurisce
e inizia a mormorare
qualcosa di incomprensibile,
eppure sereno e sterminato
come un’eternità,
che nel mondo non ha nulla da temere.

~

Sussurri dell'acqua


“Scrivi un verso
.                  e poi cancellalo” –
sussurra l’onda
mentre consegna sabbia alla spiaggia
e la riporta indietro
fino al vivente,
.                  inquieto,
oscuro abisso,
sforzandosi
di non ordinare l’universo
in una eternità immutabile
ma di tenere integra
la fragile catena del movimento,
i cui estremi
non sono cosa che possiamo scorgere.

~

Tutta l’immortalità che abbiamo 

Vorrei conservare quell’acuto confine
che divide il sole e l’ombra
sulla sabbia tra le vigne
sul fondo dei miei occhi
come un solco purpureo
e nel ricordo caldo dei miei passi –
come la cicatrice dolce di una vecchia ferita.
Qualcosa mi suggerisce
che in esso sta l’immortalità –
tutta l’immortalità che abbiamo.
Perciò non dobbiamo lasciarla guizzare
e scivolare via
insieme alla coda della lucertola,
come fa ogni sera d’estate,
mentre guardiamo altrove e non siamo attenti,
perché siamo così ricchi
che lasciamo tutta l’immortalità che abbiamo
cadere a terra in innumerevoli attimi dorati,
scorrere fra le nostre dita come sabbia.


(Traduzioni di Francesco Tomada)

Rocco Scotellaro, tre poesie a cento anni dalla nascita

ulivi - van gogh

Campagna

Passeggiano i cieli sulla terra
e le nostre curve ombre
una nube lontano ci trascina.
Allora la morte è vicina
il vento tuona giù per le vallate
il pastore sente le annate
precipitare nel tramonto
e il belato rotondo nelle frasche.

*

È già notte qui nei valloni
è già notte per le campagne
marine.
Dai paesi corrono piccole
nuvole di fumo verso il cielo.
Continua la vita nel gelo.
L’anima è questo respiro
che ci riempie e ci vuota.
E occorre guardarsi indietro
a vedere il giorno
dove corre.
Corre di fronte
alle luci accese dei pali
dove il Vulture adesso
si vede
sullo specchio rosso
di ponente…
Perché l’ombra è già
morta sui pini.

*

Ho capito fin troppo gli anni e i giorni e le ore
gl’intrecci degli uomini, chi ride e chi urla
giura che Cristo poteva morire a vent’anni
le gru sono passate, le rondini ritorneranno.
Sole d’oro, luna piena, le nevi dell’inverno
le mattine degli uccelli a primavera
le maledizioni e le preghiere.

***

Rocco Scotellaro (Tricarico, 19 aprile 1923 – Portici 1953) fu uno dei maggiori poeti e intellettuali lucani impegnato nel vivo delle problematiche del secondo dopoguerra. Animato da una forte carica morale e ideale, profusa nella sua produzione letteraria e nell’impegno politico, ha assunto il valore emblematico delle lotte per il riscatto del popolo meridionale. Di umile origine, socialista, fu sindaco di Tricarico dal 1946 al 1950, quando fu arrestato sotto l’infondata accusa di irregolarità amministrative; in seguito, grazie all’intervento di C. Levi, ottenne un impiego presso l’Istituto agrario di Portici. Trasse dalla sensibilità ai problemi sociali della sua terra motivi per alcune opere comparse postume: l’inchiesta Contadini del Sud (1954), il romanzo autobiografico incompiuto L’uva puttanella (1955) e una serie di poesie (È fatto giorno, 1954). In seguito sono stati pubblicati il volume di racconti Uno si distrae al bivio (1974) e la raccolta di versi Margherite e rosolacci (1978). Nel 2019 la sua intera produzione letteraria è stata raccolta nel volume Tutte le opere.

In apertura: Vincent van Gogh, Ulivi

Thomas Stearns Eliot, Gli uomini vuoti

autunno nel bosco - ytresu

Gli uomini vuoti di Thomas Stearns Eliot

*

Un penny per il vecchio Guy

I
Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia. Ahimè!
Le nostre voci secche, quando noi
Insieme mormoriamo
Sono quiete e senza senso
Come vento nell’erba rinsecchita
O come zampe di topo sopra vetri infranti
Nella nostra arida cantina

Figure senza forma, ombra senza colore,
Forza paralizzata, gesto privo di moto;

Coloro che han traghettato
Con occhi diritti, all’altro regno della morte
Ci ricordano – se pure lo fanno – non come anime
Perdute e violente, ma solo
Come gli uomini vuoti
Gli uomini impagliati.

II
Occhi che in sogno non oso incontrare
Nel regno di sogno della morte
Questi occhi non appaiono:
Laggiù gli occhi sono
Luce di sole su una colonna infranta

Laggiù un albero ondeggia
E voci vi sono
Nel cantare del vento
Più distanti e più solenni
Di una stella che si spegne.

Non lasciate che sia più vicino
Nel regno di sogno della morte
Lasciate anche che porti
Travestimenti così deliberati
Pelliccia di topo, pelliccia di cornacchia, doghe incrociate
In un campo
Comportandomi come si comporta il vento
Non più vicino —

Non quel finale incontro
Nel regno del crepuscolo

III
Questa è la terra morta
Questa è la terra dei cactus
Qui le immagini di pietra
Sorgono, e qui ricevono
La supplica della mano di un morto
Sotto lo scintillio di una stella che si va spegnendo.

È proprio così
Nell’altro regno della morte
Svegliandoci soli
Nell’ora in cui tremiamo
Di tenerezza
Le labbra che vorrebbero baciare
Innalzano preghiere a quella pietra infranta.

IV
Gli occhi non sono qui
Qui non vi sono occhi
In questa valle di stelle morenti
In questa valle vuota
Questa mascella spezzata dei nostri regni perduti

In quest’ultimo dei luoghi d’incontro
Noi brancoliamo insieme
Evitiamo di parlare
Ammassati su questa riva del tumido fiume

Privati della vista, a meno che
Gli occhi non ricompaiano
Come la stella perpetua
Rosa di molte foglie
Del regno di tramonto della morte
La speranza soltanto
Degli uomini vuoti.

V
Qui noi giriamo attorno al fico d’India
Fico d’India fico d’India
Qui noi giriamo attorno al fico d’India
Alle cinque del mattino.

Fra l’idea
E la realtà
Fra il movimento
E l’atto
Cade l’Ombra

Perché Tuo è il Regno

Fra la concezione
E la creazione
Fra l’emozione
E la responsione
Cade l’Ombra

La vita è molto lunga

Fra il desiderio
E lo spasmo
Fra la potenza
E l’esistenza
Fra l’essenza
E la discendenza
Cade l’Ombra

Perché Tuo è il Regno

Perché Tuo è
La vita è
Perché Tuo è il

È questo il modo in cui finisce il mondo
È questo il modo in cui finisce il mondo
È questo il modo in cui finisce il mondo
Non già con uno schianto ma con un piagnisteo.

Rainer Maria Rilke, tre poesie

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Rainer Maria Rilke, tre poesie

*

Un vento di primavera

Con questo vento viene destino; lascia,
lascia che venga tutto ciò che preme, cieco,
di cui noi arderemo -; tutto questo.
(E resta immobile perché ci trovi).
Porta il nostro destino questo vento.

Da chi sa dove questo vento nuovo,
sbandando sotto il peso di cose senza nome,
porta sul mare quello che noi siamo.

…Oh, se lo fossimo. Saremmo a casa.
(Vedremmo scendere e salire in noi i cieli).
Ma ogni volta con questo vento passa
il destino oltre di noi immenso.

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Passeggiata notturna

Niente è paragonabile. Esiste forse cosa
che non sia tutta sola con se stessa e indicibile?
Invano diamo nomi, solo è dato accettare
e accordarci che forse qua un lampo, là uno sguardo
ci abbia sfiorato, come
se proprio in questo consistesse vivere
la nostra vita. Chi si oppone perde
la sua parte di mondo. E chi troppo comprende
manca l’incontro con l’Eterno. A volte
in notti grandi come questa siamo
quasi fuor di pericolo, in leggere parti uguali
spartiti fra le stelle. Immensa moltitudine.

~

Canto delle donne al poeta

Siamo come ogni cosa che si schiude,
e nient’altro che questa beatitudine.
Ciò ch’era sangue e buio in una belva
crebbe in noi per farsi anima e si tende

ancora a te, fatta anima, e ti chiama.
Tu, certo, la ricevi nel tuo viso
come un paesaggio, mite e senza brama.
Perciò crediamo non sia tu cui mira

il nostro grido. Eppure, in chi vorremmo
se non in te, perderci senza fine?
In chi, più che in te, cresce il nostro essere?

L’infinito con noi passa e si perde.
Sii tu la bocca che ce lo fa udire,
tu sii: tu che di noi dici l’essenza.

Traduzioni di Giacomo Cacciapaglia

La legge della fiducia – alle radici del diritto di Tommaso Greco letto da Angela Greco AnGre

Tommaso Greco letto da Angela Greco AnGre --

Che attinenza ha un saggio di materia giuridica con un lettore non addetto al settore? Apparentemente poco o nulla, se non si tiene in considerazione il fatto che il diritto e la fiducia citati nel titolo sono parti integranti della vita di qualsiasi cittadino e della società della quale afferma di far parte e che il modello e la “visione” esposti nel testo possono essere esportati e applicati in qualsiasi ambito e fattivamente realizzati in qualsiasi rapporto tra le parti. E non solo in quello meramente giuridico da cui prende le mosse nel libro.

Professore ordinario di Filosofia del Diritto nel Dipartimento Giurisprudenza dell’Università di Pisa, dove è anche direttore del Centro Interdipartimentale di Bioetica (oltre ad essere direttore della collana “Bobbiana” dell’editore Giappichelli e della rivista di storia della filosofia del diritto “Diacronìa”), Tommaso Greco (Caloveto – CS, 1968) con La legge della fiducia – alle radici del diritto, saggio edito da Laterza (prima edizione, ottobre 2021), porta all’attenzione di qualsiasi lettore una risposta ad un tema particolare, quello del “modello sfiduciario”, come lo definisce lo stesso autore, ovvero l’intesa e l’applicazione in senso negativo e soprattutto coercitivo-punitivo del Diritto. Nel testo viene ripercorsa la storia di questa interpretazione da Machiavelli ai giorni nostri, per approdare, con efficaci esempi anche tratti dalla Letteratura, alla constatazione che al centro della questione non solo giuridica e di applicazione delle norme e delle regole, ovvero al centro delle questioni, è da porre nuovamente la Persona. Persona, nella sua interezza, nella sua complessità, nella sua via via perdente capacità di relazione e di reciprocità. Nel tempo è andata diminuendo la considerazione dell’Uomo come capace di preoccuparsi dell’altro da Sé e affermandosi la concezione di un essere umano negativo a priori, malvagio, cattivo, incapace di rispettare quanto ha intorno se non sottoposto a regole coercitive, le quali, per sola paura della punizione, lo indurrebbero ad una condotta sana. Tommaso Greco riconduce l’essere umano alla fiducia, attraverso il fatto che “il Diritto presuppone e implica inclinazioni positive e cooperative […] mettendo l’accento sulla responsabilità dei soggetti e aiutando quindi ad evidenziare le mancanze di chi a quell’inclinazione viene meno” (pag.143). L’autore restituisce fiducia all’Uomo, il quale non deve vedere nel Diritto un “nemico”, e chiede alla società tutta di applicare questo nuovo “modello fiduciario” – che non elimina le finalità di difesa di quei componenti della società che sono stati lesi da chi è contravvenuto alle regole – promuovendo il suo saggio anche nelle scuole e in ogni luogo dove si voglia tornare a porre al centro dell’attualità il rapporto tra persone, intese quali elementi costituenti una gruppo interagente, tralasciando l’individualismo tanto esasperato oggigiorno.

Perché se nelle varie espressioni relazionali ci si fida dell’altro, quando si tratta, invece, di applicare il diritto si pensa che l’altro agirà in malafede a priori? Partendo da questo ambito, il modello fiduciario, ovvero quello che dà la possibilità all’Uomo di evidenziare il lato positivo prima del sopraggiungere addirittura del pregiudizio, può trovare applicazione anche nella vita comune, laddove si agisce tra coercizioni e punizioni ancora prima che si verifichi l’atto verso il quale queste azioni negative sono dirette. E si pensi a tale riguardo, ad esempio, alle miriadi di regole di cui siamo e siamo stati bersaglio (il saggio vede la luce a margine di quel particolare e sofferto periodo qual è stato la pandemia da Covid-19) ad esempio in ambito burocratico. Ma, anche, impensabile a primo acchito tenendo il libro tra le mani, alla mole di compiti assegnati a casa dalle scuole secondarie, alla cui mancata esecuzione saettano le note conseguenze sul profitto senza porsi criticamente sulla questione della mancata esecuzione. In questo modo, la Scuola mette di fatto in campo, un modello sfiduciario basato sul fatto che gli alunni necessitano di un numero spropositato di esercizi, perché se fosse lasciata loro la scelta di eseguirne un numero maggiore, magari laddove si è a conoscenza delle proprie lacune, questi non li eseguirebbero. Pertanto, ed è verificato dai più, si esegue quanto assegnato solo per timore delle conseguenze. Anche aver indossato la mascherina nel periodo di diffusione del virus non avrebbe dovuto essere un obbligo di legge, ma una cautela per sé in vista anche della salvaguardia degli altri componenti della società (esempi di vita quotidiana riportati al solo scopo di dimostrare che questo saggio è per tutti, senza sminuire la valenza di quanto espresso scientificamente nel saggio del professor Greco). Quindi, a ben riflettere, è chiaro che non si dovrebbe agire per timore della punizione, né per assolvere alle aspettative esterne (moralità), quanto piuttosto per affinità di vedute e sentire con quanto sotteso alle regole e alle norme, facendo emergere la cura verso l’altro da sé indipendentemente dalla coercizione nel momento della mancanza.

Una lettura complessa, ricca di spunti di riflessioni, incentrata su un tema multidisciplinare qual è la fiducia e che tocca anche l’argomento chiarezza della lingua (in ambito giuridico, ma non si erra riferendo tanto a molti altri ambiti). Chiarezza invocata a beneficio di una maggiore comprensibilità da parte dei più, per sentirsi maggiormente parte di una materia di cui si diffida a priori per esperienza. Materia, quella del diritto, decisamente poco conosciuta nella sua accezione positiva e partecipante del quotidiano più di quanto si pensi.

Partendo dall’opinione largamente diffusa che gli esseri umani si comportino in un certo modo soprattutto per timore delle conseguenze e non perché concretamente consapevoli che il proprio modo di agire abbia riflessi su tutto il sistema, l’autore risponde ponendo l’accento sul considerare l’altro persona con le sue aspettative, le sue fragilità, le sue speranze, che creda in alcuni valori come l’onestà, la parola data, l’impegno. Proponendo una orizzontalità, che si contrappone alla propensione “verticale” con cui l’Io afferma le sue ragioni in maniera esclusiva, si può evidenziare quella inclinazione verso l’altro (pag.62-63) che conduce ad una relazione di reciprocità, ad una presa di posizione sull’uomo e sulla sua capacità di essere responsabile.

Essere umano che, alla fine, non può non essere oggetto di fiducia, poiché persino tutti i controlli che si possono mette in campo giungono ad un punto in cui, per forza di cose, devono cedere proprio ad un atto di fiducia: al vertice di una piramide sociale, l’ultimo giudice non oggetto di ulteriori controlli può solo affidarsi al fatto che si agisca rettamente per qualcosa connaturato alla propria originaria natura di essere sociale.  [Angela Greco AnGre]

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Else Lasker-Schüler, tre poesie

cuore

Tre poesie di Else Lasker-Schüler (1869 – 1945), all’anagrafe Elisabeth Schüler, è stata una poetessa tedesca. Secondo Schalom Ben-Chorin, è stata la più grande poetessa espressa dall’ebraismo.

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Segretamente di notte

Ho scelto te
Tra tutte le stelle

Sono sveglia – fiore in ascolto
Nel fogliame ronzante

Le nostre labbra stilleranno miele,
Le nostre notti scintillanti sono sbocciate.

Al beato splendore del tuo corpo
Il mio cuore accende i suoi cieli

Dal tuo oro pende ogni mio sogno,
Ho scelto te tra tutte le stelle.

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Amore

Sai che nella mia selvaggia fantasia
Tu sei legato…

Perché tu mi possa vincere con i baci,
Nelle notti nere, presto all’alba.

Sai dove fioriscono gli anemoni,
Scintillanti di rosso come un mare di fuoco

Ho guardato nel fondo dei calici
Mai più lascerò il peccato.
E fosse anche pieno di lacrime –
E tu morissi nella mia vampa ardente …

Il mio inferno cela il tuo regno dei cieli,
Ah, possa tu dissolverti nel mio sangue.

Traduzioni di Adelmina Albini e Stefanie Golish
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Dire piano

Tu ti prendesti tutte le stelle
Sul mio cuore.

I miei pensieri si increspano,
Io devo danzare.

Tu fai sempre quello che mi fa guardare in alto,
Stancare la mia vita.

Non posso più sopportare
La sera sopra le siepi.

Nello specchio dei ruscelli
Non ritrovo la mia immagine.

All’arcangelo tu hai rubato
I fluttuanti occhi;

Ma io spizzico il miele
Del loro azzurro.

Il mio cuore va lento sotto
Io non so dove –

Forse nella tua mano.
Dovunque lei si impiglia alla mia rete.

Traduzione di Nicola Gardini

Karol Wojtyla, due poesie da Canto del sole inesauribile

nails&design_fiori di pesco

Quando tristezza e sera si confondono
– hanno lo stesso colore –
formano insieme uno strano liquore,
e timorosamente alle mie labbra l’accosto.

Così, per non lasciarmi solo
in quell’ansia, spogliasti
il crepuscolo d’ogni suo orrore,
ed all’eternità desti il sapore del pane.

Quando dall’infinito facesti emergere il tempo per
appoggiarlo all’altra riva,
Tu già sentivi il mio lontano pianto,
ne sapevi da secoli il motivo.

Sapevi che la nostalgia
di chi una volta ha bevuto il Tuo sguardo
non si placa per un solare incanto,
ma si arrossa di sangue, come trafitta da spine.

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Se il cosmo è un ramo pesante di foglie
ed avvolto dall’irraggiare dei soli,
e se lo sguardo è un quieto abisso
recato sulla palma aperta –

allora anche se tremano e cadono le foglie
rispecchiate dalla vicina profondità,
il quieto abisso sempre fissa
Te – Nascosto.

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Karol Wojtyla (papa Giovanni Paolo II), da Canto del sole inesauribile

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dall’Introduzione di Santino Spartà a Poesie.

[…] Il futuro pontefice pubblicò le composizioni letterarie sotto lo pseudonimo di Andrzej Jawień, personaggio dell’opera Cielo nelle fiamme di J. Parandowski, di Stanislaw Andrzej Gruda e, occasio­nalmente, di Piotr Jasień, sul settimanale Tygodnik Powszechny (settimanale universale) e sul mensile Znak (Il segno) di Cracovia.

Si accostò alla letteratura fin da quando frequentava il liceo Mar­cin Wadowita di Wadowice, sua città natale; in seguito lesse i poeti polacchi dell’Ottocento con particolare riguardo a Cyprian Norwid (1821-1883). Del resto era stato lievitato nella sua formazione eti­co-culturale anche da altre opere: la Nie-Boska Komedia (Non­Divina Commedia) di Krasiński e Miguel Manara di Lubicz-Milosz.

In verità li aveva adattati, essendo attore, per la rappresentazione nel Teatro Rapsodico, diretto da M. Kotlarczyk, in forma clandesti­na, data l’occupazione tedesca, e come poeta li faceva rimbalzare, anche se in modo inconscio, in alcune delle sue composizioni giovani­li: «Salterio rinascimentale», «Libro slavo» e «David», scritte intorno al 1939.

Intorno agli anni Cinquanta si sgancerà da queste nostalgie letterarie per riconoscersi in una autonomia inventiva, attinta alla sua interiorità in progressiva dialettica e maturerà senza accompa­gnarsi ad amicizie estetiche del momento.

Fondamentalmente Karol Wojtyla scruta l’uomo nella sua attività concreta, nel suo concetto di patria, nella sua dinamica esistenziale e nelle sue convinzioni cristiane. 

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da Giovanni Paolo II, Le mie preghiere Le mie poesie, a cura di Santino Spartà – Newton Compton editori s.r.l. 2011