Il sogno
*
John Donne, Poesie amorose poesie teologiche, a cura di Cristina Campo (Einaudi) — in foto: Alba sullo Jonio ad Aci Trezza, dal web.
Il sogno
*
John Donne, Poesie amorose poesie teologiche, a cura di Cristina Campo (Einaudi) — in foto: Alba sullo Jonio ad Aci Trezza, dal web.
John Donne, “Notturno sopra il giorno di Santa Lucia, che è il più breve dell’anno”
Questa è la mezzanotte dell’anno e lo è del giorno
di Lucia, che per sole sette ore
solleva la sua maschera.
Il sole è esausto e ora le sue fiasche
spremono tenui sprazzi, nessun raggio costante.
Tutta la linfa del mondo è caduta.
L’universale balsamo bevve la terra idropica;
là, quasi a piè del letto, s’è ritratta la vita
morta e interrata. Eppure tutto ciò sembra ridere
appetto a me che sono il suo epitaffio.
Dunque studiatemi, voi che sarete amanti
in altro mondo, un’altra primavera:
sono ogni cosa morta onde operò l’amore
nuova alchimia. Perché una quintessenza
distillò la sua arte anche dal nulla,
da opache privazioni e da scarne vuotezze.
Mi distrusse. E ora mi rigenerano
assenza, buio, morte, le cose che non sono.
Tutti gli altri da tutte le cose
traggono tutto ciò che è buono: vita, anima,
spirito, forma e ne hanno esistenza.
Io, grazie all’alambicco dell’amore,
son la fossa di tutto ciò che è nulla.
Spesso noi due piangemmo
un diluvio e ne fu sommerso il mondo:
noi due. E tramutammo spesso
fino a due caos quando mostrammo cura
d’altri che noi, e talora l’assenza,
rubandoci le anime, fece di noi carcasse.
Ma, grazie alla sua morte (parola che l’offende),
dal primitivo nulla io son fatto elisir;
fossi uomo, dovrei sapere d’esserlo;
preferirei, se fossi bestia, un qualche
fine od un qualche mezzo, se persino le piante,
persin le pietre detestano od amano:
tutto, tutto s’investe di qualche proprietà;
fossi un nulla qualunque, come l’ombra,
dovrebb’esservi un corpo ed una luce. Ma
sono nulla. E non vuole rinnovarsi il mio sole.
Voi, amanti, pei quali il minor sole
a quest’ora è passato in Capricorno
per succhiarne voluttà nuova e donarla a voi,
o voi tutti, godetevi l’estate.
Poiché ella gode la sua lunga festa
notturna, lasciate ch’io m’accinga
verso di lei, lasciate che io chiami quest’ora
la sua Vigilia, la sua Veglia. Questa
è mezzanotte fonda, e dell’anno e del giorno.
~
da “Poesie amorose, poesie teologiche”, Einaudi, 1971, traduzione di Cristina Campo.
John Donne (Londra, 1572-1631), da Poesie sacre e profane (Feltrinelli, 2011)
Il sorgere del sole
Vecchio stolto faccendiere, sole dissennato,
perché così,
attraverso vetri e tende vieni a visitarci?
Le stagioni degli amanti devono volgere
ai tuoi movimenti?
Sfacciato dannatissimo pedante, va a strapazzare
gli scolari in ritardo, i garzoni inveleniti,
va a dire ai cacciatori: il Re vuole cavalcare,
chiama le formiche dei campi alle fatiche del raccolto,
immutabile l’amore non conosce climi e stagioni,
non giorni, mesi, e ore, del tempo solo i brandelli.
Perché pensi che i tuoi raggi
siano tanto potenti e venerandi?
Con un battito di ciglia potrei eclissarli,
obnubilarli, se non che non vorrei
non vedere lei tanto a lungo.
Se i suoi occhi non hanno accecato i tuoi,
guarda, e domani quando è tardi dimmi
se le Indie delle spezie e delle miniere
sono dove le lasciasti, o sono qui da me.
Chiedi dei Re che hai visto ieri,
ti sarà detto, che giacciono tutti qui in un letto.
Lei è tutti gli stati, io sono tutti i principi,
nient’altro esiste.
A paragone i principi non recitano che la nostra parte,
ogni onore è mimica, ogni ricchezza è alchimia.
Tu sei felice, oh sole, molto meno di noi,
in cui il mondo si è così contratto;
la tua età richiede agi, il tuo compito
è di scaldare il mondo – scaldaci, ed è fatto.
Splendi su noi e sarai dovunque,
questo letto è il tuo centro, queste pareti la tua sfera.
.
Il sogno
*
John Donne, Poesie amorose poesie teologiche, a cura di Cristina Campo – Einaudi
.
Fattura con ritratto
.
John Donne
da Poesie sacre e profane (Trad. di Rosa Tavelli – Feltrinelli, 2011)
immagine: Giorgio de Chirico, Ettore e Andromaca (1968), bronzo patinato
Bruciato dai sospiri, circonfuso di lacrime,
qui vengo in cerca della primavera.
E ai miei occhi e agli orecchi
si versa balsamo da curare ogni osa.
Ma, di me stesso traditore, io porto
il ragno amore che tutto transustanzia
e tramutare può la manna in fiele,
e affinché questo luogo giustamente
sia detto paradiso, vi ho portato il serpente.
Più propizio per me se l’inverno
intenebrasse il fulgore del luogo
e un’aspra gelata vietasse
a questi alberi il riso che m’irride.
Ma affinché sfugga alla vergogna e pure
non cessi dall’amare, faccia di me l’amore
un frammento insensibile del luogo:
una mandragora, che qui mi lamenti,
o una fonte di pietra, che lacrimi via l’anno.
Venite qui con fiale di cristallo,
o amanti, e raccogliete le mie lacrime,
vino d’amore, e a casa confrontatele
con le lacrime dell’amata:
poiché tutte son false se non hanno
il gusto delle mie, ché i cuori ahimè non brillano
negli occhi, né il pensiero dalle lacrime
della donna si giudica più che dall’ombra l’abito.
O genere perverso, ove una sola è fedele,
e lo è perché mi uccide la sua fede.
*
*
da Poesie amorose, Canzoni e sonetti (Songs and Sonets)
tratto da John Donne, Poesie amorose poesie teologiche – a cura di Cristina Campo – Einaudi 2013
John DONNE, Poesie amorose
da «Canzoni e sonetti»
Il buongiorno
Mi chiedo in fede: che facemmo noi
prima di amare? Divezzati ancora
non eravamo e allattati di rustici
piaceri, come i bimbi? O russavamo
nella caverna dei Sette Dormenti?
Fu così. Ma non erano che ombre
di piaceri. Se mai vidi bellezza
e la volli e la ebbi,
non fu che sogno della tua bellezza.
E ora buongiorno alle nostre due anime
che si destano e senza alcun timore
si vegliano, ché amore ogni orizzonte
chiude all’amore e di una cameretta
fa un ognidove. Restino alle nuove
terre i navigatori, e mappe nuove
scoprano ad altri mondi sopra mondi:
si lasci un solo mondo a noi, che abbiamo
ciascuno un mondo ed è un mondo ciascuno.
Nel tuo occhio il mio volto, il tuo nel mio
si specchia e cuori semplici e fedeli
riposano nei nostri volti: dove
trovare due più limpidi emisferi
senza Nord affilato, Ovest caduco?
Equamente non fu mischiato ciò che muore,
e i nostri amori sono uno e tu
ed io così fratelli nell’amore
che né l’uno né l’altro può mancare o morire.
#
da «Aria e Angeli»
Due o tre volte ti amai senza conoscere
il tuo volto o il tuo nome.
In una voce, in una fiamma informe
così talora ci percuote un angelo
per essere adorato.
Persino quando giunsi dov’eri, uno splendente
un adorabile nulla io vidi.
Ma poiché la mia anima, che ha per figlio l’amore,
prende membra di carne o non può nulla,
l’amore non dev’esser più sottile
della madre, ma anch’egli prender corpo:
e allora quel che eri e chi eri io chiedo
all’amore di chiedere; ed ora gli consento
di assumere il tuo corpo e far dimora
nel tuo labbro, nell’occhio e nella fronte …
#
Lezione sull’ ombra
Ferma, amore: ti darò una lezione
sulla filosofia d’amore.
Tu ed io, queste tre ore,
passeggiammo e innanzi a noi due ombre,
opera nostra, andavano con noi.
Ma ora che il sole è a picco su di noi,
siamo diritti sulle nostre ombre
e ogni cosa è ridotta a luce coraggiosa.
Così, mentre crescevano
i nostri amori bambini, crescevano
le finzioni, proiettando ombre
su noi e su ogni nostra cura. Fino ad ora.
Ma non ha raggiunto un amore
l’altissimo grado, se ancora
ha cura di non essere veduto.
Se a questo mezzogiorno i nostri amori
non si arrestano, altre ombre getteremo
dall’altro lato; e se le prime furono
per accecare altrui, sopra di noi
queste da dietro getteranno il buio.
Se amore declina a ponente,
a me tu falsa occulterai
le tue opere, a te io celerò le mie.
Si consumano le ombre del mattino,
queste si allungano su tutto il giorno.
Ma oh, breve è il giorno
d’amore, se l’amore si corrompa.
Amore o cresce, o è piena e ferma luce:
il primo attimo d’ombra è la sua notte.
[tratte da Cristina Campo, La tigre assenza, Biblioteca Adelphi]
*
Il sasso nello stagno vi augura, oltre ad una buona lettura, che ogni vostro attimo possa essere poesia scritta dalle vostre stesse mani e vi saluta per qualche giorno…di relax!!
con affetto, AnGre