di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
odi lontano da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile.
io ti conosco, forse.
Eri una delle tante bambine
ch’io vidi nei cortili delle cascine;
scalza, seduta sul limitare
con la tazza di latte sui ginocchi
e un gran pane di frumentone ai denti
e con le compagne intenta a giocare.
Eri anche bella ed accarezzata
da tutti: quando il male
ti spense in un istante.
Ora t’hanno sepolta e più nessuno
stasera si ricorderà di te.
Tranne tua madre che non dormirà,
sospirerà guardando il tuo lettino
vuoto, accanto alla finestra nera
aperta sulla notte di primavera
pensando ch’eri così piccola …
(…sì, ma il becchino
ha sudato scavandoti la fossa
profonda come la sua vanga!
sì, ma non tanto
che tua madre per te non pianga!)
e che sei qui sotto, sola nella tomba oscura,
e che forse hai paura,
tu ch’eri così piccola
che bastava una lucciola
pendula ad uno stelo a farti lume
lungo la via,
così piccola e leggera
nella tua culla, che bastava a muoverla
l’onda dell’avemaria!
O povera innocente, dormi in pace!
Ché anche tu avrai, come ogni misero,
la tua fresca coroncina
di vetro, che il ragno,
che tesse tesse e non sa nulla,
ti rinnoverà ogni mattina;
e invece del tuo lettino bianco
nella camera nera
sei adagiata in una culla
d’odori di primavera,
e se non senti più la voce della tua mamma
hai l’usignolo che ti canta la ninna nanna.
L’altare è innalzato in mezzo ai pioppi
ingialliti, coperto di lana rozza, senza ornamenti.
I soldati sono schierati dall’una all’altra banda,
col fucile e la baionetta inastata. Hanno un aspetto
vigoroso e fiero. Comincia la messa, officiata
da un prete dalla barba fulva, robusto, possente.
«In ginocchio!» grida il generale. I soldati
si inginocchiano, poggiandosi al fucile. Come
nei templi la preghiera è sostenuta dalle guglie
e dai pinnacoli, oggi è sostenuta dalle punte delle
baionette. Una preghiera irta e aguzza. Volti
reclinati di giovani imberbi, di uomini maturi,
teste toccate dalla Morte, segnate dall’Operaia
terribile. Una massa di carne da macello.
che la Morte picchierà alla tua porta,
cosa gli offrirai?
Presenterò alla mia ospite
la coppa piena della mia vita,
non lascerò che se ne vada a mani vuote.
Giunto al termine dei miei giorni,
quando la morte verrà alla mia porta,
presenterò a lei
la soave vendemmia dei miei giorni d’autunno
e delle mie notti estive
e tutto ciò che ho guadagnato
o raccolto durante la mia vita.
quando essa giungerà, con le mani vuote di meriti guadagnati con il lavoro e lo sforzo.
Taccion le mille sue voci festanti.
Giù dalla torre della cattedrale,
campane a morto nella nebbia gemono.
Sovra gli umidi tetti si distende
candido in sonno, un fulgido vapore.
Con le gelide dita il vento batte
entro la gola del camino, a stormo,
gli ultimi accordi d’una marcia funebre.