Tre poesie di Emily Dickinson

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Tre poesie di Emily Dickinson

La speranza è una strana invenzione
Un Brevetto del Cuore –
In incessante azione
Eppure mai consumata –

Di questa elettrica appendice
Non si conosce nulla
Se non che un suo unico momento
Abbellisce tutto ciò che abbiamo –

~

In molti e inspiegabili luoghi
Proviamo una Gioia –
Inspiegabile, pure, ma sincera come la Natura
O la Deità –

Arriva, senza sorprendere
Si dissolve – allo stesso modo –
Ma lascia una sontuosa Indigenza –
Senza Nome –

Profanarla con una ricerca – non possiamo
Non ha casa essa –
Né noi che l’abbiamo una volta ghermita –
Da allora vaghiamo.

~

Quale mistero pervade un pozzo!
Quell’acqua vive così lontana –
Un vicino da un altro mondo
Che risiede in una giara

I cui limiti nessuno ha mai visto,
Ma solo le sue palpebre di vetro –
Come guardare ogni volta che vuoi
Nel volto di un abisso!

L’erba non sembra impaurita,
Spesso mi stupisco che
Possa stare così vicina e guardare così ardita
A ciò che è temibile per me.

Potrebbero essere in qualche modo parenti,
Il carice sta vicino al mare
Dove è senza base
E non tradisce timidezza –

Eppure la natura è un’estranea;
Coloro che la citano di più
Non hanno mai oltrepassato la sua casa stregata,
Né semplificato il suo spirito.

Compiangere quelli che non la conoscono
È favorito dal rammarico
Che quelli che la conoscono, la conoscono meno
Quanto più le sono vicini.

dal sito http://www.emilydickinson.it

Thomas Stearns Eliot, due poesie

T.S.Eliot, due poesie

*

Canzone

Se Tempo e Spazio, come i Saggi dicono,
sono cose che mai potranno essere,
il sole che non cede al mutamento
non è per nulla superiore a noi.
Così perché, Amore, dovremmo sperare
di vivere un secolo intero?
La farfalla che vive un solo giorno
è già vissuta per l’eternità.

I fiori che ti diedi allorché la rugiada
tremolava sul tralcio rampicante,
prima che l’ape volasse a suggere
la rosellina di macchia erano già appassiti.
Così affrettiamoci a coglierne ancora
senza tristezza se poi languiranno;
i nostri giorni d’amore sono pochi:
facciamo almeno che siano divini.

~

Mattino alla finestra

Sbattono piatti da colazione nelle cucine del seminterrato.
E lungo i marciapiedi che risuonano di passi
Scorgo anime umide di donne di servizio
Sbucare sconsolate dai cancelli che danno sulla strada.

Ondate brune di nebbia levano contro di me
Volti contorti dai fondo della strada,
Strappano a una passante con la gonna inzaccherata
Un vacuo sorriso che s’alza leggero nell’aria
E lungo il filo dei tetti svanisce.

Due poesie di Emily Dickinson

Due poesie di Emily Dickinson 

*

La Vita che abbiamo è certo grande.
La Vita che vedremo
La sorpassa, si sa, perché
È Infinità.
Ma quando ogni spazio è stato osservato
E ogni Dominio mostrato
L’estensione del più piccolo Cuore Umano
La riduce a nulla.

~

Colpita, fui, ma non dal Fulmine –
Il Fulmine – sopprime
Il Potere di percepire il Suo Processo
Con il Vigore –

Mutilata – fui – eppure non dal Caso –
Da Pietra di Stupido Ragazzo –
Né da Incertezza di Cacciatore –
Chi il mio Nemico?

Derubata – fui – inviolata da Bandito –
La Magione tutta devastata –
Il Sole – sottratto alla Percezione –
L’estremo bagliore – sparito –

Eppure non ero nemica – di nessuno –
Non il più piccolo Uccello
Del vicino frutteto abitatore
Era di Me – timoroso –

Più di tutte – amo la Causa che Mi uccise –
Ogni volta che muoio
La sua amata Percezione
Mantiene un Sole su di Me –

Più bello – al Tramonto – com’è sua Natura –
Né io né te lo vedremo Sorgere
Fino all’Infinita Aurora
Negli Occhi dell’Altro –

http://www.emilydickinson.it

Walt Whitman, due poesie

Walt Whitman, due poesie

*

Credo in te, anima mia,
l’altro che io sono non deve umiliarsi di fronte a te,
e tu non devi umiliarti di fronte a lui.
Ozia con me sull’erba,
libera la tua gola da ogni impedimento,
né parole, né musica o rima voglio,
né consuetudini né discorsi,
neppure i migliori, soltanto la tua calma voce bivalve,
il suo mormorio mi piace.
.
Penso a come una volta giacemmo,
un trasparente mattino d’estate,
come tu posasti la tua testa
di per traverso sul mio fianco
ti voltasti dolcemente verso di me,
e apristi la camicia sul mio petto,
e tuffasti la tua lingua sino al mio cuore snudato,
e ti stendesti sino a sentire la mia barba,
ti stendesti sino a prendere i miei piedi.
.
Veloce si alzò in me
e si diffuse intorno a me la pace e la conoscenza
che va oltre ogni argomento terreno,
io conosco che la mano di Dio è la promessa della mia,
e io conosco che lo spirito di Dio
è il fratello del mio,
e che tutti gli uomini mai venuti alla luce
sono miei fratelli e le donne sorelle ed amanti,
e che il fasciame della creazione è amore,
e che infinite sono le foglie rigide o languenti nei campi,
e le formiche brune nelle piccole tane sotto di loro,
e le incrostazioni muschiose del corroso recinto,
pietre ammucchiate, sambuco, verbasco ed elleboro.

~

Un’ora per la pazzia e la gioia!
Oh, furioso! Non rinchiudetemi!
(Che cos’è che mi libera così nella tempesta?
Che significano le mie urla tra i lampi e i venti rabbiosi?)
Bere i mistici deliri più in profondità che ogni altro uomo.
Oh, sofferenze tenere e selvagge.…
Oh, abbandonarmi a te, chiunque tu sia, e tu a me, sfidando il mondo.
Ritornare in Paradiso! Oh, timido e femmineo.
Attirarti a me, porre su di te per la prima volta le mie labbra.
Oh, l’enigma, il nodo triplice, il gorgo scuro e profondo, tutto senza lacci, illuminato.
Andare di corsa dove finalmente c’è spazio abbastanza e aria a sufficienza!
Svincolarsi da legami e convenzioni, io dai miei, tu dai tuoi!
Trovare un nuovo e sinora impensato accordo col meglio della Natura!
Avere la bocca libera dal bavaglio!
Sentire oggi e ogni giorno che noi bastiamo come siamo.
Oh, qualcosa di mai provato, qualcosa di simile all’estasi.
Sfuggire del tutto ad ogni ancora e a ogni presa.
Andare liberi, amare liberi, precipitarsi incauti e pericolosi.
Corteggiare la distruzione col sarcasmo e con l’invito.
Ascendere, saltare verso i cieli dell’amore che mi indichi, salire sin lassù con la mia Anima inebriata.
Perdermi, se così deve essere.
Nutrire il resto della mia vita con un’ora di pienezza e di libertà.
Con un’ora breve di pazzia e di gioia.

Due poesie di Robert Frost

Confidenza con la notte

Io sono uno che ha confidenza con la notte.
Ho fatto nella pioggia la strada avanti e indietro.
Ho oltrepassato l’ultima luce della città.

Sono andato a frugare giù nel vicolo più tetro.
Ho incontrato la guardia nel suo giro
Ed ho abbassato gli occhi, per non spiegare.

Io ho trattenuto il passo e il mio respiro
Quando da molto lontano un grido strozzato
Giungeva oltre le case da un’altra strada,

Ma non per richiamarmi o dirmi un commiato;
E ancora più lontano, a un’incredibile altezza,
Sullo sfondo del cielo un orologio illuminato

Proclamava che il tempo non era giusto, né errato.
Io sono uno che ha confidenza con la notte.

~

Luoghi deserti

Fitte cadere notte e neve, oh, fitte
In un campo ho guardato passando oltre
E il suolo quasi uniforme sotto la coltre
Più non mostra che fili d’erba e stoppie.

I boschi intorno sono padroni del campo.
Ogni animale soffoca nella tana.
Io non conto, perché la mia mente è lontana:
La solitudine in sé inavvertito mi chiude.

E, solitaria com’è, la solitudine
Ancor più solitaria, anzi che meno, sarà
– Un candore più vacuo di neve ottenebrata
Senza espressione, senza nulla da esprimere.

Non mi fanno paura coi loro spazi aperti
E vuoti fra le stelle dove non è stirpe umana,
Quando io posso da me così vicino a casa
Far paura a me stesso con i miei luoghi deserti.

*

due poesie di Robert Frost tradotte da G.Giudici

Due poesie di Raymond Carver

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L’OROLOGIO DI KAFKA

————————————————da una lettera
Ho un impiego con un misero salario di 80 corone e
otto, nove ore di lavoro che non finiscono mai.
Divoro il tempo libero dall’ufficio come una belva feroce.
Spero un giorno di potermi sedere in un altro
paese e guardare fuori dalla finestra verso campi di canna da zucchero
oppure cimiteri maomettani.
Non è tanto del lavoro che mi lamento quanto
della lentezza di questo tempo paludoso. Le ore d’ufficio
non si possono dividere! Sento la pressione
di tutte le otto, nove ore anche nell’ultima
mezz’ora della giornata. È come un viaggio in treno
che dura giorno e notte. Alla fine ci si sente
completamente schiacciati. Non si pensa più agli sforzi
della locomotiva o ai colli o alle pianure
attorno, ma si dà la colpa di tutto quel che succede
al proprio orologio. L’orologio che si continua a tenere
sul palmo della mano. Poi lo si scuote. E lo si porta lentamente
all’orecchio, increduli.
.
.
.

VEGLIA

Attesero tutto il giorno che il sole si affacciasse. Poi,
nel tardo pomeriggio, come un buon principe,
finalmente fece una breve apparizione.
Sfavillò dall’alto sulla cengia ai piedi
delle cime che s’ergevano dietro la casa in prestito.
Ma poi calarono di nuovo le nuvole.
.
Erano abbastanza felici, ma per tutta la serata
le tende s’agitarono melanconiche,
frusciando davanti alle finestre aperte. Dopo cena
loro uscirono fuori sul balcone.
Da dove sentirono il fiume che piombava nella gola e,
più da presso, lo stridio degli alberi, i sospiri dei rami.
.
L’erba alta giurava di stormire per sempre.
Lei gli mise una mano sul collo. Lui le sfiorò una guancia.
Ma da ogni dove spuntarono pipistrelli e li ricacciarono in casa.
Una volta dentro, chiusero tutte le finestre. Si tennero a distanza.
osservarono una processione di stelle. E, di tanto in tanto,
creature che si gettavano in picchiata davanti alla luna..
.
*
.
Raymond Carver (Clatskanie, 25/5/1938 – Port Angeles, 1988), Orientarsi con le stelle – Tutte le poesie (Minimum fax).
Immagine: due illustrazioni di Christian Schloe
.
.
.

Mark Strand, due poesie

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Due poesie di Mark Strand (1934 – 2014), poeta, critico letterario e accademico canadese naturalizzato statunitense.

*

Dal lungo party triste

Qualcuno stava dicendo
qualcosa riguardo ombre che coprono il campo, riguardo
lo scorrere dell’esistenza, di come ci si addormenti verso il mattino
ed il mattino passi.

Qualcuno stava dicendo
di come il vento muoia ma poi ritorni,
di come le conchiglie siano le bare del vento
ma il tempo continui.

Era una lunga notte
e qualcuno disse qualcosa riguardo a come la luna perdeva il suo
bianco
sul freddo campo, come non ci fosse nulla davanti a noi
oltre le solite cose.

Qualcuno menzionò
una citta in cui era stata prima della guerra, una stanza con due
candele
contro un muro, qualcuno che danzava, qualcuno che guardava.
Cominciamo a credere

che la notte non avrebbe avuto termine.
Qualcuno stava dicendo che la musica era finita e nessuno
se n’era accorto.
Allora qualcuno disse qualcosa riguardo i pianeti, riguardo le
stelle,
di quanto fossero piccole, quanto fossero lontane.

***

C’è un’isola nelle tenebre, un luogo di sogno
dove il frusciare del vento vaga su prati bianchi
e scarmiglia le foglie alle piante, le piante alte
venate d’oro che lì fiancheggiano i viali;
e i nuovi arrivati sono felici d’essere le sericee
vestigia di ciò che son stati ma non sanno ricordare;
si muovono al rumore degli astri, che pure è immaginato,
ma a chi importa… le colonne levigate che scorgono
può darsi non siano che fasci di luce, ma per chi
persevera a vivere nel fulgore delle proprie vestigia
ciò conta poco. C’è un’isola
nelle tenebre e tu ti ci troverai, prometto, tu
sarai con me in paradiso, nell’unica stagione dell’essere,
nel luogo del per sempre, tu troverai te stesso. E là
le foglie muteranno colore e mai cadranno, là il vento
canterà e sarà la tua voce come fosse la prima volta.

Traduzioni di Damiano Abeni

Riproponiamo: Gregory Corso, versi da Rapporto di campo

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Disegno di Corso che chiude “Rapporto di campo”

.

da RAPPORTO DI CAMPO

La notte muore nell’alba
come un gigantesco sbadiglio
Sono fuori sul campo
a fare rapporto
A chi faccio rapporto, volete saperlo?
Gli uccelli non sono spie?
Fanno rapporto agli alberi;
gli alberi fanno rapporto al vento
e il vento fa rapporto a tutti –
Ma è sempre lo stesso messaggio
Da ciò questo rapporto…
Rompe la monotonia
Io vedo lo stesso che vedono gli uccelli
Solo trasmettiamo diversamente
Comunque sono fuori sul campo
e dovreste che non è uno scherzo
– sopra fioccano pallottole
non sono vere, sono pallottole poetiche
È la musa, chi altro?
là fuori sulla banchina di tiro
Ha con sé Pegaso
Lui avverte tutti a TESTA GIÙ
Io urlo TU VOLA E VAFFANCÙ
Lei ride
Sapevo che l’avrei fatta ridere
No, non è per niente facile
specialmente quando devo combattere
con la mia particolare visione del mondo

Oh dio! ecco che passa Kelly
voi non lo conoscete
io sì e lui deve morire
non è più una pancia da Buddha
sono suppergiù quaranta litri d’acqua
che porta in giro come una gravidanza
Ecco sul colle Capitan Bill che è
…un’ombra di me
Fra due settimane sarà morto anche lui
È duro
parlare sinceramente a Dio
dire quel che senti davvero
senza scoppiare a ridere
(…)

Ho sostato in Piazza Colonna
(nome di mia madre da ragazza)
su Via del Corso
(nome di mia madre da sposata)
Questo vi dice qualcosa?
Se Gregory non sono me
allora perché tutta questa bella gioventù
si sbraccia per me?
Un cerchio è vuoto
come molto tempo fa in boccio
Pace! Possa la mia bomba far cilecca
Pace! Oh mondo tieniti la tua belletta
(…)

Tremore! Abbandono!
dannate stanze ammobiliate!
Prigioni! dannato
andar su e giù, su e giù
dannate eternità di muri che si fronteggiano
ore e poi ore, e io
che non sono mai stato sulla luna
– mettetemi al muro!
ma io sono indispensabile senza di me –
Quando sei un orfano hai bisogno di te
Avendo raggiunto la paternità
ho ottenuto il diploma all’orfanità –
Consegno il mio rapporto: (così per ridere)
Non ci sono collegamenti misteriosi
né atteggiamenti frivoli
né lassismi alla moda
abbasso i giorni di morte predeterminati
ah, questo trattato queste ore
io a Roma in tutto il mio fulgore –
sì questa leggerezza brevità frivolezza
così liberi e comodi, cavalcata di buon umore!

(…)

STOP

1989-90

.

Gregory Corso, da Poesie (Mindfield – Campo Mentale) – trad. di Massimo Bacigalupo, Newton Compton Editori, 2007 — dalla rivista on-line da Fili d’aquilone – num.8

*

Approfondimento:  si riporta integralmente l’articolo del 6 novembre 2010 pubblicato in Notizie in… Controluce, n. X/3, marzo 2001, pp. 20-21 e tratto da sullaletteratura.blogspot.it/

«Morte di un poeta Beat. Gregory Corso è morto nel gennaio scorso» di Nicola D’Ugo
Aveva settant’anni Gregory Nunzio Corso (1930-2001), il poeta più europeista della Beat Generation, il movimento che dagli anni cinquanta aveva aperto la via alla contestazione giovanile in America. Si è spento a gennaio all’ospedale di North Memorial Medical Center di Robbinsdale, nel Minnesota, dove a settembre si era trasferito a casa della figlia Sheri Langerman, un’infermiera, per un tumore alla prostata.
Poeta autodidatta (lesse il russo Dostoevskij, il francese Stendhal e l’inglese Percy Shelley in carcere), il suo linguaggio è considerato tutt’oggi il più onirico della Beat Generation, addirittura il più ingenuo e naïf.
Nell’intento di portare la poesia a un linguaggio colloquiale, di strada, tipico dei poeti newyorchesi degli anni cinquanta e sessanta, seppe raccontare in modo diretto, come una cronaca vocale estemporanea, gli eventi e lo stato di salute degli americani. Anzitutto evitando la retorica di massa, dei proclami giovanili che, nella misura in cui volevano essere rivoluzionari, finivano per essere nuovamente dettati da schematismi, abitudini e vincoli formali che contrastavano con l’idea di uomo libero cui Corso aspirava. Con la sua ironia ha scritto pagine provocatorie anti-Beat, nella misura in cui, al tempo, essere Beat significava essere alla moda.
Neppure all’interno della Beat Generation fu sempre compreso. Jack Keroack e Allen Ginsberg lo indicavano come il migliore poeta d’America, mentre un altro grande scrittore del movimento Beat, l’editore di City Lights Lawrence Ferlinghetti, gli negò una pubblicazione, ritenendola fascista: solo anni dopo comprese di essersi sbagliato, che Corso non amava i proclami e le ideologie canonizzate da un gruppo.
gregory_corsoAnche la poesia più celebre di Corso, “Bomb” (Bomba, 1958), fu oggetto di fraintendimento. Scritta a forma di fungo nucleare, è un’elegia satirica, ricca di ironia e ritmo. Dopo aver assistito alla dimostrazione di un esperimento nucleare in Inghilterra e all’accanimento dei pacifisti contro la bomba, il poeta newyorchese se la prese con l’espressione violenta del pacifismo stesso, componendo una “lettera d’amore” alla bomba atomica, contro la stupidità umana che genera violenza: per Corso la bomba era un prodotto della storia, di una mentalità di fondo sbagliata che stava coinvolgendo tutti, militaristi e pacifisti allo stesso modo, che vedeva ora contrastarsi su un terreno della violenza, quale espressione socialmente indotta nell’individuo e condivisa da entrambe le fazioni.
Il celebre film di Stanley Kubrick Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba uscì otto anni dopo, e assunse un linguaggio molto meno ambiguo della poesia di Gregory Corso. Del resto, questo modo ironico di scrivere un’elegia distruttiva contro il genere umano era già stato impiegato alla fine negli anni dieci dal più grande poeta della guerra e della pietà: Wilfred Owen (Poesie di guerra, Einaudi, Torino 1985).
Così, in “The American Way” (La Via Americana), gli strali del poeta italo-americano contro l’American dream prendono la piega di un discorso colloquiale, in cui addita, in linea con Walt Whitman, il male dell’America negli americani stessi e non nei loro governanti, che non sono consapevoli (e quindi responsabili) delle contraddizioni americane. La poesia di Corso, lo si nota nel parallelismo con la celebre poesia “America” di Allen Ginsberg, si colloca all’interno del processo storico, non solo nel proprio tempo e nell’attuale scenario politico.
Scrittore dal linguaggio ardito, senz’altro inconsueto, a volte bizzarro (come quando il mare gli dice che ciò che mangia è la madre adottiva e non un pesce), ma anche e specialmente da una lettura della vita fatta, prima che sui libri, per le strade, Gregory Corso era nato il 26 marzo 1930 a Greenwich Village, il quartiere bohémien di New York, dove sarebbero passati, oltre a Keroack e Ginsberg, personaggi leggendari come Dylan Thomas e Henry Miller e, quando divenne ricco, Bob Dylan. Tutt’altro che poetici i natali: i genitori non erano due bohémien, ma due adolescenti d’origine italiana di diciassette e sedici anni, che si lasciarono sei mesi dopo la nascita del poeta, e la madre ritornò in Italia.
Da allora la vita del bambino fu un susseguirsi impressionante di ricoveri in orfanotrofi, affidamenti a famiglie e fughe da casa del padre, che lo aveva ripreso con sé all’età di 11 anni. A dodici finisce in riformatorio, a diciassette sconta tre anni in carcere per il furto di una radio. È lì che apprende le difficoltà dei carcerati e la loro umanità, e comincia a scrivere poesie.
Uscito dal carcere, incontra in un bar di Greenwich Village frequentato da lesbiche il più noto poeta Beat, Allen Ginsberg, che lo introduce alla scrittura d’avanguardia, e di lì a poco alla fama fra gli scrittori newyorchesi. Ma non è una vita facile. A trent’anni passa da un lavoro all’altro, si imbarca per il Sudamerica e il Sudafrica, e approda infine in Europa. Nell’introduzione alla raccolta più celebre di Corso, Gasoline (Benzina), Allen Ginsberg segnala al lettore che Corso è forse il più grande poeta americano, ma di fatto fa la fame in Europa.
Erano anni in cui la Beat Generation subiva attacchi non solo dai circoli letterari tradizionali, ma dalle corti di giustizia, e in cui era facile essere additati come comunisti. Durante gli anni del terrore macarthista in America, Corso preferì abbandonare l’insegnamento della poesia di Shelley all’università piuttosto di sottoscrivere la dichiarazione di non essere un comunista. Più che al comunismo, l’attenzione di Corso era rivolta all’affrancamento dalle regole, attraverso la cultura classica e il buddismo, senza tralasciare il cristianesimo. Secondo Ann Douglas, professoressa di studi americani alla Columbia University, la poesia “Marriage” (Matrimonio) costituì un motivo di stimolo per l’emancipazione femminile:
«Le donne guardavano Corso e gli altri poeti Beat, e si chiedevano, “Se questi uomini stessi possono essere liberi dai ruoli prestabiliti del genere –sposarsi, lavorare per una corporazione e via dicendo– perché noi no?”» E ne seguivano l’esempio. Corso, che è stato sposato tre volte, terminava il componimento con: «Ah, eppure so bene che se una donna fosse possibile come io sono possibile allora il matrimonio sarebbe possibile.»
Sregolato, tossicodipendente e alcolista nella vita, anche negli ultimi tempi, da ammalato, non aveva perso l’attaccamento alla libertà di cui era noto in gioventù. La figlia Sheri Langerman racconta che lo scorso settembre lo aveva trovato in condizioni disperate, abbandonato a se stesso dentro casa, rifiutando l’aiuto degli amici:
Pensavo di dovergli già preparare il funerale, ma poi si era ripreso: abbastanza da bere, imprecare e organizzare di nuovo delle partite a poker.
Lo aveva portato con sé da New York in Minnesota, dove Corso, dopo un iniziale «shock culturale», si era messo a giocare con i nipoti e a uscire di casa. E non aveva perso neppure la vena umoristica:
Una volta lo abbiamo portato al casinò in sedia a rotelle, tutto avvolto in coperte a fiorellini, che pareva la madre di Whistler. Si è portato via 1.200 dollari dal tavolo del blackjack. Quando l’addetto del casinò lo ha chiamato “Signora”, lui ha commentato: “Lo prendo per un complimento. Vuol dire che ho una bella pelle.”
Corso ha continuato a lavorare fine all’ultimo. «La Poesia è il mio Paradiso,» diceva da ragazzo. La settimana prima di morire aveva registrato un CD di musica e poesia con Marianne Faithfull a casa della figlia Sheri. Ha lasciato cinque figli, sette nipoti e un pronipote. Prima di morire aveva espresso il desiderio che, dopo i funerali nella chiesa di Our Lady of Pompeii (Nostra Signora di Pompei) a Greenwich Village, le sue ceneri venissero seppellite in Italia, nel cimitero acattolico di Roma, accanto alla tomba del poeta romantico inglese Percy Shelley.
Leggere oggi la sua poesia aiuta a comprendere le atmosfere e le riflessioni di un uomo che ha vissuto e raccontato uno dei periodi più significativi e controversi del dopoguerra, nel quale, accanto al boom economico e alla guerra fredda, si manifestavano nuove esigenze di libertà individuale e repressione ideologica nel paese della democrazia più famosa.

 

Robert Frost, due poesie

Due poesie da Robert Frost “Fuoco e ghiaccio”, trad.Silvia Bre, Adelphi, 2022.

*

Il taglio del fieno

Nessun rumore accanto al bosco, solo
la lunga falce sussurrava al suolo.
Sussurrava che cosa? Va’ a saperlo;
riguardava magari il sole caldo,
o forse invece l’assenza di rumore –
ecco perché sussurri e non parole.
Non era il dono in sogno di ore oziose
né l’oro alla portata di elfi o fate:
ogni aggiunta alla verità suonava fioca
al serio amore che allineava i fossi,
incluse lievi spighe di fiori (pallide
orchis) e impauriva un serpe verde lucido.
Il reale è il dolce sogno del lavoro.
Lei sussurrava, lasciando il fieno a farsi.

~

L’assalto

Sempre così, quando una notte fatale
la neve accumulata infine cade
bianca nel nero bosco, e con un canto
che mai ripeterà lungo l’inverno
sibilato sul suolo ancora sgombro,
guardando in alto e intorno io quasi inciampo
come uno che sorpreso dalla fine
rinuncia al compito e lascia che la morte
scenda su lui dov’è, senza agire
sul male, senza riportare trionfi,
come non fosse iniziata mai la vita.

Eppure dalla mia ho i precedenti:
so che la morte invernale sfida la terra
solo per fallire: la neve in lunghe tormente
può arrivare senza vento a un metro
contro le querce, le betulle, gli aceri,
ma non frena il gracidio argento delle rane;
e vedrò la neve precipitare a valle
nell’acqua di un rio d’aprile che guizza
tra felci e erbe morte dell’anno prima
come un serpente che sparisce. Nulla
di bianco rimarrà, se non qui una betulla,
un grappolo di case là con una chiesa.

*

Robert Lee Frost (1874 – 1963) è stato un poeta statunitense. È uno dei più noti e importanti poeti americani; fu anche traduttore, drammaturgo e vincitore per quattro volte del Premio Pulitzer.

Robert Frost, tre poesie

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Robert Lee Frost (1874-1963) è stato un poeta statunitense. È uno dei più noti e importanti poeti americani e fu anche traduttore e drammaturgo.

🕊

Confidenza con la notte

sono uno che ha confidenza con la notte.
Ho fatto nella pioggia la strada avanti e indietro.
Ho oltrepassato l’ultima luce della città.

Sono andato a frugare giù nel vicolo più tetro.
Ho incontrato la guardia nel suo giro
Ed ho abbassato gli occhi, per non spiegare.

Io ho trattenuto il passo e il mio respiro
Quando da molto lontano un grido strozzato
Giungeva oltre le case da un’altra strada,

Ma non per richiamarmi o dirmi un commiato;
E ancora più lontano, a un’incredibile altezza,
Sullo sfondo del cielo un orologio illuminato

Proclamava che il tempo non era giusto, né errato.
Io sono uno che ha confidenza con la notte.

*

Luoghi deserti

Fitte cadere notte e neve, oh, fitte
In un campo ho guardato passando oltre
E il suolo quasi uniforme sotto la coltre
Più non mostra che fili d’erba e stoppie.

I boschi intorno sono padroni del campo.
Ogni animale soffoca nella tana.
Io non conto, perché la mia mente è lontana:
La solitudine in sé inavvertito mi chiude.

E, solitaria com’è, la solitudine
Ancor più solitaria, anzi che meno, sarà
– Un candore più vacuo di neve ottenebrata
Senza espressione, senza nulla da esprimere.

Non mi fanno paura coi loro spazi aperti
E vuoti fra le stelle dove non è stirpe umana,
Quando io posso da me così vicino a casa
Far paura a me stesso con i miei luoghi deserti.

(Traduzione di Giovanni Giudici)

*

La strada non presa

Due strade divergevano in un bosco giallo
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei.

Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella,
e aveva forse l’ aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata,
sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili.

Ed entrambe quella mattina erano lì uguali,
con foglie che nessun passo aveva annerito.

Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io –
io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza.

Emily Dickinson, breve selezione di poesie

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Emily Dickinson, breve selezione di poesie

Non sapendo quando l’alba possa venire
lascio aperta ogni porta,
che abbia ali come un uccello
oppure onde, come spiaggia.

*

Il pettirosso prova le sue ali.
Non conosce la via,
ma si mette in viaggio verso una primavera
di cui ha udito parlare.

*

Chi non ha trovato il Paradiso − quaggiù −
Lo mancherà lassù −
Perché gli Angeli prendono Casa
accanto alla nostra,
Ovunque ci spostiamo.

*

A un cuore in pezzi
Nessuno s’avvicini
Senza l’alto privilegio
Di aver sofferto altrettanto

*

Ma se fossimo in due
invece di uno,
la barca e il rematore, una suprema estate,
chissà se non potremmo toccare il sole?

Adrienne Rich, From an Atlas of the Difficult World

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Adrienne Rich (1929 – 2012)è stata una poetessa, saggista, insegnante e femminista statunitense.

~

Da un atlante del mondo difficile

So che stai leggendo tardi questa
poesia, prima di lasciare l’ ufficio
con l’abbagliante lampada gialla e la finestra nel buio
nell’apatia di un fabbricato sbiadito nella quiete
dopo l’ora di traffico. So che stai leggendo questa poesia
in piedi nella libreria lontano dall’oceano
in un giorno grigio di primavera, fiocchi sparsi di neve
spinti attraverso enormi spazi di pianure intorno a te.
So che stai leggendo questa poesia
in una stanza dove tanto è accaduto che non puoi sopportare
dove i vestiti giacciono sul letto in cumuli stagnanti
e la valigia aperta parla di fughe
ma non puoi ancora partire. So che stai leggendo questa poesia
mentre il treno della metropolitana perde velocità e prima di salire
le scale
verso un nuovo tipo d’amore
che la vita non ti ha mai concesso.
So che stai leggendo questa poesia alla luce
del televisore dove immagini mute saltano e scivolano
mentre tu attendi le telenotizie sull’intifada.
So che stai leggendo questa poesia in una sala d’attesa
Di occhi che s’incontrano sì e no, d’identità con estranei.
So che stai leggendo questa poesia sotto la luce al neon
nel tedio e nella stanchezza dei giovani fuori gioco,
che si mettono fuori gioco quando sono ancora troppo giovani.
So che stai leggendo questa poesia con una vista non più buona, le spesse lenti
ingigantiscono queste lettere oltre ogni significato però
continui a leggere perché anche l’alfabeto è prezioso.
So che stai leggendo questa poesia mentre vai e vieni accanto alla stufa
scaldando il latte, sulla spalla un bambino che piange, un libro
nella mano
poiché la vita è breve e anche tu hai sete.
So che stai leggendo questa poesia non scritta nella tua lingua
indovinando alcune parole mentre altre continui a leggerle
e voglio sapere quali siano queste parole.
So che stai leggendo questa poesia mentre ascolti qualcosa,
diviso fra rabbia e speranza
ricominciano a fare di nuovo il lavoro che non puoi rifiutare.
So che stai leggendo questa poesia perché non rimane
nient’altro da leggere
là dove sei atterrato, completamente nudo.

*

From an Atlas of the Difficult World 

I know you are reading this poem
late, before leaving your office
of the one intense yellow lamp-spot and the darkening window
in the lassitude of a building faded to quiet
long after rush-hour. I know you are reading this poem
standing up in a bookstore far from the ocean
on a grey day of early spring, faint flakes driven
across the plains’ enormous spaces around you.
I know you are reading this poem
in a room where too much has happened for you to bear
where the bedclothes lie in stagnant coils on the bed
and the open valise speaks of flight
but you cannot leave yet. I know you are reading this poem
as the underground train loses momentum and before running
up the stairs
toward a new kind of love
your life has never allowed.
I know you are reading this poem by the light
of the television screen where soundless images jerk and slide
while you wait for the newscast from the intifada.
I know you are reading this poem in a waiting-room
of eyes met and unmeeting, of identity with strangers.
I know you are reading this poem by fluorescent light
in the boredom and fatigue of the young who are counted out,
count themselves out, at too early an age. I know
you are reading this poem through your failing sight, the thick
lens enlarging these letters beyond all meaning yet you read on
because even the alphabet is precious.
I know you are reading this poem as you pace beside the stove
warming milk, a crying child on your shoulder, a book in your
hand
because life is short and you too are thirsty.
I know you are reading this poem which is not in your language
guessing at some words while others keep you reading
and I want to know which words they are.
I know you are reading this poem listening for something, torn
between bitterness and hope
turning back once again to the task you cannot refuse.
I know you are reading this poem because there is nothing else
left to read
there where you have landed, stripped as you are.

(In apertura, opera di Edward Hopper: “Office in a Small City Department”)

Edgar Allan Poe, tre poesie

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Coloro che sognano di giorno sono consapevoli di molte cose che sfuggono a coloro che sognano solo di notte.
Nelle loro visioni grigie captano sprazzi d’eternità e tremano, svegliandosi, nello scoprire di essere giunti al limite del grande segreto.
In un attimo, apprendono qualcosa del discernimento del bene e qualcosa più che la pura e semplice conoscenza del male. 

*

I miei incantesimi sono infranti

I miei incantesimi sono infranti.
La penna mi cade, impotente, dalla mano tremante.
Se il mio libro è il tuo caro nome, per quanto mi preghi,
non posso più scrivere. Non posso pensare, né parlare,
ahimè non posso sentire più nulla,
poiché non è nemmeno un’emozione,
questo immobile arrestarsi sulla dorata
soglia del cancello spalancato dei sogni,
fissando in estasi lo splendido scorcio,
e fremendo nel vedere, a destra
e a sinistra, e per tutto il viale,
fra purpurei vapori, lontano
dove termina il panorama nient’altro che Te.

~

Il lago

Nel fior di giovinezza, ebbi in sorte
d’abitar del vasto mondo un luogo
che non poteva ch’essermi caro e diletto –
tanto m’era dolce d’un ermo lago
la selvaggia bellezza, cinto di nere rocce,
con alti pini torreggianti intorno.
.
Ma poi che Notte, come su tutto,
aveva lì disteso il suo manto,
e il mistico vento e melodioso
passava sussurrando – oh, allora,
con un sussulto io mi destavo
al terrore di quel solitario lago.
.
Pure, non mi dava spavento quel terrore,
ma anzi un tiepido diletto –
un diletto che nè miniere di gemme
nè lusinghe o donativi mai potrebbero
indurmi a definir qual era –
e neanche Amore – fosse anche l’Amor tuo.
.
Morte abitava in quelle acque attossicate,
e una tomba nel profondo gorgo
era disposta per chi sapesse ricavarne
un sollievo al suo immaginare:
il solingo spirito sapesse fare
un Eden di quell’oscuro lago.

~

A…

Non m’importa che la mia sorte terrena
Abbia assai poco di terreno in sé,
che anni d’amore si siano perduti
in un solo minuto di rancore.
Né mi addolora che altri disperati
Di me, mia cara, siano più felici,
ma che tu soffra per questo mio destino,
che mi porta a fuggire sempre via.

*
Edgar Allan Poe
.
.

T.S.Eliot, tre poesie

ph Angela Greco AnGre - Massafra

T.S.Eliot, tre poesie

Su un ritratto

Fra una folla di sogni tenui, ignoti
a noi di mente inquieta e piedi stanchi,
sempre di corsa su e giù per strada,
essa indugia di sera, sola nella stanza.

Non come una dea tranquilla scolpita in pietra
ma evanescente, come se incontrassimo
una lamia pensosa in un ritiro agreste,
una fantasia smateriata di nostra invenzione.

Nessuna meditazione gaia o minacciosa
disturba quelle labbra, o muove le mani fini;
i suoi occhi neri i loro segreti nascondono,
oltre l’ambito dei nostri pensieri essa sosta.

Il pappagallo sulla stanga, spia silenziosa,
la osserva con occhio paziente e curioso.

~

Canto di Simeone

Signore, i giacinti romani fioriscono nei vasi
e il sole d’inverno rade i colli nevicati:
l’ostinata stagione si diffonde…
La mia vita leggera attende il vento di morte
come piuma sul dorso della mano.
La polvere nel sole e il ricordo negli angoli
attendono il vento che corre freddo alla terra deserta.
Accordaci la pace.
Molti anni camminai tra queste mura,
serbai fede e digiuno, provvedetti
ai poveri, ebbi e resi onori ed agi.
Nessuno fu respinto alla mia porta.
Chi penserà al mio tetto, dove vivranno i figli dei miei figli,
quando arriverà il giorno del dolore?
Prenderanno il sentiero delle capre, la tana delle volpi
fuggendo i volti ignoti e le spade straniere.
Prima che tempo sia di corde verghe e lamenti
dacci la pace tua.
Prima che sia la sosta nei monti desolati,
prima che giunga l’ora di un materno dolore,
in quest’età di nascita e di morte
possa il Figliuolo, il Verbo non pronunciante ancora e impronunciato
dar la consolazione d’Israele
a un uomo che ha ottant’anni e che non ha domani.
Secondo la promessa
soffrirà chi Ti loda a ogni generazione,
tra gloria e scherno, luce sopra luce,
e la scala dei santi ascenderà.
Non martirio per me – estasi di pensiero e di preghiera –
nè la visione estrema.
Concedimi la pace.
(Ed una spada passerà il tuo cuore,
anche il tuo cuore).
Sono stanco della mia vita e di quella di chi verrà.
Muoio della mia morte e di quella di chi poi morrà.
Fa che il tuo servo partendo
veda la tua salvezza.

(Trad. di Eugenio Montale)

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Il nome dei gatti

E’ una faccenda difficile mettere il nome ai gatti;
niente che abbia a che vedere, infatti,
con i soliti giochi di fine settimana.
Potete anche pensare a prima vista,
che io sia matto come un cappellaio,
eppure, a conti fatti,
vi assicuro che un gatto deve avere in lista,
TRE NOMI DIFFERENTI. Prima di tutto quello che in
famiglia
potrà essere usato quotidianamente,
un nome come Pietro, Augusto, o come
Alonzo, Clemente;
come Vittorio o Gionata, oppure Giorgio o Giacomo
Vaniglia –
tutti nomi sensati per ogni esigenza corrente.
Ma se pensate che abbiano un suono più ameno,
nomi più fantasiosi si possono consigliare:
qualcuno pertinente ai gentiluomini,
altri più adatti invece alle signore:
nomi come Platone o Admeto, Elettra o
Filodemo –
tutti nomi sensati a scopo familiare.
Ma io vi dico che un gatto ha bisogno di un nome
che sia particolare, e peculiare, più dignitoso;
come potrebbe, altrimenti, mantenere la coda
perpendicolare,
mettere in mostra i baffi o sentirsi orgoglioso?
Nomi di questo genere posso fornirvene un quorum,
nomi come Mustràppola, Tisquàss o Ciprincolta,
nome Babalurina o Mostradorum,
nomi che vanno bene soltanto a un gatto per volta.
Comunque gira e rigira manca ancora un nome:
quello che non potete nemmeno indovinare,
né la ricerca umana è in grado di scovare;
ma IL GATTO LO CONOSCE, anche se ma lo confessa.
Quando vedete un gatto in profonda meditazione,
la ragione, credetemi, è sempre la stessa:
ha la mente perduta in rapimento ed in contemplazione
del pensiero, del pensiero, del pensiero del suo nome:
del suo ineffabile effabile
effineffabile
profondo e inscrutabile unico NOME.

(Trad. di Roberto Sanesi)

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Thomas Stearns Eliot [Saint Louis (Stati Uniti) 26 Settembre1888 – 4 gennaio 1965, Kensington, Londra, Regno Unito], americano, ma naturalizzato inglese, e convertito al cattolicesimo, è considerato il massimo poeta anglosassone oltre che critico di primo piano, particolarmente noto in Italia per i suoi studi su Dante. E l’influsso dantesco è sensibilissimo nella sua poesia, animata da una intensa simbologia, in un intenzionale ritorno ai Metafisici inglesi del ‘600. Ma anche la musica, la sua struttura e qualità tematica, piuttosto che il suo carattere melodico, ha lasciato tracce profonde nella architettura dei suoi poemi (Quattro Quartetti è il titolo del suo libro di versi ). Nel 1948 ha conseguito il Premio Nobel per la letteratura. [dal web]

Emily Dickinson, due poesie con traduzione

erica-scozia

Se tutti i dolori che dovrò provare
Venissero in una volta oggi,
Sono così felice che credo
Riderebbero e scapperebbero.

Se tutte le gioie che dovrò provare
Venissero in una volta oggi,
Non potrebbero essere grandi come questa
Che a me si manifesta ora.

If all the griefs I am to have
Would only come today,
I am so happy I believe
They’d laugh and run away.

If all the joys I am to have
Would only come today,
They could not be so big as this
That happens to me now.

*

I disordini del cuore
La polizia non può reprimere
Il tumulto una volta iniziato
È autorizzato come la pace.

Non certificato dalla vista
O rivelato dal suono
Ma in crescendo come un uragano
In un terreno congeniale.

The mob within the heart
Police cannot suppress
The riot given at the first
Is authorized as peace

 Uncertified of scene
Or signified of sound
But growing like a hurricane
In a congenial ground.

Emily Dickinson, The Complete Poems

Traduzione e note di Giuseppe Ierolli – http://www.emilydickinson.it/