T.S.Eliot, tre poesie

ph Angela Greco AnGre - Massafra

T.S.Eliot, tre poesie

Su un ritratto

Fra una folla di sogni tenui, ignoti
a noi di mente inquieta e piedi stanchi,
sempre di corsa su e giù per strada,
essa indugia di sera, sola nella stanza.

Non come una dea tranquilla scolpita in pietra
ma evanescente, come se incontrassimo
una lamia pensosa in un ritiro agreste,
una fantasia smateriata di nostra invenzione.

Nessuna meditazione gaia o minacciosa
disturba quelle labbra, o muove le mani fini;
i suoi occhi neri i loro segreti nascondono,
oltre l’ambito dei nostri pensieri essa sosta.

Il pappagallo sulla stanga, spia silenziosa,
la osserva con occhio paziente e curioso.

~

Canto di Simeone

Signore, i giacinti romani fioriscono nei vasi
e il sole d’inverno rade i colli nevicati:
l’ostinata stagione si diffonde…
La mia vita leggera attende il vento di morte
come piuma sul dorso della mano.
La polvere nel sole e il ricordo negli angoli
attendono il vento che corre freddo alla terra deserta.
Accordaci la pace.
Molti anni camminai tra queste mura,
serbai fede e digiuno, provvedetti
ai poveri, ebbi e resi onori ed agi.
Nessuno fu respinto alla mia porta.
Chi penserà al mio tetto, dove vivranno i figli dei miei figli,
quando arriverà il giorno del dolore?
Prenderanno il sentiero delle capre, la tana delle volpi
fuggendo i volti ignoti e le spade straniere.
Prima che tempo sia di corde verghe e lamenti
dacci la pace tua.
Prima che sia la sosta nei monti desolati,
prima che giunga l’ora di un materno dolore,
in quest’età di nascita e di morte
possa il Figliuolo, il Verbo non pronunciante ancora e impronunciato
dar la consolazione d’Israele
a un uomo che ha ottant’anni e che non ha domani.
Secondo la promessa
soffrirà chi Ti loda a ogni generazione,
tra gloria e scherno, luce sopra luce,
e la scala dei santi ascenderà.
Non martirio per me – estasi di pensiero e di preghiera –
nè la visione estrema.
Concedimi la pace.
(Ed una spada passerà il tuo cuore,
anche il tuo cuore).
Sono stanco della mia vita e di quella di chi verrà.
Muoio della mia morte e di quella di chi poi morrà.
Fa che il tuo servo partendo
veda la tua salvezza.

(Trad. di Eugenio Montale)

~

Il nome dei gatti

E’ una faccenda difficile mettere il nome ai gatti;
niente che abbia a che vedere, infatti,
con i soliti giochi di fine settimana.
Potete anche pensare a prima vista,
che io sia matto come un cappellaio,
eppure, a conti fatti,
vi assicuro che un gatto deve avere in lista,
TRE NOMI DIFFERENTI. Prima di tutto quello che in
famiglia
potrà essere usato quotidianamente,
un nome come Pietro, Augusto, o come
Alonzo, Clemente;
come Vittorio o Gionata, oppure Giorgio o Giacomo
Vaniglia –
tutti nomi sensati per ogni esigenza corrente.
Ma se pensate che abbiano un suono più ameno,
nomi più fantasiosi si possono consigliare:
qualcuno pertinente ai gentiluomini,
altri più adatti invece alle signore:
nomi come Platone o Admeto, Elettra o
Filodemo –
tutti nomi sensati a scopo familiare.
Ma io vi dico che un gatto ha bisogno di un nome
che sia particolare, e peculiare, più dignitoso;
come potrebbe, altrimenti, mantenere la coda
perpendicolare,
mettere in mostra i baffi o sentirsi orgoglioso?
Nomi di questo genere posso fornirvene un quorum,
nomi come Mustràppola, Tisquàss o Ciprincolta,
nome Babalurina o Mostradorum,
nomi che vanno bene soltanto a un gatto per volta.
Comunque gira e rigira manca ancora un nome:
quello che non potete nemmeno indovinare,
né la ricerca umana è in grado di scovare;
ma IL GATTO LO CONOSCE, anche se ma lo confessa.
Quando vedete un gatto in profonda meditazione,
la ragione, credetemi, è sempre la stessa:
ha la mente perduta in rapimento ed in contemplazione
del pensiero, del pensiero, del pensiero del suo nome:
del suo ineffabile effabile
effineffabile
profondo e inscrutabile unico NOME.

(Trad. di Roberto Sanesi)

*

Thomas Stearns Eliot [Saint Louis (Stati Uniti) 26 Settembre1888 – 4 gennaio 1965, Kensington, Londra, Regno Unito], americano, ma naturalizzato inglese, e convertito al cattolicesimo, è considerato il massimo poeta anglosassone oltre che critico di primo piano, particolarmente noto in Italia per i suoi studi su Dante. E l’influsso dantesco è sensibilissimo nella sua poesia, animata da una intensa simbologia, in un intenzionale ritorno ai Metafisici inglesi del ‘600. Ma anche la musica, la sua struttura e qualità tematica, piuttosto che il suo carattere melodico, ha lasciato tracce profonde nella architettura dei suoi poemi (Quattro Quartetti è il titolo del suo libro di versi ). Nel 1948 ha conseguito il Premio Nobel per la letteratura. [dal web]

Emily Dickinson, due poesie con traduzione

erica-scozia

Se tutti i dolori che dovrò provare
Venissero in una volta oggi,
Sono così felice che credo
Riderebbero e scapperebbero.

Se tutte le gioie che dovrò provare
Venissero in una volta oggi,
Non potrebbero essere grandi come questa
Che a me si manifesta ora.

If all the griefs I am to have
Would only come today,
I am so happy I believe
They’d laugh and run away.

If all the joys I am to have
Would only come today,
They could not be so big as this
That happens to me now.

*

I disordini del cuore
La polizia non può reprimere
Il tumulto una volta iniziato
È autorizzato come la pace.

Non certificato dalla vista
O rivelato dal suono
Ma in crescendo come un uragano
In un terreno congeniale.

The mob within the heart
Police cannot suppress
The riot given at the first
Is authorized as peace

 Uncertified of scene
Or signified of sound
But growing like a hurricane
In a congenial ground.

Emily Dickinson, The Complete Poems

Traduzione e note di Giuseppe Ierolli – http://www.emilydickinson.it/

T.S.Eliot, Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock

Calder mobiles

T.S.Eliot, Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock

S’io credessi che mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
questa fiamma staria senza più scosse.
Ma per ciò che giammai di questo fondo
non tornò vivo alcun, s’i’odo il vero,
senza tema d’infamia ti rispondo.

Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo
E ristoranti pieni di segatura e gusci d’ostriche;
Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l’insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono…
Oh, non chiedere « Cosa? »
Andiamo a fare la nostra visita.

Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.

La nebbia gialla che strofina la schiena contro i vetri,
Il fumo giallo che strofina il suo muso contro i vetri
Lambì con la sua lingua gli angoli della sera,
Indugiò sulle pozze stagnanti negli scoli,
Lasciò che gli cadesse sulla schiena la fuliggine che cade dai camini,
Scivolò sul terrazzo, spiccò un balzo improvviso,
E vedendo che era una soffice sera d’ottobre
S’arricciolò attorno alla casa, e si assopì.

E di sicuro ci sarà tempo
Per il fumo giallo che scivola lungo la strada
Strofinando la schiena contro i vetri;
Ci sarà tempo, ci sarà tempo
Per prepararti una faccia per incontrare le facce che incontri;
Ci sarà tempo per uccidere e creare,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul tuo piatto;
Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un tè col pane abbrustolito

Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.

E di sicuro ci sarà tempo
Di chiedere, «Posso osare?» e, «Posso osare?»
Tempo di volgere il capo e scendere la scala,
Con una zona calva in mezzo ai miei capelli –
(Diranno: «Come diventano radi i suoi capelli!»)
Con il mio abito per la mattina, con il colletto solido che arriva fino al mento,
Con la cravatta ricca e modesta, ma asseríta da un semplice spillo –
(Diranno: «Come gli son diventate sottili le gambe e le braccia!»)
Oserò
Turbare l’universo?
In un attimo solo c’è tempo
Per decisioni e revisioni che un attimo solo invertirà

Perché già tutte le ho conosciute, conosciute tutte: –
Ho conosciuto le sere, le mattine, i pomeriggi,
Ho misurato la mia vita con cucchiaini da caffè;
Conosco le voci che muoiono con un morente declino
Sotto la musica giunta da una stanza più lontana.
Così, come potrei rischiare?
E ho conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti –
Gli occhi che ti fissano in una frase formulata,
E quando sono formulato, appuntato a uno spillo,
Quando sono trafitto da uno spillo e mi dibatto sul muro
Come potrei allora cominciare
A sputar fuori tutti i mozziconi dei miei giorni e delle mie abitudini?
Come potrei rischiare?
E ho già conosciuto le braccia, conosciute tutte –
Le braccia ingioiellate e bianche e nude
(Ma alla luce di una lampada avvilite da una leggera peluria bruna!)
E’ il profumo che viene da un vestito
Che mi fa divagare a questo modo?
Braccia appoggiate a un tavolo, o avvolte in uno scialle.
Potrei rischiare, allora?-
Come potrei cominciare?

. . . . . . . . . . . .

Direi, ho camminato al crepuscolo per strade strette
Ed ho osservato il fumo che sale dalle pipe
D’uomini solitari in maniche di camicia affacciati alle finestre?…

Avrei potuto essere un paio di ruvidi artigli
Che corrono sul fondo di mari silenziosi

. . . . . . . . . . . . .

E il pomeriggio, la sera, dorme così tranquillamente!
Lisciata da lunghe dita,
Addormentata… stanca… o gioca a fare la malata,
Sdraiata sul pavimento, qui fra te e me.
Potrei, dopo il tè e le paste e i gelati,
Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?
Ma sebbene abbia pianto e digiunato, pianto e pregato,

Sebbene abbia visto il mio capo (che comincia un po’ a perdere i capelli)
Portato su un vassoio,
lo non sono un profeta – e non ha molta importanza;
Ho visto vacillare il momento della mia grandezza,
E ho visto l’eterno Lacchè reggere il mio soprabito ghignando,
E a farla breve, ne ho avuto paura.

E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Dopo le tazze, la marmellata e il tè,
E fra la porcellana e qualche chiacchiera
Fra te e me, ne sarebbe valsa la pena
D’affrontare il problema sorridendo,
Di comprimere tutto l’universo in una palla
E di farlo rotolare verso una domanda che opprime,
Di dire: « lo sono Lazzaro, vengo dal regno dei morti,
Torno per dirvi tutto, vi dirò tutto » –
Se una, mettendole un cuscino accanto al capo,
Dicesse: « Non è per niente questo che volevo dire.
Non è questo, per niente. »
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Ne sarebbe valsa la pena,
Dopo i tramonti e i cortili e le strade spruzzate di pioggia,
Dopo i romanzi, dopo le tazze da tè, dopo le gonne strascicate sul pavimento
E questo, e tante altre cose? –
E’ impossibile dire ciò che intendo!
Ma come se una lanterna magica proiettasse il disegno dei nervi su uno schermo:
Ne sarebbe valsa la pena
Se una, accomodandosi un cuscino o togliendosi uno scialle,
E volgendosi verso la finestra, dicesse:
« Non è per niente questo,
Non è per niente questo che volevo dire. »

. . . . . . . . . . .

No! lo non sono il Principe Amleto, né ero destinato ad esserlo;
Io sono un cortigiano, sono uno
Utile forse a ingrossare un corteo, a dar l’avvio a una scena o due,
Ad avvisare il principe; uno strumento facile, di certo,
Deferente, felice di mostrarsi utile,
Prudente, cauto, meticoloso;
Pieno di nobili sentenze, ma un po’ ottuso;
Talvolta, in verità, quasi ridicolo –
E quasi, a volte, il Buffone.

Divento vecchio… divento vecchio…
Porterò i pantaloni arrotolati in fondo.

Dividerò i miei capelli sulla nuca? Avrò il coraggio di mangiare una pesca?
Porterò pantaloni di flanella bianca, e camminerò sulla spiaggia.
Ho udito le sirene cantare l’una all’altra.

Non credo che canteranno per me.

Le ho viste al largo cavalcare l’onde
Pettinare la candida chioma dell’onde risospinte:
Quando il vento rigonfia l’acqua bianca e nera.

Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare
Con le figlie del mare incoronate d’alghe rosse e brune
Finché le voci umane ci svegliano, e anneghiamo.

(per questo testo si ringrazia il sito Nuovi Argomenti) 

– in apertura opere di Alexander Calder –

Ezra Pound, tre poesie

Ezra Weston Loomis Pound (Hailey, ottobre 1885 – Venezia, novembre 1972), tre poesie

Histrion

Nessuno mai osò scrivere questo,
ma io so come le anime dei grandi
talvolta dimorano in noi,
e in esse fusi non siamo che
il riflesso di queste anime.
Così son Dante per un po’ e sono
un certo Francois Villon, ladro poeta
o sono chi per santità nominare
farebbe blasfemo il mio nome;
un attimo e la fiamma muore.
Come nel centro nostro ardesse una sfera
trasparente oro fuso, il nostro “Io”
e in questa qualche forma s’infonde:
Cristo o Giovanni o il Fiorentino;
e poi che ogni forma imposta
radia il chiaro della sfera,
noi cessiamo dall’essere allora
e i maestri delle nostre anime perdurano.

.

Soffitta

Vieni, compiangiamoli quelli che stanno meglio di noi.
Vieni, amica, e ricorda
che i ricchi han maggiordomi e non amici,
e noi abbiamo amici e non maggiordomi.
Vieni, compiangiamo gli sposati e i non sposati.

L’aurora entra a passettini
come una dorata Pavlova,
e io son presso al mio desiderio.
Né ha la vita in sé qualcosa di migliore
che quest’ora di chiara freschezza,
l’ora di svegliarsi in amore.

.

Litania notturna a Venezia

“O Dieu, purifiez nos coeurs!
 purifiez nos coeurs!

Oh sì, la mia strada hai segnato
in piacevoli luoghi,
E la bellezza di questa tua Venezia
m’hai rivelata
Che la sua grazia è divenuta in me
 una cosa di lacrime.

O Dio, quale grande gesto di bontà
abbiamo fatto in passato,
e dimenticato,
Che tu ci doni questa meraviglia,
O Dio delle acque?

O Dio della notte,
Quale grande dolore
Viene verso di noi,
Che tu ce ne compensi così
Prima del tempo?

O Dio del silenzio
Purifiez nos coeurs,
Purifiez nos coeurs,
Poiché abbiamo visto
La gloria dell’ombra della
Immagine della tua ancella,
Sì la gloria dell’ombra
della tua Bellezza ha camminato
Sull’ombra delle acque
In questa tua Venezia.
E dinnanzi alla santità
Dell’ombra della tua ancella
Mi sono coperto gli occhi,
O Dio delle acque.

O Dio del silenzio,
Purifiez nos coeurs,
Purifiez nos coeurs,
O Dio delle acque,
illimpidiscici il cuore
Poiché ho visto
L’ombra di questa tua Venezia
Fluttuare sulle acque,
E le tue stelle
Hanno visto questa cosa, da loro corso remoto
Hanno visto questa cosa
O Dio delle acque,
Come le tue stelle
A noi son mute nella loro corsa remota,
Così il mio cuore
in me è divenuto silenzioso.

Purifiez nos coeurs,
O Dio del silenzio,
Purifiez nos coeurs,
O Dio delle acque.”


(testi dal web - in apertura, foto di Gianni Berengo Gardin) 

Timothy Houghton, due poesie da The internal distance

 Timothy Houghton, poesie da The internal distance – selected poems 1989-2012, traduzione di Luigi Fontanella, ed.Mimesis Hebenon (clicca QUI per leggere altro su questo Autore)

Windows
.
The moon
mixing with branches and strretlights,
the voice of your painting
tangles and lifts
the grid rhat overlies our street,
…………………………………………..and nothing
goes on without us. Our city was more complex
than we had ever thought, maybe impossible
like stars we saw tonight
……………………………….from behind our windows – incredibly
despite the streetlights; and how those stars changed
after hours of silence in the streets,
……………………………………………….and we looked again
and saw the snow collected below the lights, falling blue.
Through what other glass,
we wondered, is it the same way there, the same way.
.
.
.
Finestre
.
La luna
confondendosi tra rami e lampioni,
la voce del tuo quadro,
solleva e scompiglia
il reticolo che grava sulle nostre strade,
………………………………………………….e niente
accade senza noi. La nostra città era più misteriosa
di quanto avremmo mai potuto immaginare, quasi irreale,
come le stelle che abbiamo visto stanotte
………………………………………….da dietro le finestre – incredibilmente,
a dispetto dei lampioni; e come quelle stelle mutavano
dopo ore di silenzio nelle strade,
………………………………………….e noi abbiamo guardato di nuovo
e visto la neve, accumulata sotto la luce, cadere con azzurri riflessi.
Attraverso quale altro vetro,
ci siamo chiesti stupiti, è così altrove, è così.
 

*

Sanctuary

Sometimes during visits
we see our mother pretending to bustle

in the quiet of her bedroom
that’s used for storage now –

where she’s kept the windows
swollen shut for over thirty years

for fear that loosening them
will break the glass. The unwashed panes

are giant laboratory slides
preserving a soup of grit and oils

from children’s fingertips:
a history of touches

between herself and the birches
which line our street. The whole warmth

of sunlight coming free of a cloud
and coming in – not here. Lately

my brothers and I discovered
one of our father’s coats

still hanging in the closet
and stood there trading memories

of seeing different aspects of him
in that herring-bone brown.

This means we’ve stopped teasing her
about the room. We keep quiet.

.
Santuario

A volte in occasione di visite
vediamo nostra madre trafficare con falsi pretesti

nella calma della sua vecchia camera da letto,
ora usata come ripostiglio-

dove lei tiene le finestre
ingrossate, chiuse da oltre trent’anni,

per paura che nell’aprirsi
si rompa il vetro. I vetri non lavati

sono vetrini giganti di laboratorio
che proteggono l’attaccaticcio di sporco e di unto

di ditate di bambini:
un passato di strusciate di mano

tra lei e le betulle
che fiancheggiano la nostra strada. Tutto il calore

della luce del sole sfuggito a una nuvola
entra – non qui. Ultimamente

i miei fratelli ed io abbiamo scoperto
uno dei cappotti di nostro padre

ancora appeso nell’armadio
e siamo rimasti lì davanti, scambiandoci ricordi

e ritrovando ogni lato del suo carattere
in quello spigato marrone.

Così abbiamo cessato di prenderla in giro
per quella stanza. Restiamo in silenzio.

Wallace Stevens, tre poesie da The Rock

Un vecchio addormentato

I due mondi sono addormentati, dormono, ora.
Un senso muto li possiede in una sorta di solennità.

L’io e la terra: i tuoi pensieri, sentimenti
Le simpatie e antipatie, la meta tua propria,

Il rosso dei tuoi castagni rossastri,
Il moto del rivo, il moto sonnolento del rivo R.

Le scogliere irlandesi di Moher

Chi è mio padre in questo mondo, in questa casa,
Alle fondamenta dello spirito?

Il padre di mio padre, il padre di suo padre, il…
Ombre come venti

Risalgono a un genitore prima del pensiero, della parola,
In capo al passato.

Risalgono alle scogliere di Moher che sorgono dalla nebbia,
Sopra il reale,

Sorgendo dal luogo e tempo presente, sopra
L’erba verde, bagnata.

Questo non è paesaggio, pieno dei sonnambulismi
Della poesia

E del mare. Questo è mio padre, o forse
E’ come era lui,

Una somiglianza, uno della razza dei padri: terra
E mare e aria.

Vuoto nel parco

Marzo... Qualcuno ha attraversato la neve,
Qualcuno che cercava non sapeva cosa.

E' come una barca che si è mossa
Dalla costa di notte ed è scomparsa.

E' come una chitarra lasciata sulla tavola
Da una donna che se n'è dimenticata.

E' come lo stato d'animo di un uomo
Tornato a vedere una certa casa.

I quattro venti soffiano attraverso la rustica pergola,
Sotto le sue matasse rampicanti.

*

da The Rock \ La roccia in Wallace Stevens, Il mondo come meditazione (a cura di Massimo Bacigalupo,Guanda)

*

In occasione del 19 marzo riproponiamo anche la lettura di poesie dedicate al padre:

https://ilsassonellostagno.wordpress.com/2018/03/18/nel-nome-del-padre-autori-vari/

https://ilsassonellostagno.wordpress.com/2019/03/19/nel-nome-del-padre-autori-vari-2/

Walt Whitman: Noi due, quanto a lungo fummo ingannati

Noi due, quanto a lungo fummo ingannati,
ora metamorfosati fuggiamo veloci come fa la Natura,
noi siamo Natura, a lungo siamo mancati, ma ora torniamo,
diventiamo piante, tronchi, fogliame, radici, corteccia,
siamo incassati nel terreno, siamo rocce,
siamo querce, cresciamo fianco a fianco nelle radure,
bruchiamo, due tra la mandria selvaggia, spontanei come chiunque,
siamo due pesci che nuotano insieme nel mare,
siamo ciò che i fiori di robinia sono, spandiamo profumi
nei sentieri intorno i mattini e le sere,
siamo anche sterco di bestie, vegetali, minerali,
siamo due falchi, due predatori, ci libriamo in alto nell’aria e guardiamo sotto,
siamo due soli splendenti, siamo noi che ci bilanciamo
sferici, stellari, siamo come due comete,
vaghiamo con due zanne e quattro zampe nei boschi, ci lanciamo sulla preda,
siamo due nuvole che mattina e pomeriggio avanzano in alto,
siamo mari che si mescolano, siamo due di quelle felici
onde che rotolano una sull’altra e si spruzzano l’un l’altra,
siamo ciò che l’atmosfera è, trasparente, ricettiva, pervia, impervia,
siamo neve, pioggia, freddo, buio, siamo ogni prodotto, ogni influenza del globo,
abbiamo ruotato e ruotato sinché siamo arrivati di nuovo a casa, noi due
abbiamo abrogato tutto fuorché la libertà, tutto fuorché la gioia.

*

Walt Whitman, Foglie d’erba, Milano, Mondadori, 1991

Denise Levertov, due poesie

La veglia / The vigil

Quando i topi si svegliano
ed escono alla ricerca
di vita, briciole di vita,
io siedo tranquilla nella mia stanza segreta
cercando di calmare la mente dalle chiacchiere,
dicerie ed eventi, e trovo
la vita, briciole di vita, per nutrirla
fino a quando in silenzio,saziato,
il dio animale all’interno del
santuario ingombro non si mette a parlare. Ahimè!
poveri topi – Non ho lasciato
niente per loro, né pane,
né grasso, né un piatto sporco.
Andate attraverso i muri verso altre cucine;
fate silenzio qui.
Siederò vegliando
ed attenderò il Gatto
che in una lingua umana
pronuncia oracoli inumani
o delicatamente, con i suoi artigli, apre
una serie di scatole cinesi, contenenti ognuna
il Mondo e la sua ombra.
.
§
.
When the mice awaken
and come out to their work of searching
for life, crumbs of life,
I sit quiet in my back room
trying to quiet my mind of its chattering,
rumors andevents, and find
life, crumbs of life, to nourish it
until in stillness, replenished,
theanimal god within the
cluttered shrine speaks. Alas!
poor mice – I have left
nothingfor them, no bread,
no fat, not an unwashed plate.
Go through the walls to otherkitchens;
let it be silent here.
I’ll sit in vigil
awaiting the Cat
who with humantongue
speaks inhuman oracles
or delicately, with its claws, opens
Chinese boxes,each containing
the World and its shadow.
.
.
.
La lezione / The lesson
.
Marta, 5 anni, scarabocchia un disegno e mormora
«Questi sono due angeli. Queste sono due bombe.
Splendono nel sole. La magia
gocciola dalle ali degli angeli».
Nik, 4 anni, ha gridato
attraverso il campo di stoppie, «Guarda,
i fiori stanno danzando ai piedi
dell’albero, e l’albero
guarda giù con tutti i suoi occhi-mela».
Senza esitazione né disputa, parole
adoperate e subito dimenticate.
.
§
.
Martha, 5, scrawling a drawing murmurs
‘These are two angels. These are two bombs. They
are in the sunshine. Magic
is dropping from the angels’ wings’.
Nik, at 4, called
over the stubble field, ‘Look,
the flowers are dancing underneath the
tree, and the tree
is looking down with all its apple-eyes’.
Without hesitation or debate, words
used and at once forgotten.
.
.
Denise Levertov, tratto da Beat city blues – kerouac and Co., Stampa alternativa
(clicca qui per leggere tutto il libro bilingue)
.
*
.
Denise Levertov (Ilford, 24 ottobre 1923 – 20 dicembre 1997), scrittrice e poetessa britannica naturalizzata statunitense. È stata influenzata dalla poesia di William Carlos Williams. Le sue liriche, dedicate alla natura e alla quotidianità, vennero apprezzate da Ferlinghetti che le pubblicò nella collana “Pocket Poets” della City Lights Books. Tra le sue raccolte, Here and Now del 1947 e The Jacob’s Ladder (1961). In italiano è stata realizzata una sola traduzione antologica curata da Mary De Rachelwitz per Mondadori nel 1969.
Traduzione di Simonetta Ferrini; immagine d’apertura: Wassily Kandinsky, Several Circles, 1926

Louise Glück, due poesie da L’iris selvatico

Louise Glück, due poesie da L’iris selvatico (Giano, 2003, traduzione di Massimo Bacigalupo)

Mattutino

Padre irraggiungibile, quando all’inizio fummo
esiliati dal cielo, creasti
una replica, un luogo in un certo senso
diverso dal cielo, essendo
pensato per dare una lezione: altrimenti
uguale… la bellezza da entrambe le parti, bellezza
senza alternativa… Solo che
non sapevamo quale fosse la lezione. Lasciati soli,
ci esaurimmo a vicenda. Seguirono
anni di oscurità; facemmo a turno
a lavorare il giardino, le prime lacrime
ci riempivano gli occhi quando la terra
si appannò di petali, qui
rosso scuro, là color carne…
Non pensavamo mai a te
che stavamo imparando a venerare.
Sapevamo solo che non era natura umana amare
solo ciò che restituisce amore.

Matins

Unreachable father, when we were first
exiled from heaven, you made
a replica, a place in one sense
different from heaven, being
designed to teach a lesson: otherwise
the same—beauty on either side, beauty
without alternative— Except
we didn’t know what was the lesson. Left alone,
we exhausted each other. Years
of darkness followed; we took turns
working the garden, the first tears
filling our eyes as earth
misted with petals, some
dark red, some flesh colored—
We never thought of you
whom we were learning to worship.
We merely knew it wasn’t human nature to love
only what returns love.

*

Tramonto

La mia grande felicità
è il suono che fa la tua voce
chiamandomi anche nella disperazione; il mio dolore
che non posso risponderti
in parole che accetti come mie.

Non hai fede nella tua stessa lingua.
Così deleghi
autorità a segni
che non puoi leggere con alcuna precisione.

Eppure la tua voce mi raggiunge sempre.
E io rispondo costantemente,
la mia collera passa
come passa l’inverno. La mia tenerezza
dovrebbe esserti chiara
nella brezza della sera d’estate
e nelle parole che diventano
la tua stessa risposta.

Sunset

My great happiness
is the sound your voice makes
calling to me even in despair; my sorrow
that I cannot answer you
in speech you accept as mine.

You have no faith in your own language.
So you invest
authority in signs
you cannot read with any accuracy.

And yet your voice reaches me always.
And I answer constantly,
my anger passing
as winter passes. My tenderness
should be apparent to you
in the breeze of the summer evening
and in the words that become
your own response.

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Louise Elisabeth Glück (New York, 22 aprile 1943) è una poetessa, saggista e accademica statunitense. Nel corso della sua carriera ha pubblicato dodici antologie di poesie. Nel 1993 ha vinto il Premio Pulitzer per la poesia per la sua raccolta The Wild Iris, ottenendo il primo di una lunga serie di riconoscimenti. Nel 2014 ha vinto il National Book Award per la poesia, mentre nel 2003 era stata insignita del prestigioso titolo di poeta laureato degli Stati Uniti. Nel 2020 le è stato conferito il Premio Nobel per la letteratura “per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza individuale”. Insegna poesia all’Università di Yale. (Wikipedia)

Gregory Corso, versi da Rapporto di campo con un approfondimento sull’autore

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Disegno di Corso che chiude “Rapporto di campo”

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da RAPPORTO DI CAMPO

La notte muore nell’alba
come un gigantesco sbadiglio
Sono fuori sul campo
a fare rapporto
A chi faccio rapporto, volete saperlo?
Gli uccelli non sono spie?
Fanno rapporto agli alberi;
gli alberi fanno rapporto al vento
e il vento fa rapporto a tutti –
Ma è sempre lo stesso messaggio
Da ciò questo rapporto…
Rompe la monotonia
Io vedo lo stesso che vedono gli uccelli
Solo trasmettiamo diversamente
Comunque sono fuori sul campo
e dovreste che non è uno scherzo
– sopra fioccano pallottole
non sono vere, sono pallottole poetiche
È la musa, chi altro?
là fuori sulla banchina di tiro
Ha con sé Pegaso
Lui avverte tutti a TESTA GIÙ
Io urlo TU VOLA E VAFFANCÙ
Lei ride
Sapevo che l’avrei fatta ridere
No, non è per niente facile
specialmente quando devo combattere
con la mia particolare visione del mondo

Oh dio! ecco che passa Kelly
voi non lo conoscete
io sì e lui deve morire
non è più una pancia da Buddha
sono suppergiù quaranta litri d’acqua
che porta in giro come una gravidanza
Ecco sul colle Capitan Bill che è
…un’ombra di me
Fra due settimane sarà morto anche lui
È duro
parlare sinceramente a Dio
dire quel che senti davvero
senza scoppiare a ridere
(…)

Ho sostato in Piazza Colonna
(nome di mia madre da ragazza)
su Via del Corso
(nome di mia madre da sposata)
Questo vi dice qualcosa?
Se Gregory non sono me
allora perché tutta questa bella gioventù
si sbraccia per me?
Un cerchio è vuoto
come molto tempo fa in boccio
Pace! Possa la mia bomba far cilecca
Pace! Oh mondo tieniti la tua belletta
(…)

Tremore! Abbandono!
dannate stanze ammobiliate!
Prigioni! dannato
andar su e giù, su e giù
dannate eternità di muri che si fronteggiano
ore e poi ore, e io
che non sono mai stato sulla luna
– mettetemi al muro!
ma io sono indispensabile senza di me –
Quando sei un orfano hai bisogno di te
Avendo raggiunto la paternità
ho ottenuto il diploma all’orfanità –
Consegno il mio rapporto: (così per ridere)
Non ci sono collegamenti misteriosi
né atteggiamenti frivoli
né lassismi alla moda
abbasso i giorni di morte predeterminati
ah, questo trattato queste ore
io a Roma in tutto il mio fulgore –
sì questa leggerezza brevità frivolezza
così liberi e comodi, cavalcata di buon umore!

(…)

STOP

1989-90

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Gregory Corso, da Poesie (Mindfield – Campo Mentale) – trad. di Massimo Bacigalupo, Newton Compton Editori, 2007 — dalla rivista on-line da Fili d’aquilone – num.8

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Approfondimento:  si riporta integralmente l’articolo del 6 novembre 2010 pubblicato in Notizie in… Controluce, n. X/3, marzo 2001, pp. 20-21 e tratto da sullaletteratura.blogspot.it/

«Morte di un poeta Beat. Gregory Corso è morto nel gennaio scorso» di Nicola D’Ugo
Aveva settant’anni Gregory Nunzio Corso (1930-2001), il poeta più europeista della Beat Generation, il movimento che dagli anni cinquanta aveva aperto la via alla contestazione giovanile in America. Si è spento a gennaio all’ospedale di North Memorial Medical Center di Robbinsdale, nel Minnesota, dove a settembre si era trasferito a casa della figlia Sheri Langerman, un’infermiera, per un tumore alla prostata.
Poeta autodidatta (lesse il russo Dostoevskij, il francese Stendhal e l’inglese Percy Shelley in carcere), il suo linguaggio è considerato tutt’oggi il più onirico della Beat Generation, addirittura il più ingenuo e naïf.
Nell’intento di portare la poesia a un linguaggio colloquiale, di strada, tipico dei poeti newyorchesi degli anni cinquanta e sessanta, seppe raccontare in modo diretto, come una cronaca vocale estemporanea, gli eventi e lo stato di salute degli americani. Anzitutto evitando la retorica di massa, dei proclami giovanili che, nella misura in cui volevano essere rivoluzionari, finivano per essere nuovamente dettati da schematismi, abitudini e vincoli formali che contrastavano con l’idea di uomo libero cui Corso aspirava. Con la sua ironia ha scritto pagine provocatorie anti-Beat, nella misura in cui, al tempo, essere Beat significava essere alla moda.
Neppure all’interno della Beat Generation fu sempre compreso. Jack Keroack e Allen Ginsberg lo indicavano come il migliore poeta d’America, mentre un altro grande scrittore del movimento Beat, l’editore di City Lights Lawrence Ferlinghetti, gli negò una pubblicazione, ritenendola fascista: solo anni dopo comprese di essersi sbagliato, che Corso non amava i proclami e le ideologie canonizzate da un gruppo.
gregory_corsoAnche la poesia più celebre di Corso, “Bomb” (Bomba, 1958), fu oggetto di fraintendimento. Scritta a forma di fungo nucleare, è un’elegia satirica, ricca di ironia e ritmo. Dopo aver assistito alla dimostrazione di un esperimento nucleare in Inghilterra e all’accanimento dei pacifisti contro la bomba, il poeta newyorchese se la prese con l’espressione violenta del pacifismo stesso, componendo una “lettera d’amore” alla bomba atomica, contro la stupidità umana che genera violenza: per Corso la bomba era un prodotto della storia, di una mentalità di fondo sbagliata che stava coinvolgendo tutti, militaristi e pacifisti allo stesso modo, che vedeva ora contrastarsi su un terreno della violenza, quale espressione socialmente indotta nell’individuo e condivisa da entrambe le fazioni.
Il celebre film di Stanley Kubrick Il dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba uscì otto anni dopo, e assunse un linguaggio molto meno ambiguo della poesia di Gregory Corso. Del resto, questo modo ironico di scrivere un’elegia distruttiva contro il genere umano era già stato impiegato alla fine negli anni dieci dal più grande poeta della guerra e della pietà: Wilfred Owen (Poesie di guerra, Einaudi, Torino 1985).
Così, in “The American Way” (La Via Americana), gli strali del poeta italo-americano contro l’American dream prendono la piega di un discorso colloquiale, in cui addita, in linea con Walt Whitman, il male dell’America negli americani stessi e non nei loro governanti, che non sono consapevoli (e quindi responsabili) delle contraddizioni americane. La poesia di Corso, lo si nota nel parallelismo con la celebre poesia “America” di Allen Ginsberg, si colloca all’interno del processo storico, non solo nel proprio tempo e nell’attuale scenario politico.
Scrittore dal linguaggio ardito, senz’altro inconsueto, a volte bizzarro (come quando il mare gli dice che ciò che mangia è la madre adottiva e non un pesce), ma anche e specialmente da una lettura della vita fatta, prima che sui libri, per le strade, Gregory Corso era nato il 26 marzo 1930 a Greenwich Village, il quartiere bohémien di New York, dove sarebbero passati, oltre a Keroack e Ginsberg, personaggi leggendari come Dylan Thomas e Henry Miller e, quando divenne ricco, Bob Dylan. Tutt’altro che poetici i natali: i genitori non erano due bohémien, ma due adolescenti d’origine italiana di diciassette e sedici anni, che si lasciarono sei mesi dopo la nascita del poeta, e la madre ritornò in Italia.
Da allora la vita del bambino fu un susseguirsi impressionante di ricoveri in orfanotrofi, affidamenti a famiglie e fughe da casa del padre, che lo aveva ripreso con sé all’età di 11 anni. A dodici finisce in riformatorio, a diciassette sconta tre anni in carcere per il furto di una radio. È lì che apprende le difficoltà dei carcerati e la loro umanità, e comincia a scrivere poesie.
Uscito dal carcere, incontra in un bar di Greenwich Village frequentato da lesbiche il più noto poeta Beat, Allen Ginsberg, che lo introduce alla scrittura d’avanguardia, e di lì a poco alla fama fra gli scrittori newyorchesi. Ma non è una vita facile. A trent’anni passa da un lavoro all’altro, si imbarca per il Sudamerica e il Sudafrica, e approda infine in Europa. Nell’introduzione alla raccolta più celebre di Corso, Gasoline (Benzina), Allen Ginsberg segnala al lettore che Corso è forse il più grande poeta americano, ma di fatto fa la fame in Europa.
Erano anni in cui la Beat Generation subiva attacchi non solo dai circoli letterari tradizionali, ma dalle corti di giustizia, e in cui era facile essere additati come comunisti. Durante gli anni del terrore macarthista in America, Corso preferì abbandonare l’insegnamento della poesia di Shelley all’università piuttosto di sottoscrivere la dichiarazione di non essere un comunista. Più che al comunismo, l’attenzione di Corso era rivolta all’affrancamento dalle regole, attraverso la cultura classica e il buddismo, senza tralasciare il cristianesimo. Secondo Ann Douglas, professoressa di studi americani alla Columbia University, la poesia “Marriage” (Matrimonio) costituì un motivo di stimolo per l’emancipazione femminile:
«Le donne guardavano Corso e gli altri poeti Beat, e si chiedevano, “Se questi uomini stessi possono essere liberi dai ruoli prestabiliti del genere –sposarsi, lavorare per una corporazione e via dicendo– perché noi no?”» E ne seguivano l’esempio. Corso, che è stato sposato tre volte, terminava il componimento con: «Ah, eppure so bene che se una donna fosse possibile come io sono possibile allora il matrimonio sarebbe possibile.»
Sregolato, tossicodipendente e alcolista nella vita, anche negli ultimi tempi, da ammalato, non aveva perso l’attaccamento alla libertà di cui era noto in gioventù. La figlia Sheri Langerman racconta che lo scorso settembre lo aveva trovato in condizioni disperate, abbandonato a se stesso dentro casa, rifiutando l’aiuto degli amici:
Pensavo di dovergli già preparare il funerale, ma poi si era ripreso: abbastanza da bere, imprecare e organizzare di nuovo delle partite a poker.
Lo aveva portato con sé da New York in Minnesota, dove Corso, dopo un iniziale «shock culturale», si era messo a giocare con i nipoti e a uscire di casa. E non aveva perso neppure la vena umoristica:
Una volta lo abbiamo portato al casinò in sedia a rotelle, tutto avvolto in coperte a fiorellini, che pareva la madre di Whistler. Si è portato via 1.200 dollari dal tavolo del blackjack. Quando l’addetto del casinò lo ha chiamato “Signora”, lui ha commentato: “Lo prendo per un complimento. Vuol dire che ho una bella pelle.”
Corso ha continuato a lavorare fine all’ultimo. «La Poesia è il mio Paradiso,» diceva da ragazzo. La settimana prima di morire aveva registrato un CD di musica e poesia con Marianne Faithfull a casa della figlia Sheri. Ha lasciato cinque figli, sette nipoti e un pronipote. Prima di morire aveva espresso il desiderio che, dopo i funerali nella chiesa di Our Lady of Pompeii (Nostra Signora di Pompei) a Greenwich Village, le sue ceneri venissero seppellite in Italia, nel cimitero acattolico di Roma, accanto alla tomba del poeta romantico inglese Percy Shelley.
Leggere oggi la sua poesia aiuta a comprendere le atmosfere e le riflessioni di un uomo che ha vissuto e raccontato uno dei periodi più significativi e controversi del dopoguerra, nel quale, accanto al boom economico e alla guerra fredda, si manifestavano nuove esigenze di libertà individuale e repressione ideologica nel paese della democrazia più famosa.

 

Wallace Stevens, due poesie

Wallace Stevens (Reading, 2 ottobre 1879 – Hartford, 2 agosto 1955), due poesie 

La casa era silenzio e il mondo era calma

La casa era silenzio e il mondo era calma
Il lettore divenne il libro; e la notte estiva

Era il sentire del libro
La casa era silenzio e il mondo era calma

Le parole furono dette come se il libro non ci fosse
Se non che il lettore era chino sulla pagina,

Voleva stare chino, voleva molto tanto essere
Lo studioso a cui il suo libro dice il vero, a cui

La notte estiva è come una perfezione del pensiero.
La casa era silenzio perché così doveva essere.

Il silenzio era parte del senso, parte della mente:
Il passaggio che conduce la perfezione alla pagina.

E il mondo era calmo. La verità in un mondo calmo.
In cui non c’è altro senso, essa stessa

E’ calma, essa stessa è estate e notte, essa stessa
E’ il lettore che a tarda ora chino legge.

(da Transport to Summer, 1946 – dal web)

*

La poesia che prese il posto di un monte

Era là, parola per parola,
la poesia che prese il posto di un monte.

Ne respirava l’ossigeno
persino quando il libro stava voltato nella polvere del
……..tavolo.

Gli ricordava come avesse avuto bisogno
di un luogo da raggiungere nella sua direzione,

Come avesse ricomposto i pini,
spostato le rocce e trovato un sentiero fra le nuvole,

Per arrivare al punto d’osservazione giusto,
dove sarebbe stato completo di una completezza
……..inspiegata:

La roccia esatta dove le sue inesattezze
scoprissero infine la vista che erano andate guadagnando,

Dove potesse coricarsi e, fissando il mare in basso,
riconoscere la sua casa unica e solitaria.

(da Il mondo come meditazione, Guanda Ed.)

immagine d’apertura: fotografia di Ansel Adams, “After Thunderstorm, Garnet Lake”

Raymond Carver, due poesie: L’orologio di Kafka, Veglia

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L’OROLOGIO DI KAFKA

————————————————da una lettera
Ho un impiego con un misero salario di 80 corone e
otto, nove ore di lavoro che non finiscono mai.
Divoro il tempo libero dall’ufficio come una belva feroce.
Spero un giorno di potermi sedere in un altro
paese e guardare fuori dalla finestra verso campi di canna da zucchero
oppure cimiteri maomettani.
Non è tanto del lavoro che mi lamento quanto
della lentezza di questo tempo paludoso. Le ore d’ufficio
non si possono dividere! Sento la pressione
di tutte le otto, nove ore anche nell’ultima
mezz’ora della giornata. È come un viaggio in treno
che dura giorno e notte. Alla fine ci si sente
completamente schiacciati. Non si pensa più agli sforzi
della locomotiva o ai colli o alle pianure
attorno, ma si dà la colpa di tutto quel che succede
al proprio orologio. L’orologio che si continua a tenere
sul palmo della mano. Poi lo si scuote. E lo si porta lentamente
all’orecchio, increduli.
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.
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VEGLIA

Attesero tutto il giorno che il sole si affacciasse. Poi,
nel tardo pomeriggio, come un buon principe,
finalmente fece una breve apparizione.
Sfavillò dall’alto sulla cengia ai piedi
delle cime che s’ergevano dietro la casa in prestito.
Ma poi calarono di nuovo le nuvole.
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Erano abbastanza felici, ma per tutta la serata
le tende s’agitarono melanconiche,
frusciando davanti alle finestre aperte. Dopo cena
loro uscirono fuori sul balcone.
Da dove sentirono il fiume che piombava nella gola e,
più da presso, lo stridio degli alberi, i sospiri dei rami.
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L’erba alta giurava di stormire per sempre.
Lei gli mise una mano sul collo. Lui le sfiorò una guancia.
Ma da ogni dove spuntarono pipistrelli e li ricacciarono in casa.
Una volta dentro, chiusero tutte le finestre. Si tennero a distanza.
osservarono una processione di stelle. E, di tanto in tanto,
creature che si gettavano in picchiata davanti alla luna..
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Raymond Carver, Orientarsi con le stelle – Tutte le poesie (Minimum fax)
immagine: due illustrazioni di Christian Schloe
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carver-raymond-002Raymond Carver (Clatskanie, 25/5/1938 – Port Angeles, 1988). Scrittore americano figlio di un operaio di segheria e di una cameriera, è nato a Clatskanie, nell’Oregon, il 25 maggio 1938 ed è morto nel 1988. È considerato uno dei maggiori scrittori americani di short stories del Novecento. Einaudi ha iniziato a ripubblicare le sue opere narrative nel 2009 con Principianti (ripubblicato in una nuova edizione nel 2010), la versione originale di Di cosa parliamo quando parliamo d’amore. Sempre nel 2009 ha pubblicato Vuoi star zitta, per favore? (ripubblicato negli ET Scrittori nel 2012), nel 2010 Se hai bisogno, chiama e Da dove sto chiamando e nel 2011 Cattedrale. Presso Einaudi Stile libero era uscito, nel 1997, Il mestiere di scrivere (ripubblicato in una nuova edizione nel 2008). Nel 2013 Minimum fax ri-edita nei tascabili mini Orientarsi con le stelle, tutte le poesie a cura di William L.Stull con traduzione di Riccardo Duranti e Francesco Durante.

Mark Strand, due poesie

Mark Strand, due poesie

da L’uomo che cammina un passo davanti al buio. Poesie 1964-2006 (Mondadori, 2007)

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L’IDEA
(The idea)

——————————————————-Per Nolan Miller

Anche per noi esisteva un desiderio di possedere
qualcosa oltre il mondo a noi noto, oltre noi stessi,
oltre quanto sapevamo immaginare, qualcosa in cui
nondimeno potessimo riconoscerci; e questo desiderio
veniva sempre di sfuggita, nella luce che svaniva, e
in un freddo tale che il ghiaccio sui laghi della valle
si spaccava e si rovesciava, e la neve soffiata dal vento
copriva tutta la terra che riuscivamo a vedere,
e le scene del passato, quando riaffioravano,
non apparivano più come una volta, ma spettrali
e bianche fra false curve e cancellature celate;
e neppure una volta sentimmo di essere prossimi
finchè il vento notturno non disse: “Perchè farlo,
specialmente adesso? Tornate da dove venite”;
e allora apparve, con le finestre accese, piccola,
lontana tra gli anfratti di ghiaccio, una baita;
e ci fermammo lì davanti, stupefatti dal suo essere
lì, e ci saremmo fatti avanti ad aprire la porta,
e saremmo entrati nel lucore a scaldarci, lì,
se non fosse che era nostra proprio non essendo
nostra, e che doveva restare vuota. Quella era l’idea.

§

da Quasi invisibile (Mondadori, 2014)

MELANCONIA ERMETICA
(Hermetic Melancholy)

 

Diciamo allora che è scesa la notte e il vento si è spento e gli
alberi verdeazzurri si sono fatti grigi e le montagne di
ghiaccio, levigate sotto la faccia butterata della luna, sono
come spettri, immobili in lontananza, e la luce fioca della
luna si riversa nella stanza dove siedi a un tavolo, fissi un
bicchiere di whisky, e dove sei stato tanto a lungo che la
notte, così inerte, così spoglia, è diventata non soltanto il tuo
giorno, ma tutta quanta la tua vita; e diciamo che mentre sei
lì il sole, il sole reale, è sorto, e ti viene in mente che ciò che
hai fatto della notte era solo una possibilità, un’indolore e
rarefatta forma di disperazione che potrebbe portare, se
protratta, a un esito indesiderato, e ti rendi conto che le
parole che avevi scelto non erano parole giuste – non sei mai
stato la persona che lasciavano intendere tu fossi; e allora
diciamo che in casa c’è una pistola con il colpo in canna e ti
trastulli con l’idea di usarla e dici: “Dai, sparati”, ma, anche in
questo caso, non sono le parole giuste, così, come hai già fatto
tanto spesso, le rettifichi prima che sia troppo tardi.
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(da nuoviargomenti.net)

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Poeta e narratore, Mark Strand è nato nel 1934 a Summerside, nella Prince Edward Island in Canada, ed è cresciuto negli USA. Autore di vari volumi di poesia, e di racconti, saggi, libri per bambini e scritti sull’arte, ha ricevuto numerosi prestigiosi riconoscimenti, tra cui la McArthur Fellowship, la nomina a Poeta Laureato degli Usa (1990), il Premio Pulitzer per la Poesia (1999) e il Wallace Stevens Award (2004). E’ morto il 29 novembre 2014.

Dello stesso Autore, in questo blog: Sei tu tra gli ulivi al di là del cortile? (clicca qui)  — immagine: opera di Edward Hopper

Jack Kerouac, due poesie

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Blues

Parte delle stelle mattutine
La luna e la posta
L’insaziabile X, il dolore delirante,
– la luna Sittle La
Pottle, teh, teh, teh, –
I poeti in vecchie stanze gufose
che scrivono curvi parole
sanno che le parole furono inventate
perché il nulla era nulla
Usando le parole, usate le parole,
le X e gli spazi vuoti
E la pagina bianca dell’Imperatore
E l’ultimo dei Tori
Prima che la primavera si metta in moto
Sono una montagna di nulla
di cui volenti o nolenti disponiamo
Così di notte contratteremo
nel mercato delle parole.

*

Poesia

Il jazz s’è suicidato
Fate che la poesia non faccia la stessa fine
Non temiate
l’aria fredda della notte
Non date retta alle istituzioni
quando trasformate i manoscritti in
arenaria
non inchinatevi né fate a cazzotti
per i pionieri di Edith Wharton
o per la prosa alla nebraska di ursula major
no, statevene nel vostro giardinetto
& ridete, suonate
il trombone di mollica
& se poi qualcuno vi regala perline
ebree, marocchine, o vattelapesca,
addormentatevi con quella collana al collo
E’ probabile che facciate sogni più belli
La pioggia non c’è
non ci sono più me
te lo dico io, ragazzo,
sicuro come un siluro.

*

Jack Kerouac, dal libro “Desolation angels”

tratto da http://disfonie.blogspot.it/2010/02/beat-generation.html

William Carlos Williams, In questa notte…traduzione di Cristina Campo

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In questa notte…

In questa notte, la più languida dell’anno,
la luna è nella fase gialla senza luce.
L’aria è morbida, il gufo non ha
che una nota, il ciliegio fiorito

è una nebbia sui boschi, il suo profumo
indovinato appena si muove nel pensiero.
Nessun insetto è desto ancora. Poche foglie.
Non si dorme nell’areò degli alberi.

Il sangue è fermo, indifferente, il volto
non duole né trasuda macchia né la bocca
è riarsa. Ora l’amore potrebbe intrecciare giuochi,
e nulla turbare la piena ottava del suo corso.

*

di William Carlos Williams (Rutherford, 17 settembre 1883 – Rutherford, 4 marzo 1963).

Versi tratti  da Paterson (prima pubblicazione 1946); traduzione di Cristina Campo, da La tigre assenza (Adelphi)