Vincenzo Foppa, Cicerone bambino che legge, 1462–1464 circa, Londra, The Wallace Collection
Ab ovo
di Cataldo Antonio Amoruso
Ab ovo, dall’inizio e tanto per darmi un tono, cosa che ho sempre rifuggito. I poeti non fanno la poesia, tantomeno la poesia fa i poeti. E’ un rapporto che trovo inevaso, inconcluso, questo dare ed avere tra la forma e il sentire. Certo è possibile saper scrivere poesia, farne critica ed esegesi, anche senza troppo spendersi e con qualche guadagno in termini di visibilità e apprezzabilità; interpretare poesia è altro, e questo non paga, quasi mai. Se la poesia ti cerca, prima o poi ti trova. Se la cerchi, allora cercala nelle parole di altri che ci sono passati, forse ti sarà più facile incontrarla, certo sarà stato un altro a saperla proporre – magari un letterato, un mestierante, nella peggiore delle ipotesi – ma cosa importa… a questa fiera non si vince nulla, al massimo un altro giro di giostra. Come mai se vi aggirate per blog ed editoria varia non trovate mai qualcuno che vi spieghi cosa volesse dire con quelle parole spezzate prima che finisca il rigo? Nella peggiore delle ipotesi si tratta del guadagno che chi scrive può ricavare dall’essere sopravvalutato dal lettore… che poi questi ruoli, ovvero chi è colui che scrive, chi è colui che legge, sono assolutamente arbitrari, casuali, dipendenti da scelte personali… Bisogna avere quell’onestà di dichiarare cosa si voleva dire con i cosiddetti versi e meravigliarsi di cosa il lettore abbia capito, che, spesso ma non sempre, va oltre le intenzioni del ‘poeta’, e magari rendergliene merito… a chi legge, dirgli ‘ah, non l’avevo capito!’ e ringraziarlo.
Qui sotto, sono scritte cose molto personali (!!!) che parlano di timori e paure dell’infanzia, di ammonimenti e insegnamenti popolareschi, rudimenti accolti senza filtri di alcun genere… e poi spero che ci sia quello che l’eventuale lettore potrà capire meglio del sottoscritto: a lui sono riconoscente e dico: Ah, l’ho scritto ma non l’avevo capito!… Grazie.
Le mani pronte a ripetere chirieleisò, chirieleisò – dillo con me, non so cosa sia – lo dico, non aver paura forse è il treno delle notti tutte o il tuono, lo hai sentito? Hai visto il lampo? Poteva risucchiarti, se solo sull’uscio… entrare e con te in braccio vederlo volare
no, nessuno è tornato ci hanno lasciato solo le mani, sudate dammi un bacio, piccolissimo tra le cortine ora, sembrano quasi barricate, sì ridiamo… tienimi la storia: ti ripeto le cinque giornate già…
ma capire quel tempo abitarne l’intercapedine saggiarne lo stacco c’era uno così, sai? Nell’altra stanza tra il carapace e la materia molle
il piccolo vuol sapere tutto
ma non so come finisce, l’ho scordato forse sognavamo e ripetevo con te christeleisò, christeleisò tutta la notte ho baciato il santino ma non t’ho svegliata, non io forse era la paura chi veniva a toccarti a sfiorarti sugli òmeri sommandosi a quanti eravamo, a capo e a piedi nello stesso letto a una distanza che non muta quale non so… forse questa cesura dal giorno o dalle paure o dai ricordi dai precetti dagli insegnamenti dalle piccole note spacciate per comandamenti dai non guardate le mani di chi ha, dai non chiedete nulla o dai meglio una febbre che vi porti per quanto vi ami piuttosto che ladri o infami
chirieleisò, christeleisò guarda le mani, guarda le mani e i cocci del rosario il primo morto della nostra vista e quasi con gli occhi si muovono ancora e le dita e le nari.
Lorenzo Loli (?) (1612-1691), incisore – Monza (MB), Civica Raccolta di Incisioni Serrone Villa Reale
ah… si rumpìssa u fil ‘e ferru d’i lenzòli e l’àriu l’àriu sinni jìssa s’ordùr ‘e fiòri si rapìssin l’ombrèlli e ni scinnìssa l’acqua lìbera ‘e nti garròli e l’occhj si linchjìssinu ‘e maravìgghja com fa u cièlu quannu cittu cittu d’i cimi ‘e l’olìvi l’azzòddinu sagghjènn i stiddi da sira prima…
oh, si spezzasse il fil di ferro delle lenzuola e si riempisse l’aria di questo odore di fiori
si aprissero gli ombrelli e ne scendesse l’acqua
libera da rigagnoli e gli occhi si riempissero
di meraviglia come fa il cielo
quando zitte zitte dai rami degli ulivi
l’affollano, salendovi, le stelle della sera prima…
Non ti meraviglino, l’insistenza del fiore
le radici in cerca, le superfici verso il cielo
rivoltate in petali, non sondare oltre
il confine azzurro che preme ai seni
con colori pronti a cangiarsi, come solo sanno
gli occhi e il cuore, in una morsa impareggiabile
che tutto avvolge,
e pure, aperta risiede
in un palmo di terra
il regno di un fiore
uno solo, a reggere i confini
di questo tempo che svolge
il suo rotolo di sere
e notti, umide di pensieri.
Così è la terra, turgida intorno al fiore
e tu, con i tuoi occhi a tendere
ad un domani che si fa cielo.
Non ti meraviglino, i nomi a fiore
sussurrati sulla tua pelle
nell’immagine: Gustav Klimt, Danae (1907-1908) – olio su tela cm 77×83 – Vienna, collezione privata.
In quest’opera il pittore austriaco ripropone un soggetto della tradizione mitologica greca, più precisamente il mito di “Danae e la pioggia d’oro”: Acrisio, padre di Danae, aveva saputo da un oracolo che la sua unica figlia gli avrebbe dato un nipote che sarebbe stato causa della sua morte e lo avrebbe spodestato. Perciò al fine di impedire il compimento della profezia, fa rinchiudere Danae nei sotterranei di una delle tante torri della città di Argo, di cui era re. Danae rinchiusa in una stanza, dalle mura di bronzo, era controllata da sentinelle armate che avevano il compito di non far passare nessun uomo; senonché Zeus, affinché l’oracolo si adempiesse, si trasformò in pioggia d’oro e riuscì a penetrare nel sotterraneo, bagnò Danae e da quella pioggia d’oro nacque Perseo. (http://mitologiagreca.blogspot.it/search/label/Danae)
Nel dipinto, l’artista rinuncia alla consueta struttura verticale a favore di uno sviluppo ellittico. Infatti la donna è rappresentata rannicchiata in primo piano, ripiegata su sé stessa, avvolta in una forma circolare, che rimanda alla maternità e alla fertilità universale. Serenità e pace si leggono sul volto e nella posizione fetale della fanciulla. Danae diviene una fanciulla persa nel sonno e nella dimensione onirica, totalmente dimentica di sé e in balìa dei propri istinti sessuali. In nessun altro dipinto di Klimt la donna è così interamente identificata con la propria sessualità. Il corpo completamente abbandonato di Danae è circondato e ricoperto dai capelli, da un velo orientaleggiante e sulla sinistra da una pioggia d’oro. Nello scroscio della pioggia d’oro, che riecheggia di preziosismi bizantini, Klimt aggiunge un simbolo, un rettangolo verticale nero, che rappresenta il principio maschile. (dal web)
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Ho scelto di accostare la sensuale parola poetica di Cataldo A.Amoruso ad una delle opere che preferisco di Klimt, per quella sensazione di preziosità, abbraccio, delicatezza e al contempo decisione che emanano entrambe: il lettore vive sulla pelle il coinvolgimento di queste azioni poetiche e pittoriche, che si aprono nell’immaginazione, come lo sguardo su un orizzonte che spesso a causa della fretta imposta dal quotidiano, non facciamo in tempo a vivere o demandiamo a data da destinarsi. Questo attimo trascorso qui, tra poesia e arte, vuole essere un momento tutto per sé, intimo, da ritagliare nel giorno che corre e custodire nella memoria dei sensi. [Angela Greco]
spiaggia di San Cataldo, Cirò Marina (KT) – fotografia di AnGre
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sono nato in dialetto
e questa notte la mia geografia reclama
voci di mare
parole che piano
alzano chiglie
e tremuli
fanali di lampare
questa notte che il dialetto
più a fondo mi attira
ed è miele d’arancio
e retrogusto di fiele
rima e trine
cielo di timpa e schiuma di marine
e labbra e voci
è questa notte che mi segna
d’amori senza tregua,
vengono dai paesi
processioni senza pace
di formiche armate al sole
questa notte che tu lontana
aggiungi fuoco alla mia gola accesa
e sei parlare fitto fitto
sei onda e onda
e vento ed altro vento
e braccia che non bastano
e promesse che non finiscono
e altri baci e la stretta dalle parti del cuore
e la nuca
e il capo riverso
e gli occhi al cielo a trattenere lacrime e stelle
in questa notte di dialetti
che si perde
in una nuova lingua
mai sentita
di due sole parole trattenute
a stento e brillate
due micce accese
e una promessa
questa notte che dici
ad occhi aperti:
….
[Cataldo Antonio Amoruso]
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Buon compleanno da tutto Il sasso nello stagno, con stima e affetto!