
Forugh Farrokhzad, tre poesie
Nonostante la brevità della sua esistenza, l’autrice iraniana è riuscita a cogliere i cambiamenti culturali e sociali avvenuti in Medio Oriente nel Novecento in termini di spinte liberiste e mutamenti del costume. I suoi scritti hanno rivoluzionato lo sfondo della composizione poetica in Iran. (da Nena News – qui l’articolo)
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LA CONQUISTA DEL GIARDINO
Quel corvo che volò
Sopra di noi
E s’inabissò nel pensiero agitato di una nuvola vagabonda,
Il cui grido, come una corta lancia, percorse tutto l’orizzonte,
Porterà la notizia di noi in città.
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Tutti sanno,
Tutti sanno
Che tu ed io da quel pertugio freddo e tetro
Intravedemmo il giardino
E da quel ramo ameno e impervio
Spiccammo la mela.
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Tutti temono,
Tutti temono ma tu ed io
Ci unimmo con la luce, l’acqua e lo specchio
E non tememmo.
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Io non parlo di un fragile legame tra due nomi
Né di un vincolo nelle pagine lise di un registro.
Io parlo dei miei voluttuosi capelli
E degli ardenti papaveri dei tuoi baci,
Dell’intimità clandestina dei nostri corpi
E della nostra nudità che riluce
Come le squame dei pesci nell’acqua.
Io parlo della vitalità argentina di un canto
Che una piccola fontana intona all’alba.
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Una notte, domandammo alle lepri selvatiche
In quella foresta verde e frusciante,
Alle conchiglie copiose di perle
In quel mare agitato e freddo
E alle giovani aquile
In quel monte straniero e trionfante:
Che si deve fare?
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Tutti sanno,
Tutti sanno.
Noi abbiamo penetrato il freddo muto sogno dei Simorgh,
Cogliemmo la verità nel piccolo giardino
nell’espressione timida di un fiore anonimo
E l’eternità in un momento senza fine
Quando due soli si fissano l’un l’altro.
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Io non parlo di sussurri timorosi nel buio,
Io parlo di luce del giorno e di finestre aperte,
Di aria fresca,
Di un forno nel quale bruciano cose inutili,
Di terra resa fertile con un’altra coltura,
Di nascita, di evoluzione, di orgoglio.
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Io parlo delle nostre mani innamorate,
Che hanno gettato, al di sopra delle notti,
Un ponte foriero di profumo, di luce, di brezza.
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Vieni nel prato,
Nel prato aperto
E invocami attraverso i sospiri del fiore di seta,
Come la gazzella la sua compagna.
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Le tende traboccano celato odio
E le candide colombe
Dall’alto della loro torre bianca
Fissano in basso la terra.
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IL VENTO CI PORTERÀ VIA
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Nella mia fuggente notte, ahimè!
Il vento dà udienza alle foglie degli alberi.
Nella mia fuggente notte incombe l’angoscia della desolazione.
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Ascolta,
Odi il respiro delle tenebre?
A questa esultanza io mi sento aliena,
La disperazione mi è propria.
Ascolta,
Odi il respiro delle tenebre?
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Ora, nella notte, qualcosa accade.
Infuocata e inquieta è la luna
E su questo tetto, che, ogni istante, rischia di crollare,
Le nuvole, come un corteo funebre,
Sembrano in attesa del momento di piovere.
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Un momento
E poi, nulla.
Dietro questa finestra sta palpitando la notte
E la terra
Sta arrestando il suo moto.
Dietro questa finestra uno sconosciuto
È in trepidazione per me e per te.
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Oh, mio tutto virente!
Rimetti le tue mani, come un cocente ricordo,
Nelle mie mani innamorate.
Sciogli le tue labbra, come una vibrante sensazione di vita,
Alle lusinghe delle mie labbra innamorate.
Il vento ci porterà via.
Il vento ci porterà via.
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PECCATO
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Peccai un peccato pieno di piacere,
In un abbraccio che era caldo e ardente.
Peccai tra braccia
Che erano roventi, assetate di vendetta e come ferro.
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In quel luogo solitario, buio e silenzioso,
Guardai i suoi occhi pieni di segreti.
Ansimante, il mio cuore trasalì nel petto
Alla supplica del suo sguardo implorante.
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In quel luogo solitario, buio e silenzioso,
Sedetti confusa accanto a lui.
Le sue labbra sulle mie labbra stillarono desiderio.
Dimenticai le pene del mio folle cuore.
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Sussurrai al suo orecchio frasi d’amore:
Voglio te, o mio amato,
Voglio te, o abbraccio vivifico,
Te, o folle amato mio.
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Desiderio divampò nei suoi occhi;
Vino rosso danzò nella coppa.
Ebbro, il mio corpo contro il suo corpo
Fremette nel soffice letto.
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Peccai un peccato pieno di piacere,
Accanto a un corpo tremante e privo di sensi;
O Dio, io non so che feci
In quel luogo solitario, buio e silenzioso.
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Traduzione dal persiano di Daniela Zini
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FORUGH FARROKHZAD è stata una poetessa, attrice, produttrice e cineasta iraniana. Nacque a Teheran il 5 gennaio del 1934. Seguì gli studi di disegnatrice di moda e si dedicò alla pittura. Sposata a diciassette anni, si trasferisce col marito, ad Ahvaz, nel sud dell’Iran. Comincia a scrivere molto presto: è nel 1952 pubblicò la sua prima raccolta di poesie Assir (Prigioniera). Dopo la nascita di Kamiàr, il bimbo sempre presente nelle sue poesie, divorzia e torna a Teheran, ma non le sarà concesso di rivedere suo figlio. Dopo la pubblicazione di Divàr (Muro), inizia una fase più serena della sua vita: viaggia in Germania e in Italia, a Roma scrive le sue poesie più forti e più audaci, come «Canto di belleza», e «Rivolta di Dio». Del 1958 è Ossiàn (Rivolta), che, come i due primi volumi, suscita polemiche ed entusiasmi. Nel 1958 conobbe il regista–scrittore Ebrahim Golestan, noto scrittore e cineasta engagé di cui diventa fedele collaboratrice. Iniziò a occuparsi anche di montaggio, sceneggiatura e regia. E’ del’incontro con Ebrahìm Golestàn inizia una tempestosa relazione che durerà fino alla morte di Forùgh. Studiò inglese e produzione in Inghilterra, ebbe esperienze come attrice e produttrice. Dopo un soggiorno di studi in Inghilterra, la poetessa diventa cineasta e realizza alcuni importanti documentari, con i suoi bellissimi testi poetici: Atèsh (Fuoco), è sull’incendio di un pozzo di petrolio; la lotta disperata dell’uomo contro le forze ribelli della natura si svolge sullo sfondo di villaggi sperduti nel deserto. Il film: Khanèh siàh ast (La casa è nera), sul lebbrosario di Tabriz, che vinse i premi in tutto il mondo, tra gli altri anche il primo premio alla regia al festival di Uberhausen. Con La casa è nera, film girato quando lei aveva solo 27 anni, parla dei lebbrosi che vivono nascosti in un istituto e lontani dal resto del mondo. Nello stesso anno pubblicò la sua opera poetica più importante, Tavallod-e-digàr (Un’altra nascita). Del ’65 è un altro suo film di successo, Il mattone e lo specchio; è la storia di un neonato abbandonato in un taxi, che fornisce all’autrice l’occasione per descrivere la Teheran degli anni ’60 nei suoi aspetti più contrastanti. Nel ’66 partecipa al festival di Pesaro. Incontra Bernardo Bertolucci e altri attori e registi italiani. Il 14 febbraio 1967 morì prematuramente in un incidente automobilistico a Teheran, mentre si recava a vedere un film italiano. Sarà pubblicata postuma l’ultima, e forse anche la più importante, raccolta poetica, Iman biavarim be aghaz-e fasl-e sard (Crediamo soltanto all’inizio della stagione fredda).
-per questa pagina si ringrazia La farfalla di fuoco – Rivista di Letteratura e Cultura Varia
in apertura: Villa di Livia, affreschi del giardino, parete corta meridionale; affresco del Ninfeo (dettaglio) 40-20 a.C., Roma, Palazzo Massimo.