Vittorio Sereni, tre poesie

carta e penna

Vittorio Sereni, tre poesie

*

Finestra

Di colpo – osservi – è venuta,
è venuta di colpo la primavera
che si aspettava da anni.

Ti guardo offerta a quel verde
al vivo alito al vento,
ad altro che ignoro e pavento
– e sto nascosto –
e toccasse il mio cuore ne morrei.
Ma lo so troppo bene se sul grido
dei viali mi sporgo,
troppo dal verde dissimile io
che sui terrazzi un vivo alito muove,
dall’incredibile grillo che quest’anno
spunta a sera tra i tetti di città
– e chiuso sto in me, fasciato di ribrezzo.

Pure, un giorno è bastato.
In quante per una che venne
si sono mosse le nuvole
che strette corrono strette sul verde,
spengono canto e domani
e torvo vogliono il nostro cielo.
Dillo tu allora se ancora lo sai
che sempre sono il tuo canto,
il vivo alito, il tuo
verde perenne, la voce che amò e cantò –
che in gara ora, l’ascolti?
scova sui tetti quel po’ di primavera
e cerca e tenta e ancora si rassegna.

~

Le mani

Queste tue mani a difesa di te:
mi fanno sera sul viso.
Quando lente le schiudi, là davanti
la città è quell’arco di fuoco.
Sul sonno futuro
saranno persiane rigate di sole
e avrò perso per sempre
quel sapore di terra e di vento
quando le riprenderai.

~

Capo d’anno

Aggiorna sul nevaio.
Ad altro dosso di monte
un ignoto paese
mormorando mi va primavera
dalle sue rosse fontane,
da rivi scaturiti a giorno chiaro;
dove uscirono donne sulla neve
e ora cantano al sole.

Due poesie di Vittorio Bodini

9~Leuca - Faro di Punta Palascia

Due poesie di Vittorio Bodini

*

Con questo nome

Amore, cosa chiamo con questo nome
io non sono più certo di sapere.
Se ricerco nel fondo ove s’immerse
il tuo quieto naufragio,
fra i denti degli squali, di quelle sabbie gelosi,
presto riemerge il mio pensiero nudo
al visibile giorno,
con le braccia ferite e qualche filo
d’alga sul corpo, o i ciechi segni d’una medusa.

Ma a sera, se col passo delle fiere
che convengono caute presso lo stagno,
fra gli azzurri veleni che mesce il cielo,
in me come a tremante vetro s’affacciano
le antiche colpe, o errori, o la presente
solitudine, oh allora, come sei
tu stranamente viva sulle mie labbra,
e che stupiti altari la mia voce
odono che si scolpa nelle tenebre
a mia insaputa: O amore, tu sapessi…

~

Tutto un paese sorge contro un uomo

Tutto un paese sorge contro un uomo
condannato al coraggio:
le torri aragonesi a rombo sulla scogliera
e le case alte un palmo
(e doverti pregare di sorridere!),
come il cucito su cui cade a picco
il profilo severo delle cucitrici
in una poca luce d’oleandri.
Mi sarebbe costato meno uccidere,
in quest’inefficace lume di luna
schiacciata ai poli e preda di vapori
d’un rissoso occidente,
che dover dire: «un uomo come me »,
e sentire lo spazio per tutti e quattro i costati
torcersi come rame bianco, e le stoppie bruciare
in fumo senza vampe.
Le cose si feriscono anche senza di noi.
Che cos’ha questo viso? Io non avrei dovuto
uscire così illeso dai miei naufragi e segnare
nuovi fatti insensati sul bilancio del vivere,
eppure il tempo non si vendica, serba una traccia
dell’antica fierezza che morì
nelle disabitate tombe sparse
fra questi scogli che corrode il mare
e lo zolfo di sommersi vulcani.
È lì che vaga la notte la tua anima
di uomo come me, di me che credo
in quegli avi sepolti per tanti secoli
con un profilo come il mio
con cui guidavano
il corso delle navi e dei cavalli
e amavano pazienti donne dagli occhi d’uva.
Come si dibatte l’omuncolo nell’intrico del sangue
di quell’offesa somiglianza – e intanto perde terreno!
Vedilo dunque saltare, saltare infinitamente
fra queste tombe greche
accecate di terra, in riva al mare,
sparire nelle grotte, ricomparire
col viso tumefatto dal dolciastro egoismo
d’essere ancora vivo senza pietà.

in apertura: faro di Punta Palascia, Otranto (LE)

Rocco Scotellaro, tre poesie a cento anni dalla nascita

ulivi - van gogh

Campagna

Passeggiano i cieli sulla terra
e le nostre curve ombre
una nube lontano ci trascina.
Allora la morte è vicina
il vento tuona giù per le vallate
il pastore sente le annate
precipitare nel tramonto
e il belato rotondo nelle frasche.

*

È già notte qui nei valloni
è già notte per le campagne
marine.
Dai paesi corrono piccole
nuvole di fumo verso il cielo.
Continua la vita nel gelo.
L’anima è questo respiro
che ci riempie e ci vuota.
E occorre guardarsi indietro
a vedere il giorno
dove corre.
Corre di fronte
alle luci accese dei pali
dove il Vulture adesso
si vede
sullo specchio rosso
di ponente…
Perché l’ombra è già
morta sui pini.

*

Ho capito fin troppo gli anni e i giorni e le ore
gl’intrecci degli uomini, chi ride e chi urla
giura che Cristo poteva morire a vent’anni
le gru sono passate, le rondini ritorneranno.
Sole d’oro, luna piena, le nevi dell’inverno
le mattine degli uccelli a primavera
le maledizioni e le preghiere.

***

Rocco Scotellaro (Tricarico, 19 aprile 1923 – Portici 1953) fu uno dei maggiori poeti e intellettuali lucani impegnato nel vivo delle problematiche del secondo dopoguerra. Animato da una forte carica morale e ideale, profusa nella sua produzione letteraria e nell’impegno politico, ha assunto il valore emblematico delle lotte per il riscatto del popolo meridionale. Di umile origine, socialista, fu sindaco di Tricarico dal 1946 al 1950, quando fu arrestato sotto l’infondata accusa di irregolarità amministrative; in seguito, grazie all’intervento di C. Levi, ottenne un impiego presso l’Istituto agrario di Portici. Trasse dalla sensibilità ai problemi sociali della sua terra motivi per alcune opere comparse postume: l’inchiesta Contadini del Sud (1954), il romanzo autobiografico incompiuto L’uva puttanella (1955) e una serie di poesie (È fatto giorno, 1954). In seguito sono stati pubblicati il volume di racconti Uno si distrae al bivio (1974) e la raccolta di versi Margherite e rosolacci (1978). Nel 2019 la sua intera produzione letteraria è stata raccolta nel volume Tutte le opere.

In apertura: Vincent van Gogh, Ulivi

Due poesie di Dario Bellezza

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Due poesie di Dario Bellezza (Roma, 1944 – 1996)

Racconto l’affamato scontro di due vite
per impetrare nella vita idiota
la promessa felice della vittoria
sul ricordo del lupo e del pugnale
e voi assonnati adolescenti odorosi
di fumo presto sfiancati dalla maturità
rispettate il codice cupo di chi volle
strumento assurdo dell’eternità.

Il pane muffo e le patate bollite che mangiai
con uno di voi sonnolento buffone meritano
la muffa eterna della vigliaccheria o
la forza della misericordia che s’elimina
crescendo verso la dolcezza estrema
del suicidio più lento: vivere.

~

Bruciavo d’amore e voluttà
nei calzoni fiorenti dell’estate
il latte versavo chiaro
sull’erba matta dei giardini
solo le panche ci erano amiche.
Senza legge l’erotico abbandono
usciva illividito al suo bel bagno
sotto l’innaffio del chiodato airone
puro amore ribadito invano
le membra calde ribaciate intanto
rischiano lo sfacelo e il malefizio
delle generazioni possedute dalla morte.

Sandro Penna, breve selezione di poesie

Breve selezione di poesie di Sandro Penna (Perugia, 1906 – Roma, 1977)

*

Al pari di un profilo conosciuto,
o meglio sconosciuto, senza pari
Fra gli altri animali, unica terra
La tua forma casuale quanto amai.

~

Mi adagio nel mattino
di primavera. Sento
nascere in me scomposte
aurore. Io non so più
se muoio o pure nasco.

~

Il giorno ha gli occhi di un fanciullo. Chiara
La sera pare una ragazza altera.
Ma la notte ha il mio buio colore,
il colore di un cupo splendore.

~

Se la vita sapesse il mio amore!
me ne andrei questa sera lontano.
Me ne andrei dove il vento mi baci
dove il fiume mi parli sommesso.

Ma chi sa se la vita somiglia
al fanciullo che corre lontano…

~

Era la mia città, la città vuota
all’alba, piena di un mio desiderio.
Ma il mio canto d’amore, il mio più vero
era per gli altri una canzone ignota.

~

Come è forte il rumore dell’alba!
Fatto di cose più che di persone.
Lo precede talvolta un fischio breve,
una voce che lieta sfida il giorno.
Ma poi nella città tutto è sommerso.
E la mia stella è quella stella scialba
mia lenta morte senza disperazione.

Tre poesie di Luciano Erba

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Tre poesie da L’ipotesi circense di Luciano Erba (Milano, 1922-2010), poeta, critico letterario, traduttore, scrittore italiano del secondo Novecento

*

Un cosmo qualunque

Abitano mondi intermedi
spazi di fisica pura
le cose senza prestigio
gli oggetti senza design
la cravatta per il mio compleanno
le Trabant dei paesi dell’est.
Tèrbano, ma che vorrà dire?
Forse meglio di altri
esprimono una loro tensione
un’aura, si diceva una volta
verso quanto ci circonda.

~

Senza bussola

Secondo Darwin avrei dovuto essere eliminato
secondo Malthus neppure essere nato
secondo Lombroso finirò comunque male
e non sto a dire di Marx, io, petit bourgeois
scappare, dunque, scappare
in avanti in indietro di fianco
(così nel quaranta quando tutti) ma
permangono personali perplessità
sono ad est della mia ferita
o a sud della mia morte?

~

Variar del verde

Quel campanile osservato dal treno
che fa una esse tra sambuchi e robinie
non è forse il miglior osservatorio
su altri verdi, di foreste ercinie?

Ecco un tipo di foglie che guadagna
se questo verde di alberi da frutta
so vedi contro un cielo minaccioso
di un temporale colore di lavagna.

Vi è poi un verde selvatico di forre
a mezza costa, sotto i santuari,
che scurisce nel colmo dell’estate:

il sole è alto, l’ombra fa miracoli,
serpeggia il verde da Fatima al Carmelo,
salgo in mezzo ai roveti, guardo il cielo.

*

In apertura: Umberto Boccioni, Visioni simultanee

Tre poesie di Alfonso Gatto

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Tre poesie di Alfonso Gatto (Salerno, 1909 – Orbetello, 1976)

*

Poesia d’amore

Le grandi notti d’estate
che nulla muove oltre il chiaro
filtro dei baci, il tuo volto
un sogno nelle mie mani.

Lontana come i tuoi occhi
tu sei venuta dal mare
dal vento che pare l’anima.

E baci perdutamente
sino a che l’arida bocca
come la notte è dischiusa
portata via dal suo soffio.

Tu vivi allora, tu vivi
il sogno ch’esisti è vero.
Da quanto t’ho cercata.

Ti stringo per dirti che i sogni
son belli come il tuo volto,
lontani come i tuoi occhi.

E il bacio che cerco è l’anima.

~

In un soffio

Risvegliare dal nulla la parola.
È questa la speranza della morte
che vive del suo fumo quando è sola,
del silenzio che ventila le porte.

Il passato non cessa di passare
e l’odore che sparve è l’aria calda
che ferma gli oleandri lungo il mare
in un soffio di mandorla e di cialda.

~

La stanza

Questa mia stanza candida di fede,
ad abitarla con eguale fede
più giovane di me, lei sola crede
alla mia nuova storia, tu non vuoi
credere, dici è tutto provvisorio.

Se mi lasci la morte o la speranza
di mutare vagando non sai dire,
né a credere sopporti che tu sia
la presenza invocata.

La mia stanza ha il vuoto che le lasci.
Non le manca la sedia, ma il tuo posto.
Non manca il giradischi, la tua voce
manca e il silenzio dell’averti intorno.

Mancano gli occhi tuoi più dello specchio.

Eugenio Montale, due poesie

nuvole-rosse

Eugenio Montale, due poesie

*

Il sogno del prigioniero 

Albe e notti qui variano per pochi segni.
Lo zigzag degli storni sui battifredi
nei giorni di battaglia, mie sole ali,
un filo d’aria polare,
l’occhio del capo guardia dallo spioncino,
crac di noci schiacciate, un oleoso
sfrigolìo dalle cave, girarrosti
veri o supposti – ma la paglia è oro,
la lanterna vinosa è focolare
se dormendo mi credo ai tuoi piedi.

La purga dura da sempre, senza un perché.
Dicono che chi abiura e sottoscrive
può salvarsi da questo sterminio d’oche,
che chi obiurga se stesso, ma tradisce
e vende carne d’altri, afferra il mestolo
anzi che terminare nel pâté
destinato agl’Iddii pestilenziali.

Tardo di mente, piagato
dal pungente giaciglio mi sono fuso
col volo della tarma che la mia suola
sfarina sull’impiantito,
coi kimoni cangianti delle luci
scironate all’aurora dai torrioni,
ho annusato nel vento il bruciaticcio
dei buccellati dai forni,
mi son guardato attorno, ho suscitato
iridi su orizzonti di ragnateli
e petali sui tralicci delle inferriate,
mi sono alzato, sono ricaduto
nel fondo dove il secolo e il minuto –

e i colpi si ripetono ed i passi,
e ancora ignoro se sarò al festino
farcitore o farcito. L’attesa é lunga,
il mio sogno di te non e finito.

~

La bufera

La bufera che sgronda sulle foglie
dure della magnolia i lunghi tuoni
marzolini e la grandine,

(i suoni di cristallo nel tuo nido
notturno ti sorprendono, dell’oro
che s’è spento sui mogani, sul taglio
dei libri rilegati, brucia ancora
una grana di zucchero nel guscio
delle tue palpebre)

il lampo che candisce
alberi e muro e li sorprende in quella
eternità d’istante – marmo manna
e distruzione – ch’entro te scolpita
porti per tua condanna e che ti lega
più che l’amore a me, strana sorella, –
e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa…
Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,

mi salutasti – per entrar nel buio.

Vittorio Bodini, due poesie

9~Leuca - Faro di Punta Palascia

Vittorio Bodini, versi da La Luna dei Borboni e altre poesie (1945-1961)

*

FOGLIE DI TABACCO (1945-1947)

Sulle pianure del Sud non passa un sogno.
Sostantivi e le capre senza musica,
con un segno di croce sulla schiena,
o un cerchio,
quivi accampati aspettano un’altra vita.
Tutto è evidenza e quiete, e si vedrebbe
anche un pensiero, un verbo,
con il bigio sgomento d’una talpa
correre tra due pietre.

La pianura mirare a perdita d’occhi,
senza case, senz’alberi, senza una lettera:
livello di un’assenza a cui sole si sporgono
capre o spettri di capre morte da secoli,
che brucano le amare giade dell’insonnia,
l’acciaio senza luce d’antiche spade,
quando popoli amari si scontravano
e di sangue tingevano i cieli della preistoria.

Così, se qualche giorno dal sottosuolo
un riso magro scatenato nel vento
di scirocco si stira,
ciò che all’imperturbato cielo e ai corvi
scopre la vanga
sono le dentature di cavalli
uccisi che si rammentano
che dolce festa faceva
quand’era vivo il sangue sulla pianura.

~

LA LUNA DEI BORBONI (1950-1951)

Piano si staccano
i tocchi
da un orologio e nuotano
fra pioggia, vento e vetri di finestre.
Le terrazze tamburellano
come teli da tenda
e il grido dei fanciulli:«Aea!» si perde
nelle vie
come pei corridoi
d’un castello assediato.
Inverno assediatore
vecchiaia dell’anno,
mette angoscia nei sensi,
chiude il domani.

Ma lasciamo un momento questa città.
Andiamo nel sonno,
andiamo a vedere che succede.

*

in apertura: Faro di Punta Palascìa, Otranto (LE)

Due poesie di Eugenio Montale

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Due poesie di Eugenio Montale

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

~

Esitammo un istante
e dopo poco riconoscemmo
di avere la stessa malattia.
Non vi è definizione
per questa mirabile tortura,
c’è chi la chiama spleen
e chi malinconia.
Ma se accettiamo il gioco
ai margini troviamo
un segno intelleggibile
che può dar senso al tutto.

Versi di Ada Negri

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Versi di Ada Negri (1870-1945) è stata una poetessa, scrittrice e insegnante italiana. È ricordata anche per essere stata la prima e unica donna a essere ammessa all’Accademia d’Italia

*

Pioggia d’autunno

Vorrei, pioggia d’autunno, essere foglia
che s’imbeve di te sin nelle fibre
che l’uniscono al ramo, e il ramo al tronco,
e il tronco al suolo; e tu dentro le vene
passi, e ti spandi, e si gran sete plachi.
So che annunci l’inverno: che fra breve
quella foglia cadrà, fatta colore
della ruggine, e al fango andrà commista,
ma le radici nutrirà del tronco
per rispuntar dai rami a primavera.

Vorrei, pioggia d’autunno, esser foglia,
abbandonarmi al tuo scrosciare, certa
che non morrò, che non morrò, che solo
muterò volto sin che avrà la terra
le sue stagioni, e un albero avrà fronde.

~

La folla

Fluttuo con te, nel tuo sordo tumulto
perduta; e tu mi porti e tu mi spingi
e mi rigetti, e d’ignorarmi fingi,
ma ben m’abbranca il tuo potere occulto.

Sai di sudore umano, e di sporcizia
mascherata d’aromi, e del sentore
d’ogni travaglio: ogni odio ed ogni amore
per oscuro fermento in te s’inizia.

Mi piaci per l’enorme onda vitale
che tutta mi ravvoltola, muggente
e rischiumante, carne e cuore e mente
impregnando del tuo libero sale.

Ogni volto che a lampi appare e spare
forse è il mio: chè mio corpo non è questo
solo ch’io sento e curo e movo e vesto:
chi vi noma e vi scinde, onde del mare?…

D’essere innumerevole è mia gloria
e mia superbia; e multiforme, come
te, folla; e in preda a tutti i venti, come
te, che a folate scardini la storia;

e, se fremito passi di sommossa,
ingigantir con te, con te disvellere
i sassi e i cuori, ed oscurar le stelle
col divampar della mia furia rossa.

~

Pensiero d’autunno

Fammi uguale, Signore, a quelle foglie
moribonde, che vedo oggi nel sole
tremar dell’olmo sul piú alto ramo.
Tremano, sí, ma non di pena: è tanto
limpido il sole, e dolce il distaccarsi
dal ramo, per congiungersi alla terra.
S’accendono alla luce ultima, cuori
pronti all’offerta; e l’agonia, per esse,
ha la clemenza d’un mite aurora.
Fa ch’io mi stacchi dal piú alto ramo
di mia vita, cosí, senza lamento,
penetrata di Te come del sole.

~

Bartolo Cattafi, due poesie

Versi da Tutte le poesie (Ed.Le Lettere) di Bartolo Cattafi (Barcellona Pozzo di Gotto, 1922 – Milano, 1979)

*

SCIROCCO IN SICILIA

Alle porte del Sud róse dal mare
agavi e capre bivaccano covando
il sangue fatto polvere nei secoli
vecchio odore immobile del mondo.

Mezzogiorno su razze dolorose
favola sbarcata come un padre
lamento della sete dei cammelli
ogni ulivo è per te una bandiera
ogni cuore l’arancia ritrovata
ogni donna la cavalla cavalcata.

Colmate le chiese d’incenso e di gridi
come battelli di spezie e di limoni
fanciulle atroci sull’antica schiena
affogano cantando il grosso sesso
uccello starnazzante rosso e nero
in un bagno mordace d’acquasanta.

Caldo corpo di favola e fuga
tinnante del frumento dalle pietre
Scirocco spada di Dio in processione
rosa in mano alle grige famiglie
nuvola e sonno maturo sopra i tetti.

Un’ombra di geranio macchia il muro
una salma appassisce nel deserto
come un sacco di miele abbandonato
Scirocco curvo lutto luminoso
alitante l’aroma del Corano
sul folle gesto del sangue crocifisso.

Per noi urlano gli occhi solitari
per noi la carne è uno sperso animale
per noi il pianto è una bianca corona
di farfalle impazzite nelle stoppie.

Germoglia il tuo latte tagliente
dentro gole oscure uteri muti
Sicilia sposa di capri e di califfi
Sicilia offerta all’immenso assalto
del vento che trascina tristi quaglie
oltre il mare cedendole agli ulivi.

~

LINEA DI COSTA

Una linea segnata
in nessuna mappa
perché passa per la mia anima
divide il mare dalla terra
a volte filo teso
s’accende e vibra a certi venti
a volte s’allasca e sbatacchia
arco flaccido che sbatte a destra
che sbatte a manca
trasforma mezzelune di mare in terra
spicchi di terra in mare
in modo alterno sbalestra
l’assetto delle cose
l’alga sull’aia
sott’acqua l’erba medica
a volte scompare
sotto un banco di nebbia
e non sai se l’ansante rimorchiatore
senza controllo
a lumi spenti s’inerpica sulle colline.
Vorresti allora una mappa più netta
passarci sopra il palmo della mano
inchiodarla sull’asse
soffiare sulla nebbia
buttarci di notte
la luce della lampadina.

*

Biografia

Maggio in versi

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 È maggio di Giovanni Pascoli

A maggio non basta un fiore.
Ho visto una primula: è poco.
Vuoi nel prato le prataiole:
È poco: vuole nel bosco il croco.
È poco: vuole le viole; le bocche
di leone vuole e le stelline dell’odore.
Non basta il melo, il pesco, il pero.
Se manca uno, non c’è nessuno.
È quando è in fiore il muro nero
è quando è in fiore lo stagno bruno,
è quando fa le rose il pruno,
è maggio quando tutto è in fiore.

~

Maggio di Giorgio Caproni

Al bel tempo di maggio le serate
si fanno lunghe; e all’odore del fieno
che la strada, dal fondo, scalda in pieno
lume di luna, le allegre cantate
dall’osterie lontane, e le risate
dei giovani in amore, ad un sereno
spazio aprono porte e petto. Ameno
mese di maggio! E come alle folate
calde dall’erba risollevi i prati
ilari di chiarore, alle briose
tue arie, sopra i volti illuminati
a nuovo, una speranza di grandiose
notti più umane scalda i delicati
occhi, ed il sangue, alle giovani spose.

~

Rosa di maggio di Alda Merini 

L’alba si è fatta
profumo di rose.
Rosa di maggio,
abbarbicata sul muro vetusto;
affresco di vita
corroso dagli scherni del tempo.
Tappeto di petali bianchi
sul selciato di dolci primavere.
Fra gli agrumi imbiancati dai fiori,
mano nella mano di mio padre,
stretta, stretta,
al richiamo del cuore di mamma,
ansioso, protettivo.
Diventeranno frutti copiosi,
allieteranno tavole imbandite
tra gli amici dell’allegria,
svaniti nei rivoli
del più salubre inganno.
In fondo, oltre la siepe,
scorgere i ceppi temprati dagli anni;
offrono ancora nuova vegetazione,
nuove foglie, tenere e indifese,
al soffio di vento.

rosa lilla

Maggio di Alfonso Gatto 

Odore d’orfani odore di garofani
il fresco dei mugnai
sul carro in vetta al cielo.

D’ogni speranza la sera è vuota
nell’asino che zoccola sul selciato
grigio come la porta di bottega
che ha sui vetri il mare,
emporio dei dolci confetti di noia.

~

Godi di maggio di Attilio Bertolucci

Godi di maggio che consuma in fretta
i giorni delle rose alla luce
spettrale delle sere, la giovinezza
non aspetta…

Ma estivo è ormai questo silenzio intorno
alla tua casa e al sonno dei vivi e dei morti se il giorno va via.

~

Maggio romano di Margherita Guidacci

Ora che lingue di fuoco ci lambiscono
(purtroppo non pentecostali)
e fiocchi di lana bigia cadendo dagli alberi
ci dispongono alla febbre da fieno;
mentre puzzano in coro le immondizie abbandonate
per le strade da spazzini scontenti,
ed attendiamo rassegnati la rinascita
delle mosche, dei cattivi pensieri e delle guerre,
verrà infine qualcuno ad annunziare
che abbiam finito di decomporci?

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Vittorio Bodini, Dov’è l’uomo? Chi arriva

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Vittorio Bodini (Bari, 1914 – Roma, 1970) è stato un poeta e traduttore italiano, uno dei maggiori interpreti e traduttori italiani della letteratura spagnola. I suoi studi e le sue traduzioni sono ancora oggi da alcuni reputati veri e propri modelli.

🕊

Dov’è l’uomo? Chi arriva

Dov’è l’uomo? Chi arriva
fino al suo grido
dove non ha più fronte ma targhe d’ ottone?
Empio di sonno, vago nel mio sangue,
cascate azzurre piovono
sull’azzurro guanciale
e chi ho perso è il compagno mio: non è
più ai piedi del mio letto, dacché
talpa pensosa dei destini civici,
perso nei manifesti,
nella civica azione,
spio corridoi che portano
sempre più dentro, più attorti
nei visceri dei Pubblici Enti
divoratori di verbali, con lingue
penzolanti di tori squartati
e a testa in giù,
ed ogni scavo non è verso il varco,
non alla libertà la galleria
del mio sonno, di industre talpa e decoro
in cui si mura ogni gesto
d’amore del poeta ai suoi simili, e intanto
s’allontana il mio sosia, il compagno mio,
non come lo scudiero giovinetto che andava a corte
e aveva tanto sonno che dormiva a cavallo,
ma da un viottolo scuro, guardandosi
fra cocci di bottiglie e verdure selvatiche,
la punta delle scarpe nere,
una dopo l’altra.
C’è così poco sole quanto basta
perché ne brilli il manubrio della bicicletta,
ma nulla vede,
né i cardi del cielo,
né la chiocciola dura
abbarbicata agli sterpi;
oltrepassa capre, orme incise
di cavalli nelle piogge disseccate,
e il vecchio uomo seduto sul muricciolo,
con occhiali e bastone,
e il capo
sul taccuino di massime trascritte,
in compendio finale sotto un tenue
cielo di maiolica triste, ma non può vedere
nulla il compagno mio perché i suoi occhi
non gli servono a nulla senza di me.
Così valiamo poco, l’uno senza dell’altro,
e il lamento dell’uomo a cui muovemmo
s’abbarbica ai suoi fili e ci si fa nemico.

*

versi da “Dopo la luna (1952 – 1955)” in Tutte le poesie a cura di Oreste Macrì, Besa 2010 — In apertura, opera di Salvador Dalì.

Maria Luisa Spaziani, tre poesie

Maria Luisa Spaziani (Torino, 1922 – Roma, 2014) ), tre poesie

Realtà e metafora

Tu, realtà e metafora, luminoso
corpo dal doppio segno. Tu moneta
d’inscindibile faccia, bianco cigno
che ingloba il suo riflesso.

Penso all’abbraccio, e all’improvviso scende
in acque buie il mio vascello ebbro.
Confluiscono oceani. L’energia,
duraturo arabesco di fulmine.

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E lui mi aspetterà nell’ipertempo

E lui mi aspetterà nell’ipertempo,
sorridente e puntuale, con saluti
e storie che alle poverette orecchie
dell’arrivata parranno incredibili.
Ma riconoscerà, lui, ciò che gli dico?
In poche note o versi qui raccolgo
i messaggi essenziali. Un altro raggio,
aria diversa glieli tradurrà.

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Entro in questo amore come in una cattedrale

Entro in questo amore come in una cattedrale,
come in un ventre oscuro di balena.
Mi risucchia un’eco di mare, e dalle grandi volte
scende un corale antico che è fuso alla mia voce.

Tu, scelto a caso dalla sorte, ora sei l’unico,
il padre, il figlio, l’angelo e il demonio.
Mi immergo a fondo in te, il più essenziale abbraccio,
e le tue labbra restano evanescenti sogni.

Prima di entrare nella grande navata,
vivevo lieta, ero contenta di poco.
Ma il tuo fascio di luce, come un’immensa spada,
relega nel nulla tutto quanto non sei.

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da Tutte le poesie (Meridiani Mondadori, 2012)