Rainer Maria Rilke, tre poesie

Mare_in_inverno

Rainer Maria Rilke, tre poesie

*

Un vento di primavera

Con questo vento viene destino; lascia,
lascia che venga tutto ciò che preme, cieco,
di cui noi arderemo -; tutto questo.
(E resta immobile perché ci trovi).
Porta il nostro destino questo vento.

Da chi sa dove questo vento nuovo,
sbandando sotto il peso di cose senza nome,
porta sul mare quello che noi siamo.

…Oh, se lo fossimo. Saremmo a casa.
(Vedremmo scendere e salire in noi i cieli).
Ma ogni volta con questo vento passa
il destino oltre di noi immenso.

~

Passeggiata notturna

Niente è paragonabile. Esiste forse cosa
che non sia tutta sola con se stessa e indicibile?
Invano diamo nomi, solo è dato accettare
e accordarci che forse qua un lampo, là uno sguardo
ci abbia sfiorato, come
se proprio in questo consistesse vivere
la nostra vita. Chi si oppone perde
la sua parte di mondo. E chi troppo comprende
manca l’incontro con l’Eterno. A volte
in notti grandi come questa siamo
quasi fuor di pericolo, in leggere parti uguali
spartiti fra le stelle. Immensa moltitudine.

~

Canto delle donne al poeta

Siamo come ogni cosa che si schiude,
e nient’altro che questa beatitudine.
Ciò ch’era sangue e buio in una belva
crebbe in noi per farsi anima e si tende

ancora a te, fatta anima, e ti chiama.
Tu, certo, la ricevi nel tuo viso
come un paesaggio, mite e senza brama.
Perciò crediamo non sia tu cui mira

il nostro grido. Eppure, in chi vorremmo
se non in te, perderci senza fine?
In chi, più che in te, cresce il nostro essere?

L’infinito con noi passa e si perde.
Sii tu la bocca che ce lo fa udire,
tu sii: tu che di noi dici l’essenza.

Traduzioni di Giacomo Cacciapaglia

Else Lasker-Schüler, tre poesie

cuore

Tre poesie di Else Lasker-Schüler (1869 – 1945), all’anagrafe Elisabeth Schüler, è stata una poetessa tedesca. Secondo Schalom Ben-Chorin, è stata la più grande poetessa espressa dall’ebraismo.

*

Segretamente di notte

Ho scelto te
Tra tutte le stelle

Sono sveglia – fiore in ascolto
Nel fogliame ronzante

Le nostre labbra stilleranno miele,
Le nostre notti scintillanti sono sbocciate.

Al beato splendore del tuo corpo
Il mio cuore accende i suoi cieli

Dal tuo oro pende ogni mio sogno,
Ho scelto te tra tutte le stelle.

~

Amore

Sai che nella mia selvaggia fantasia
Tu sei legato…

Perché tu mi possa vincere con i baci,
Nelle notti nere, presto all’alba.

Sai dove fioriscono gli anemoni,
Scintillanti di rosso come un mare di fuoco

Ho guardato nel fondo dei calici
Mai più lascerò il peccato.
E fosse anche pieno di lacrime –
E tu morissi nella mia vampa ardente …

Il mio inferno cela il tuo regno dei cieli,
Ah, possa tu dissolverti nel mio sangue.

Traduzioni di Adelmina Albini e Stefanie Golish
~

Dire piano

Tu ti prendesti tutte le stelle
Sul mio cuore.

I miei pensieri si increspano,
Io devo danzare.

Tu fai sempre quello che mi fa guardare in alto,
Stancare la mia vita.

Non posso più sopportare
La sera sopra le siepi.

Nello specchio dei ruscelli
Non ritrovo la mia immagine.

All’arcangelo tu hai rubato
I fluttuanti occhi;

Ma io spizzico il miele
Del loro azzurro.

Il mio cuore va lento sotto
Io non so dove –

Forse nella tua mano.
Dovunque lei si impiglia alla mia rete.

Traduzione di Nicola Gardini

Helga Maria Novak, tre poesie

penna e calamaio

Tre poesie di Helga Maria Novak (Germania, 1935-2013), poetessa islandese di lingua tedesca i cui scritti iniziarono ad essere notati dal pubblico e dal governo dopo la seconda guerra mondiale.

*

sotto il gelso

carta carbonizzata innevava la strada
lanterne sghembe ondeggiavano ebbre
le finestre a inferriate della scuola di mattoni
tenevano al sicuro in cantina quaranta bambini

le mura della città andavano in cenere
di fronte alla scuola c’era un albero di gelso
e un bambino nei bagliori dell’incendio
si ingozzava la bocca di dolci more

la scuola in mattoni è bruciata per intero
le inferriate tennero bene
i quaranta presero fuoco come libri urlanti
da ultime s’infiammarono le braccia protese

il bambino ha smesso di crescere
– uno scemo qualsiasi – e
mentre sulla cenere crescono le cipolle
lui continua sotto l’albero di gelso

a ingozzarsi la bocca di dolci more.

~

a casa mia

a casa mia fioriscono i ciliegi
la terra fresca dissodata sputa larve
e lombrichi e odora forte
a casa mia i muri di casa
sono ogni giorno più caldi
nei boschi dove l’erba dell’anno passato diventa
così asciutta
che puoi stendertici sopra
le foglie di quercia cadono per ultime ma ora infine
cadono
solo il muschio sciaborda ancora sotto i piedi
e conserva al suolo un vino asprigno
a casa mia il cuculo canta
cinquanta volte
vivremo ancora cinquant’anni no di più no
per sempre
a casa mia
che non mi venga da ridere
casa tua fammi vedere
a casa mia fioriscono i ciliegi
e il lillà
e nei castagni si librano gli amenti bianchi e rossi
del bruciante e buono amore

~

finché arrivano lettere d’amore 

finché arrivano lettere d’amore
non tutto è perduto
finché mi raggiungono abbracci
e baci seppure per lettera
non tutto è perduto
finché nei pensieri
vi chiedete dove io sia
non tutto è perduto

Paul Celan, tre poesie

nuvole-rosse

Tre poesie di Paul Celan 

***

Già sono posati i cavi
per collegare la felicità
dietro di te
e le sue ben munite
linee d’emergenza,

nelle città ausiliari,
rivolte a te,
dove a spruzzo diffondono
generatori di salute,
delle melodiche antitossine
annunciano
lo sprint finale
attraverso la tua coscienza.

*

Da Luce coatta e altre poesie postume, trad. Giuseppe Bevilacqua.

~

Corona

L’autunno mi bruca dalla mano la sua foglia: siamo amici.
Noi sgusciamo il tempo dalle noci e gli apprendiamo a camminare:
lui ritorna nel guscio.

Nello specchio è domenica,
nel sogno si dorme,
la bocca fa profezia.

Il mio occhio scende al sesso dell’amata:
noi ci guardiamo,
noi ci diciamo cose oscure,
noi ci amiamo come papavero e memoria,
noi dormiamo come vino nelle conchiglie,
come il mare nel raggio sanguigno della luna.

Noi stiamo allacciati alla finestra, dalla strada ci guardano:
è tempo che si sappia!
È tempo che la pietra accetti di fiorire,
che l’affanno abbia un cuore che batte.
È tempo che sia tempo.

È tempo.

*

da Papavero e memoria, 1952, trad. di Giuseppe Bevilacqua.

~

Espembaum (Pioppo)

Dente di leone, così verde è l’Ucraina.
La mia bionda madre non tornò a casa.

Nube di pioggia, tu ti trattieni ai bordi delle fonti?
La mia sommessa madre piange per tutti.

Stella rotonda, tu stringi il nodo al nastro dorato.
Di mia madre il cuore si piagò di piombo.

Porta di quercia, chi ti scardinò?
La mia mansueta madre non può giungere.

*
da Mohn und Gedächtnis, trad. di Anna Maria Curci (dal web)

***

Paul Celan (Czernowitz, Bucovina, 1920 – Parigi 1970) poeta rumeno di origine ebraica, ha scritto in lingua tedesca; scampato allo sterminio nazista, visse dal 1948 a Parigi, dove morì suicida. La sua poesia, influenzata da Mallarmé, dall’espressionismo e dal surrealismo, esprime le sofferenze del poeta, della sua famiglia e del suo popolo e la tragedia dei sopravvissuti (Papavero e memoriaMohn und Gedächtnis, 1952) e col passare del tempo il linguaggio diventa sempre più metaforico ed evocativo: la lingua realistica diventa, così, inutilizzabile in quanto lingua di quel potere che ha reso possibili crimini atroci. La parola poetica si fa quasi evanescente e le poesie si compongono di spazi vuoti e delle parole che sono state strappate al silenzio. L’apertura al Dio ebraico in La rosa di Nessuno (Die Niemandsrose, 1963) non cancella la solitudine e l’abbandono, che nemmeno la speranza di libertà, rinata dopo il viaggio a Gerusalemme (Dimora del tempoZeitgehöft, postumo 1976), ha potuto colmare.

Ingeborg Bachmann, due poesie

Due poesie di Ingeborg Bachmann (Klagenfurt 1926 – Roma 1973) poetessa, scrittrice e giornalista austriaca. I motivi ideologici della sua formazione intellettuale (Heidegger, Wittgenstein) si incontrarono con il tema della generazione venuta dopo gli orrori della guerra nella dimensione di un linguaggio spesso tormentato e astruso, ma sempre autentico.

*

Stelle di marzo

Ancora la semina è lontana. Si vedono
terreni inzuppati di pioggia e stelle di marzo.
Nella formula di pensieri infecondi
si configura l’universo seguendo l’esempio
della luce, che non sfiora la neve.

Sotto la neve ci sarà anche polvere
e, non disfatto, il futuro nutrimento
della polvere. Oh il vento che si leva!
Altri aratri dirompono l’oscurità.
Le giornate tendono a farsi più lunghe.

Nelle lunghe giornate, non richiesti,
veniamo seminati entro quei solchi storti
e diritti, e si eclissano stelle. Nei campi
prosperiamo o ci corrompiamo a caso,
docili alla pioggia, e infine anche alla luce.

~

Nella penombra

Ancora mettiamo entrambi le mani nel fuoco:
tu per il vino del lungo fermento notturno,
io per la mattinale acqua sorgiva, che non conosce i torchi.
il mantice attende il maestro, in cui confidiamo.

Non appena l’ansia lo scalda, il soffiatore giunge.
Va via prima di giorno, arriva prima del tuo richiamo:
è antico, come la penombra sopra le nostre ciglia rade.

Di nuovo egli fonde il piombo nella caldaia di lagrime:
per una coppa a te – occorre solennizzare il tempo perduto –
a me per il coccio pieno di fumo – che sarà versato nel fuoco.
Mi scontro così con te, facendo tintinnare le ombre.

Scoperto è chi esita, adesso,
chi ha scordato la formula magica.
Tu non puoi e non vuoi conoscerla,
bevi sfiorando l’orlo, dove è fresco:
come un tempo, tu bevi e resti sobrio,
le ciglia ti crescono ancora, tu ancora ti lasci guardare!

Io  con amore all’attimo protesa sono già, invece:
il  coccio mi cade nel fuoco, piombo mi ridiventa
qual’era. E dietro al proiettile sto,
monocola, risoluta, defilata,
e incontro al mattino lo invio.

Helga Maria Novak, due poesie

Helga Maria Novak (1935 – 2013) è stata una poetessa islandese di lingua tedesca; i suoi scritti iniziarono ad essere notati dal pubblico e dal governo dopo la seconda guerra mondiale. Considerata la maggior poetessa della ormai inesistente DDR (Repubblica Democratica Tedesca) prese la cittadinanza islandese, ma la sua terra, che fino all’ultimo l’ha rifiutata, rimarrà nel suo immaginario la sua patria ideale. Le due poesie condivisa di seguito sono tratte da “Finché arrivano lettere d’amore. Poesie 1956-2004″ (traduzione e cura di Paola Quadrelli, Effigie Edizioni 2017).

*

sotto il gelso

carta carbonizzata innevava la strada
lanterne sghembe ondeggiavano ebbre
le finestre a inferriate della scuola di mattoni
tenevano al sicuro in cantina quaranta bambini

le mura della città andavano in cenere
di fronte alla scuola c’era un albero di gelso
e un bambino nei bagliori dell’incendio
si ingozzava la bocca di dolci more

la scuola in mattoni è bruciata per intero
le inferriate tennero bene
i quaranta presero fuoco come libri urlanti
da ultime s’infiammarono le braccia protese

il bambino ha smesso di crescere
– uno scemo qualsiasi – e
mentre sulla cenere crescono le cipolle
lui continua sotto l’albero di gelso

a ingozzarsi la bocca di dolci more.

~

Deportate

le scavatrici di torba

vengono dai campi paludosi
le loro teste rasate a zero
ondeggiano nel crepuscolo
come la collana di perle di una gigantessa

a piedi nudi le donne lasciano
le impronte nella strada catramata
i soldati davanti alle palizzate
aspettano i corpi

delle scavatrici di torba

*

È possibile leggere un interessante approfondimento al seguente link: https://www.lasepolturadellaletteratura.it/helga-maria-novak-tedesca-est/

Bertolt Brecht, due poesie

nuvole-rosse

Due poesie di di Bertolt Brecht

Primavera 1938 

Oggi, domenica di Pasqua, presto
Un’improvvisa tempesta di neve
si è abbattuta sull’isola.
Tra i cespugli verdeggianti c’era neve. Il mio ragazzo
mi ha portato verso un piccolo albicocco attaccato alla casa
strappandomi ad un verso in cui puntavo il dito contro coloro
che stanno preparando una guerra che
può cancellare
il continente, quest’isola, il mio popolo,
la mia famiglia e me stesso. In silenzio
abbiamo messo un sacco
sopra all’albero tremante di freddo.

🕊

A quelli nati dopo di noi

Veramente, vivo in tempi bui!
La parola disinvolta è folle. Una fronte liscia
indica insensibilità. Colui che ride
probabilmente non ha ancora ricevuto
la terribile notizia

Che tempi sono questi in cui
un discorso sugli alberi è quasi un reato
perché comprende il tacere su così tanti crimini!
Quello lì che sta tranquillamente attraversando la strada
forse non è più raggiungibile per i suoi amici
che soffrono?

È vero: mi guadagno ancora da vivere
ma credetemi: è un puro caso. Niente
di ciò che faccio mi da il diritto di saziarmi.
Per caso sono stato risparmiato. (Quando cessa la mia fortuna sono perso)

Mi dicono: mangia e bevi! Accontentati perché hai!
Ma come posso mangiare e bere se
ciò che mangio lo strappo a chi ha fame, e
il mio bicchiere di acqua manca a chi muore di sete?
Eppure mangio e bevo.

Mi piacerebbe anche essere saggio.
Nei vecchi libri scrivono cosa vuol dire saggio:
tenersi fuori dai guai del mondo e passare
il breve periodo senza paura.

Anche fare a meno della violenza
ripagare il male con il bene
non esaudire i propri desideri, ma dimenticare
questo è ritenuto saggio.
Tutto questo non mi riesce:
veramente, vivo in tempi bui!

Voi, che emergerete dalla marea
nella quale noi siamo annegati
ricordate
quando parlate delle nostre debolezze
anche i tempi bui
ai quali voi siete scampati.

Camminavamo, cambiando più spesso i paesi delle scarpe,
attraverso le guerre delle classi, disperati
quando c’era solo ingiustizia e nessuna rivolta.

Eppure sappiamo:
anche l’odio verso la bassezza
distorce i tratti del viso.
Anche l’ira per le ingiustizie
rende la voce rauca. Ah, noi
che volevamo preparare il terreno per la gentilezza
noi non potevamo essere gentili.

Ma voi, quando sarà venuto il momento
in cui l’uomo è amico dell’uomo
ricordate noi
Con indulgenza.

Hermann Broch, due poesie

ITALY, Sicily, Barcellona  artist Emilio ISGRO' holding an orange in his hand.

Hermann Broch, due poesie da “La verità solo nella forma, Poesie 1913-1949”, De Piante Ed., 2021

*

Prato notturno in settembre
.
Superata dagli astri
vaga la nuvola e scivolano
lentamente i campi
nell’umidità della notte.
Poi lo sguardo cerca l’inimitabile,
le ombre argentee degli alberi e
il cantare che piove, cerca
il rilassato fluttuare dei prati radicato
nel fiato e nel silenzio. Lontano scorrono
fiumi ricoperti di stelle e al di là della lontananza
canta di notte il gallo.
Nulla sfugge allo sguardo, tutto resiste
avvolto dall’occhio, ridimensionato dalla domanda
fluttua un cielo di steli argentei
verso le mani che cercano tastoni, e ti getti nell’erba,
in ascolto del ventre della terra
essa si offre amorevole alla domanda amorosa
e accade il suo mistero.
Per quanto poi penetri nei campi irradiati
sempre più dal margine e sconfinato già il prato,
penetri il visibilmente celato e il presunto mistero
del fulgore inglese, il tuo procedere e cadere
il tuo amare e il tuo ascoltare diventa nuovo occultamento
e oltrepassa il mistero della luce, e oltrepassa
la tua domanda, e per quanto anche vaghi, oh anima,
tu resti al margine del prato. –
Puoi tu, mortale, tu che cammini al margine
di ogni oscurità, puoi tu,
contemplatore che mai riconosce, tornare ancora a casa
alle dimensioni del passato, nelle quali
il sorriso abita insieme al canto?

~

Lago Maggiore 

Potente e clemente si rivela qui
il divino,
in nessun luogo il suo sorriso è così grande,
in nessun luogo così tenero –
alito d’acciaio di questo paesaggio,
quando argentate le onde sbattono
sulle lontane cime nevose,
fluttuante lo specchio del lago
l’eco azzurrata.
Nelle pieghe dell’infinitezza
dimora l’uomo
e dalle misere suppellettili terrene
vaga il suo sguardo nell’ebbro
inebriato dal soave canto speculare
e perduta
la melodia delle colline
poiché i pendii franano, roccia e terreno ricoperto di prati
trascinano i boschi
verso le rive popolate dagli uomini,
ritrovate nell’illuminata
isola.
Proveniente da tempi remoti, toccante i tempi remoti
io come ogni uomo
nelle pieghe dell’infinitezza
indegno l’uno, degno l’altro,
il mio occhio, il mio sguardo
e la musica delle colline
oh suono orribilmente leggiadro,
mio cuore.
Chi può chiamare Dio, quando lui ride?
Chi può ascoltarlo, quando lui canta?
E attraverso i rami
Del sereno albero frondoso
riluce il lago
eco.
Isola dell’anima
mio cuore.

Friedrich Hölderlin, Ricordo

RICORDO, poesia di Friedrich Hölderlin

È il vento di nord est.
Il più amato dei venti
per me, perché ai marinai promette
la rotta giusta e l’anima ardente.
Va’ e saluta
la bella Garonna
e i giardini di Bordeaux
là dove il sentiero
s’accosta alla riva aspra
e il ruscello cade profondo
nel grande fiume
ma sopra
è in vedetta la nobile coppia
delle querce e i pioppi d’argento –

io mi ricordo
ancora del bosco d’olmi
che china le larghe cime dei monti
sul mulino, ma nella corte
cresce la pianta del fico.
Nei giorni di festa
vanno le donne brune
sopra un piano di seta,
al tempo di marzo,
quando uguali son la notte e il giorno,
e sui sentieri lenti
carico di sogni d’oro
passa ondoso il respiro del vento:
ma mi si offra quella coppa inebriante
colma di luce bruna
perché possa riposare:
dolce sarebbe
sotto le ombre il sonno.
E male è se l’anima si perde
lontano da pensieri di mortali.
Bene è invece parlare,
dire i pensieri del cuore,
udir molte cose
dei giorni dell’amore,
dei fatti che avvennero.

Ma gli amici, dove sono?
Bellarmino e il suo compagno?
C’è chi ha timore
ad andar alla fonte.
Ma la ricchezza ha inizio
nel mare. Essi come pittori
raccolgono tutta la bellezza
del mondo e non spregiano
la guerra alata, avere
la casa sotto un albero senza fronde,
per anni, solitari,
dove la notte non ha luci
di città e di feste
né musiche né danze native.

Ma ora quegli uomini sono salpati
per le Indie, nel promontorio arioso
presso le erte vigne
da cui la Dordogna scende
e insieme alla Garonna sfarzosa
esce fiume ampio come mare.
Il mare dona e toglie il ricordo;
l’amore fissa i suoi occhi fedeli.
Ma il poeta fonda ciò che resta.

(Trad. di Enzo Mandruzzato)

.

Friedrich Hölderlin (Lauffen am Neckar 1770 – Tubinga 1843) è uno dei massimi autori del romanticismo tedesco. Durante la sua formazione avvertì l’influsso di Klopstock, Kant, Schiller, Rousseau, e dei greci. Da giovane, studente a Tubinga, sentì fortemente il richiamo del verbo rivoluzionario propagato dalla Francia. Cominciò a scrivere, giovanissimo, inni ed elegie schillerianamente patetiche nel tono e idealizzanti nel contenuto. Tra le traduzioni italiane delle sue poesie Alcune poesie di Hölderlintradotte da Gianfranco Contini, Firenze, Parenti, 1941 – Torino, Einaudi, 1982; Le liriche, 2 voll., trad. Enzo Mandruzzato, Milano, Adelphi, 1977; Tutte le liriche, a cura di Luigi Reitani, con uno scritto di Andrea Zanzotto, Milano, Mondadori (collana “I Meridiani”), 2001. Ricordiamo, inoltre, Iperione, o l’eremita in Grecia, saggio introduttivo di Jacques Taminiaux, Parma, Guanda, 1981 (trad. Marta Bertamini e Fulvio Ferrari); La morte di Empedocle, saggio introduttivo di Elena Polledri, Milano, Bompiani (collana “Il pensiero occidentale”), 2003 (trad. Laura Balbiani); Scritti sulla poesia e frammenti, Torino, Boringhieri, 1958 (trad. Gigliola Pasquinelli); Diotima e Hölderlin: lettere e poesie, Milano, Adelphi, 1979 (trad. Enzo Mandruzzato); Sul tragico, saggio introduttivo di Remo Bodei, Milano, Feltrinelli, 1980; Scritti di estetica, Milano, SE, 1987 (trad. Riccardo Ruschi); Edipo il tiranno, introduzione di Franco Rella, Milano, Feltrinelli, 1991 (trad. Tommaso Cavallo); Antigonae di Sofocle nella trad. di Friedrich Hölderlin, saggio di George Steiner, Torino, Einaudi, 1996.

(dal sito Nuovi Argomenti)

Johann Wolfgang Goethe, due poesie

Mi batteva il cuore; svelto, a cavallo!
E via! Con l’impeto dell’eroe in battaglia.
La sera cullava già la terra,
e sui monti si posava la notte;
se ne stava vestita di nebbia la quercia,
gigantesca guardiana, là
dove la tenebre dai cespugli
con cento occhi neri guardava.
.
Da un cumulo di nubi la luna
sbucava assonnata tra le nebbie;
i venti agitavano le ali sommesse,
sibilavano orridi al mio orecchio;
la notte generava migliaia di mostri,
ma io mille volte più coraggio avevo;
il mio spirito era un fuoco ardente,
il mio cuore intero una brace.
.
Ti vidi, e una mite gioia
passò dal tuo dolce sguardo su di me;
fu tutto per te il mio cuore,
fu tuo ogni mio respiro.
Una rosea primavera
colorava l’adorabile volto,
e tenerezza per me, o numi,
m’attendevo, ma meriti non avevo.
.
L’addio, invece, mesto e penoso.
Dai tuoi occhi parlava il cuore;
nei tuoi baci quanto amore,
oh che delizia, e che dolore!
Partisti, e io restai, guardando a terra,
guardando te che andavi, con umido sguardo;
eppure, che gioia essere amati,
e amare, o numi, che gioia!
.
.
.
Il pescatore
.
(Mentre) l’acqua mormorava, l’acqua si gonfiava,
un pescatore era dunque là seduto,
ed osservava la sua angelica tranquillità
ed era in pace dentro al suo cuore.
E mentre sedeva ed ascoltava attentamente,
il flutto si spezzava verso l’alto;
e dall’acqua agitata venne in su
una donna gocciolante (d’acqua).
.
Ella gli cantò e gli parlò:
”Perché attenti ai miei figli
con scaltrezza e furbizia umana
verso la brace (ardente) della morte?”
Se tu sapessi come sta comodo
il pesciolino sul fondale,
scenderesti senza pensarci due volte
e saresti subito sanato.
.
Non si ristora il caro sole,
come pure la luna, sopra il mare?
Non gira forse ondeggiando
lo sguardo suo due volte più bello?
Non ti incanta il profondo cielo,
con il suo splendido azzurro?
Non ti alletta la tua strana figura
nella rugiada perenne?”
.
L’acqua mormorava, l’acqua si gonfiava,
e gli inumidiva il piede bagnato
il suo cuore si riempiva di desiderio,
come nel più caro degli incontri.
Lei gli cantò, lei gli parlò;
e questo accadde a lui:
un po’ lei lo trascinò ed un po’ scivolò da solo
e nessuno lo vide più.
(dal web)

Hans Magnus Enzensberger, due poesie da Sentimenti confusi

poesia il sasso nello stagno angre

Lo spirito del padre 

Certe sere eccolo lì seduto,
come una volta, un po’ curvo,
che canticchia, al tavolo,
sotto la lampada di ferro.
Il pennino raschia
sulla carta millimetrata.
Tranquillo, risoluto, lascia
la sua traccia nera.
A tratti mi sta a sentire,
la testa bianca, di neve, reclinata,
sorride assente, continua a lavorare
al suo magnifico progetto
che io non posso capire
che lui mai finirà.
Lo sento canticchiare.

§

Qualche riga oziosa

Mai abbiamo combinato meno guai di allora
quando in lenti pomeriggi a poco a poco ci si ubriacava,
e mai fummo più innocui, a parte il sonno,
che in quei giorni che trascorrevamo in chiacchiere balorde;
già la sera avevamo dimenticato tutte le cose dette.
Sì, era favoloso, come oziavamo per interi giorni,
ricchi e pigri perché ignari di noi stessi, lì a guardare
come quel che ci era dato se ne andava, dolcemente,
……………in sperperi.

*

Hans Magnus Enzensberger, Sentimenti confusi

tratte da Chiosco, traduzione dal tedesco di Anna Maria Carpi (Einaudi)

Hilde Domin, quattro poesie

Hilde Domin, quattro poesie da Il coltello che ricorda
(a cura di PaolaDel Zoppo, Del Vecchio Ed. – altre poesie e una nota sull’autrice, QUI)
.
.
IL TUO ALBERO ROSSO
.
Il tuo albero rosso
fa inverno.
I tuoi uccelli
si levano in volo.
A lungo sedettero muti tra i rami.
Volano
volteggiano su di te.
Diventano estranei.
(trad.di Nadia Centorbi)
.
SEMINA
.
Nell’aiuola
dei miei fianchi
voglio seminare i tuoi occhi
prima che le foglie dorate
cadano e ci ricoprano.
.
Perché in primavera
con i narcisi e i giacinti
si schiudano le nuove palpebre.
.
.
.
FUSO
.
Io
nel blu un fuso
grande e d’oro
che pende senza peso
come un soffione
o come se il cielo
fosse il mare
e mi portasse
risplendente
sulla sua sommità
.
Ogni cosa
che tocchi
e sia pure la mela sul tavolo
è ricoperta
dei miei filamenti dorati
come il mappamondo dei grandi.
.
Io la figlia
sul ramo secco
di un albero invisibile
che ruota nel vento.
(Trad. di Ondina Granato)
.
PETALI DI ROSA
.
Con la testa all’ingiù
4 cm
di spontanea volontà
i calcagni all’altezza del cuore
mi inoltro nella notte
Un colpo sul pavimento
accendo la luce
sono i petali di rosa
(Trad.di Roberta Gado)

Paul Celan, due poesie

JORI_1_croce_fontana
L.Fontana, Croce

.

Il vero

Della croce, di essa rimase, aria,
solo quel braccio, il tra-
versale: si stende davanti al
cavo più profondo del cuore: tu
ricordi te a te stesso, tu
ti sollevi dalla menzogna -:
libero
per forte angoscia
tu ora respiri
e tu
.
parli.

~

Das Wirkliche
.
Vom Kreuz, davon blieb, als Luft,
nur der eine, der Quer-
balken bestehn: er legt sich,
unsichtbar legt er sich vor
die tiefere Herzkammer: du
erinnerst dich an dich selber, du
hebst dich hinaus aus der Lüge -:
frei
vor lauter Beklemmung
atmest du jetzt
und du
.
sprichst.

da “Sotto il tiro dei presagi”, Einaudi

*

Nei fiumi a nord del futuro

Nei fiumi a nord del futuro
getto la rete che tu,
esitante, carichi
di ombre scritte
da pietre.

~

In den flussen nördlich der Zukunft

In den flussen nördlich der Zukunft
werf ich das Netz aus, das du
zögernd beschwerst
mit von Steinen geschriebenen
Schatte.

da “Virata di respiro” (“Atemwende”), dal web

due poesie di Bertolt Brecht

*

Un giorno, quando ne avremo il tempo
penseremo i pensieri di tutti i pensatori di tutti i tempi
guarderemo tutti i quadri di tutti i maestri
rideremo con tutti i burloni
faremo la corte a tutte le donne
istruiremo tutti gli uomini.

(Poesie 1947 – 1956)

.*

*

Molti pensano che noi ci diamo da fare
nelle faccende più peregrine,
ci affatichiamo in strane imprese
per saggiare le nostre forze o per darne la prova.
Ma in realtà è più nel vero chi ci pensa
intenti semplicemente all’inevitabile:
scegliere la strada più dritta possibile, vincere
gli ostacoli del giorno, evitare i pensieri
che hanno avuto esiti cattivi, e scoprire
quelli propizi, in breve:
aprire la strada alla goccia nel fiume che si apre
la strada in mezzo alla pietraia.

(Poesie 1941 – 1947)

……….

Bertolt Brecht, scrittore e uomo di teatro tedesco (Augusta 1898 – Berlino 1956, nato da genitori di agiata borghesia, frequentò gli ambienti dell’avanguardia artistica monacense e berlinese abbandonando, senza concluderli, gli studi di medicina e volgendosi all’attività letteraria. Formatosi nel clima dell’espressionismo patetico e umanitario nonché dei giochi paradossali e provocanti del dadaismo, seppe trovarvi uno spazio poetico autonomo sin dai primi esperimenti originali, in cui circola una considerazione del mondo e delle cose che è disincantata e nello stesso tempo piena di umana curiosità, una ironia corrosiva che si diverte a demolire i valori più tradizionali della borghesia guglielmina, una ricerca delle ragioni materiali che sollecitano azioni e comportamenti degli individui. (continua al seguente link http://www.treccani.it/enciclopedia/bertolt-brecht/)

Bertolt Brecht, A coloro che verranno

A coloro che verranno di Bertolt Brecht (Augusta, 1898 – Berlino Est, 1956)

1.

Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l’ha saputa ancora.

Quali tempi sono questi, quando
discorrere d’alberi è quasi un delitto,
perché su troppe stragi comporta silenzio!
E l’uomo che ora traversa tranquillo la via
mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici
che sono nell’affanno?

È vero: ancora mi guadagno da vivere.
Ma, credetemi, è appena un caso. Nulla
di quel che fo m’autorizza a sfamarmi.
Per caso mi risparmiano. (Basta che il vento giri,
e sono perduto).

“Mangia e bevi!”, mi dicono: “E sii contento di averne”.
Ma come posso io mangiare e bere, quando
quel che mangio, a chi ha fame lo strappo, e
manca a chi ha sete il mio bicchiere d’acqua?
Eppure mangio e bevo.

Vorrei anche essere un saggio.
Nei libri antichi è scritta la saggezza:
lasciar le contese del mondo e il tempo breve
senza tema trascorrere.
Spogliarsi di violenza,
render bene per male,
non soddisfare i desideri, anzi
dimenticarli, dicono, è saggezza.
Tutto questo io non posso:
davvero, vivo in tempi bui!

2.

Nelle città venni al tempo del disordine,
quando la fame regnava.
Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte,
e mi ribellai insieme a loro.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.

Il mio pane, lo mangiai tra le battaglie.
Per dormire mi stesi in mezzo agli assassini.
Feci all’amore senza badarci
e la natura la guardai con impazienza.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.

Al mio tempo le strade si perdevano nella palude.
La parola mi tradiva al carnefice.
Poco era in mio potere. Ma i potenti
posavano più sicuri senza di me; o lo speravo.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.

Le forze erano misere. La meta
era molto remota.
La si poteva scorgere chiaramente, seppure anche per me
quasi inattingibile.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.

3.

Voi che sarete emersi dai gorghi
dove fummo travolti
pensate
quando parlate delle nostre debolezze
anche ai tempi bui
cui voi siete scampati.

Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe,
attraverso le guerre di classe, disperati
quando solo ingiustizia c’era, e nessuna rivolta.

Eppure lo sappiamo:
anche l’odio contro la bassezza
stravolge il viso.
Anche l’ira per l’ingiustizia
fa roca la voce. Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non si poté essere gentili.

Ma voi, quando sarà venuta l’ora
che all’uomo un aiuto sia l’uomo,
pensate a noi
con indulgenza.

*

Trad. italiana di Roberto Fertonani; da: Bertolt Brecht, Poesie scelte, Milano, Oscar Mondadori, 1971 (dal web)