
Attila József, poeta (Budapest 1905 – Balatonszárszó 1937), fra i maggiori rappresentanti della moderna poesia ungherese, studiò lettere e filosofia a Szeged, Parigi e Vienna; redasse la rivista letteraria Szép Szó (“Parola bella”); morì suicida. Il tono della sua lirica è dato dalle amare esperienze dell’infanzia e della giovinezza e dalla sua adesione al socialismo. La poesia di J. (Összes versei és műfordításai “Tutte le poesie e traduzioni”, 1939) raggiunge spesso un alto livello per il finissimo gusto e per le immagini originali che hanno sempre un legame stretto con la natura e con la realtà concreta. Numerose le traduzioni straniere, anche italiane. (da Enciclopedia Treccani)
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UN CUORE PURO
Non ho padre né madre
né Dio né patria
né culla né sepolcro
né amante né baci.
E’ da tre giorni che non mangio
né troppo né poco,
sono potere i miei vent’anni.
Se nessuno li vuole
se li compri il diavolo,
con cuore puro scardino
servisse, uccido anche l’uomo.
Mi catturino e m’impicchino
con terra benedetta mi coprano
erba mortale cresca
sul mio bellissimo cuore.
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QUELLO CHE NASCONDI NEL CUORE
Quello che nascondi nel cuore,
aprilo agli occhi,
quello che ti pare di vedere,
aspettalo nel tuo cuore.
Di amore si muore,
chi è vivo – dicono
ma la felicità ci vuole,
ci manca come un pezzo di pane.
Chi è vivo, rimane sempre un bambino,
e vuole tornare nel grembo materno
o si ama o si uccide,
campo di battaglia o letto nuziale.
Sarai tu l’ottantenne, che
ucciso dalla nuova generazione,
mentre muori
generi milioni col tuo sangue.
Tu la spina nel piede
non ce l’hai più,
e dal tuo cuore
scappa anche la morte.
Quello che ti pare di vedere,
con la mano devi prendere,
quello che nascondi nel cuore,
uccidilo o bacialo forte.
~
COME NEL CAMPO
Come nel campo il bambino
raggiunto dal temporale,
e non c’è casa o madre
dove potesse andare,
il cielo pesante e furioso romba,
sul campo svolazza la paglia,
e lui come animale mugola,
piangerebbe, ma ha paura,
sospirerebbe, ma d’improvviso
arriva un soffio gelido dal cielo,
e solo quando un brivido leggero
corre sul suo magro corpo e viso,
come un lampo improvviso
e la pioggia nera diluvia tutto
come se fosse suo pianto gigantesco,
che si accumula nei campi,
inonda l’erba, colma le fosse,
ne scava altre, ondeggia nel prato,
nel ruscello, anzi nel cielo,
e il bambino si avvia nel campo;
così mi sorprese il desiderio
selvaggio e improvviso
e cominciai a piangere,
sebbene fossi già uomo.
E su questa terra
bagnata di pianto
dove è difficile
alzare i piedi,
quando c’è fretta,
mi fermo ora.
Il suo desiderio
ignorerei se mi amasse.