Rileggiamo l’opera: l’albero della vita – sassi d’arte

L’albero della vita, mosaico, 1118 c.a 

Roma, San Clemente, abside della basilica superiore

*

A Roma, nei pressi del Colosseo, lungo la strada che sale gradualmente verso San Giovanni in Laterano, si trova una basilica intitolata a San Clemente I Papa, terzo successore di Pietro al soglio pontificio. L’opera architettonica risalente al IV secolo fu ampiamente devastata dai Normanni nel 1084; nel 1110, durante una fase particolarmente acuta della lotta alle investiture, allorché le nomine vennero nuovamente proibite, Papa Pasquale II ordinò che la chiesa fosse ricostruita sulle rovine della chiesa interrate della basilica precedente. Come se si trattasse di esorcizzare l’antico potere della Chiesa contro l’Impero, per la ricca decorazione interna della basilica ci si orientò verso reperti formali tratti dalle chiese paleocristiane; anzi, nel nuovo impianto furono integrati programmaticamente parecchi arredi della costruzione più antica (soprattutto suppellettili che vi erano state aggiunte nel V e nel VI secolo).

Anche un’opera nuova, che oggi eclissa tutto il resto, evoca sotto un certo aspetto l’arte paleocristiana. Parliamo del mosaico dell’abside, la cui composizione è dominata dalla croce. Il suo carattere fenomenico, che si manifesta mediante un meraviglioso tono di azzurro, richiama alla mente l’arte dello smalto. Maria e San Giovanni stanno ai lati della croce, ai cui piedi sgorgano i quattro fiumi del paradiso, ai quali si abbeverano i cervi. Scorgiamo, poi, la fenice, l’uccello fantastico che simboleggia l’immortalità. Dodici colombe bianche, che incarnano gli apostoli, occupano le assi verticale e trasversale della croce. In una nicchia ricavata dietro l’emblema della passione, è inserito un vero frammento della croce insieme ad altre reliquie (il mosaico assume perciò la funzione di stauroteca, reliquiario destinato ai frammenti della croce di Cristo). Sopra la croce si apre la volta celeste stellata, da cui scende la mano benedicente di Dio.

La decorazione vegetale fatta di incantevoli tralci di acanto ritorti, che riempie il catino absidale, rimanda al paradiso e identifica la croce come “l’albero della vita”; al contempo, l’intreccio dei tralci intorno al legno della croce regala vita e nutrimento a uomini e donne di ogni professione, anzi a ogni creatura. Tra le figure spiccano quattro personaggi vestiti semplicemente di bianco e nero, che rappresentano i padri della Chiesa latina, i santi Agostino, Gerolamo, Gregorio e Ambrogio. Il fregio sottostante, con l’Agnello dell’Apocalisse, ricorda nuovamente la Gerusalemme celeste e, poiché sopra l’arco di trionfo sono raffigurati i santi Pietro, Clemente, Paolo e Lorenzo e i profeti Geremia e Isaia, la resa visiva della redenzione include in sé anche la storia della Chiesa. In sintesi, il programma iconografico esaltava idealmente il Papa (sostenendo le pretese universalistiche della chiesa cattolica), il quale, in carne e ossa, sedeva in trono giù nell’abside.

Non a caso un simile messaggio era espresso a livello stilistico mediante il richiamo a modelli antichi. Gli artefici dell’opera ricordavano bene l'”impressionismo” che caratterizzava i mosaici romani del V secolo, quelli in Santa Pudenziana o in Santa Maria Maggiore e, come allora, accentuarono l’incarnato o il panneggio con strisce di tessere da mosaico di marmo bianco, circondate da frammenti di vetro neri e grigi (secondo l’antica tecnica romana).

Nei mosaici dei luoghi antichi paleocristiani comparivano anche scene di genere; le ritroviamo in San Clemente, arricchite con uccelli acquatici come quelli raffigurati un tempo lungo il bordo della cupola di Santa Costanza, con foglie di vite e grappoli d’uva disseminati qua e là e putti sgambettanti.

(tratto e adattato dal volume Romanico, Taschen Ed. – immagini dal web)

 

L’albero della vita – sassi d’arte

L’albero della vita, mosaico, 1118 c.a 

Roma, San Clemente, abside della basilica superiore

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A Roma, nei pressi del Colosseo, lungo la strada che sale gradualmente verso San Giovanni in Laterano, si trova una basilica intitolata a San Clemente I Papa, terzo successore di Pietro al soglio pontificio. L’opera architettonica risalente al IV secolo fu ampiamente devastata dai Normanni nel 1084; nel 1110, durante una fase particolarmente acuta della lotta alle investiture, allorché le nomine vennero nuovamente proibite, Papa Pasquale II ordinò che la chiesa fosse ricostruita sulle rovine della chiesa interrate della basilica precedente. Come se si trattasse di esorcizzare l’antico potere della Chiesa contro l’Impero, per la ricca decorazione interna della basilica ci si orientò verso reperti formali tratti dalle chiese paleocristiane; anzi, nel nuovo impianto furono integrati programmaticamente parecchi arredi della costruzione più antica (soprattutto suppellettili che vi erano state aggiunte nel V e nel VI secolo).

Anche un’opera nuova, che oggi eclissa tutto il resto, evoca sotto un certo aspetto l’arte paleocristiana. Parliamo del mosaico dell’abside, la cui composizione è dominata dalla croce. Il suo carattere fenomenico, che si manifesta mediante un meraviglioso tono di azzurro, richiama alla mente l’arte dello smalto. Maria e San Giovanni stanno ai lati della croce, ai cui piedi sgorgano i quattro fiumi del paradiso, ai quali si abbeverano i cervi. Scorgiamo, poi, la fenice, l’uccello fantastico che simboleggia l’immortalità. Dodici colombe bianche, che incarnano gli apostoli, occupano le assi verticale e trasversale della croce. In una nicchia ricavata dietro l’emblema della passione, è inserito un vero frammento della croce insieme ad altre reliquie (il mosaico assume perciò la funzione di stauroteca, reliquiario destinato ai frammenti della croce di Cristo). Sopra la croce si apre la volta celeste stellata, da cui scende la mano benedicente di Dio.

La decorazione vegetale fatta di incantevoli tralci di acanto ritorti, che riempie il catino absidale, rimanda al paradiso e identifica la croce come “l’albero della vita”; al contempo, l’intreccio dei tralci intorno al legno della croce regala vita e nutrimento a uomini e donne di ogni professione, anzi a ogni creatura. Tra le figure spiccano quattro personaggi vestiti semplicemente di bianco e nero, che rappresentano i padri della Chiesa latina, i santi Agostino, Gerolamo, Gregorio e Ambrogio. Il fregio sottostante, con l’Agnello dell’Apocalisse, ricorda nuovamente la Gerusalemme celeste e, poiché sopra l’arco di trionfo sono raffigurati i santi Pietro, Clemente, Paolo e Lorenzo e i profeti Geremia e Isaia, la resa visiva della redenzione include in sé anche la storia della Chiesa. In sintesi, il programma iconografico esaltava idealmente il Papa (sostenendo le pretese universalistiche della chiesa cattolica), il quale, in carne e ossa, sedeva in trono giù nell’abside.

Non a caso un simile messaggio era espresso a livello stilistico mediante il richiamo a modelli antichi. Gli artefici dell’opera ricordavano bene l'”impressionismo” che caratterizzava i mosaici romani del V secolo, quelli in Santa Pudenziana o in Santa Maria Maggiore e, come allora, accentuarono l’incarnato o il panneggio con strisce di tessere da mosaico di marmo bianco, circondate da frammenti di vetro neri e grigi (secondo l’antica tecnica romana).

Nei mosaici dei luoghi antichi paleocristiani comparivano anche scene di genere; le ritroviamo in San Clemente, arricchite con uccelli acquatici come quelli raffigurati un tempo lungo il bordo della cupola di Santa Costanza, con foglie di vite e grappoli d’uva disseminati qua e là e putti sgambettanti.

(tratto e adattato dal volume Romanico, Taschen Ed. – immagini dal web)