Sandro Botticelli, Venere e Marte – sassi d’arte

AFRODITE E HERMES, BOTTICELLI

Sandro Botticelli, Venere e Marte (1483)

tempera su tavola, cm 69×173- Londra, National Gallery

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La scena raffigura Venere mentre osserva, consapevole e tranquilla, Marte dormiente, distesi su un prato e circondati da piccoli fauni che giocano allegri con le armi del dio. I satiri sembrano tormentare Marte disturbando il suo sonno, mentre ignorano del tutto Venere, vigile e cosciente: uno ne ha l’elmo che gli copre completamente la testa mentre, con un altro, ruba furtivo la lancia del dio; un altro suona addirittura un corno di conchiglia nell’orecchio del dio per svegliarlo, senza successo; un quarto fa capolino dalla corazza sulla quale il dio è adagiato.

Nonostante il contorno scherzoso dei fauni, nel dipinto serpeggiano anche elementi di inquietudine, come il sonno spossato e abbandonato di Marte o lo sguardo lievemente malinconico di Venere. La presenza delle vespe nell’angolo in alto a destra ha anche fatto pensare che si trattasse di un’opera commissionata dai Vespucci, già protettori di Botticelli, magari in occasione di un matrimonio. Il formato orizzontale farebbe così immaginare la decorazione di un cassone o di una spalliera e il dipinto è stato, infatti, letto anche come allegoria matrimoniale, in cui l’Amore, impersonato da Venere, avrebbe il potere di ammansire anche lo spirito bellicoso, di cui Marte risulta essere la personificazione.

La composizione si sostanzia della felice opposizione tra i due personaggi: la dea completamente abbigliata e acconciata, con le pieghe dell’abito che si increspano sul corpo e cadono mollemente come le ciocche mosse dei capelli; il dio, invece, nudo e scultoreo. Tra i due amanti, i piccoli satiri giocano con le armi, come racconta Luciano nei Dialoghi. Una lettura iconografica in chiave neoplatonica riconosce in Venere l’Humanitas, cioè il grado più alto dell’evoluzione umana, che esercita il suo controllo sulla forza della discordia.

Nell’opera sono leggibili alcune caratteristiche stilistiche tipiche dell’arte di Botticelli. La composizione è estremamente bilanciata e simmetrica, che può anche sottintendere la necessità di equilibrio nell’esperienza amorosa. Il disegno è armonico e la linea di contorno tesa ed elastica definisce con sicurezza le anatomie dei personaggi, secondo quello stile appreso in gioventù dall’esempio di Antonio del Pollaiolo. A differenza del suo maestro però, Botticelli non usò la linea di contorno per rappresentare dinamicità di movimento e sforzo fisico, ma piuttosto come tramite per esprimere valori anche interiori dei personaggi. L’attenzione al disegno inoltre non si risolve mai in effetti puramente decorativi, ma mantiene un riguardo verso la volumetria e la resa veritiera dei vari materiali, soprattutto nelle leggerissime vesti di Venere. La metà inferiore della gamba destra di Venere scompare nelle pieghe del tessuto, forse accentuate per coprire un errore anatomico.

I colori sono tersi e contrastanti, che accentuano la plasticità delle figure e l’espressionismo della scena. Grande attenzione è riposta nel calibrare i gesti e le torsioni delle figure, che assumono importanza fondamentale. La ricchezza dell’oro e l’attenta disposizione delle pieghe rimandano alla formazione da orafo di Botticelli, che in questo caso usò una tecnica mista di tempera a uovo e colori a olio per dare un aspetto più tondeggiante e realistico ai volti.

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Tratto e adattato dal commento critico di Chiara Basta per Botticelli, collana I grandi maestri dell’arte, Skira e da Wikipedia.

Allegoria della Primavera di Sandro Botticelli (per i lunedì dell’Arte)

botticelli-primavera

S.Botticelli, Allegoria della Primavera (1481 – 1482)

tempera su tavola, cm 203 x 314 – Firenze, Galleria degli Uffizi

http://www.uffizi.org/it/sale/

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In questo dipinto – riconosciuto in quello citato in un inventario del 1499, in cui viene detto che si trovava sopra un “lettuccio” nella stanza attigua alla camera da letto di Lorenzo di Pierfrancesco de’Medici nel palazzo di famiglia in Via Larga – uno tra i più celebrati di Botticelli, sul quale intere generazioni di storici, letterati, storici dell’arte si sono cimentati, sono riconoscibili il tono di racconto collocato al di là del tempo reale, in un’atmosfera di “favola mitologica”, e la natura entro la quale si compie una sorta di rito pagano.  Le ragioni della committenza sembrano sottrarsi a tutt’oggi a ogni certezza; ciò che appare assodato è la centralità del ruolo attribuito a Venere e il legame con quel circolo di idee neoplatoniche condiviso presso la corte medicea.

Venere è anche collocata la centro del dipinto e dinnanzi a un mirto, pianta a lei tradizionalmente sacra; si è immessi in una sorta di paradiso mitologico, in cui, sulla destra, Zefiro, il vento primaverile, è raffigurato nell’atto di afferrare la ninfa Clori, che sta per fuggire e dalla cui bocca escono i fiori che si depositano sul trasparente abito di Flora. A sinistra, le Tre Grazie, le ancelle di Venere, intrecciano una danza e accanto a loro Mercurio allontana le nubi con il caduceo, suo tipico attributo. In alto, sopra Venere, Cupido, il dio dell’Amore, lancia i suoi dardi verso una delle Grazie. Alle spalle dei personaggi si trova una quinta arborea di aranci, mentre un tappeto erboso, intessuto di decine e decine di fiori, costituisce il piano su cui le figure sembrano muoversi danzando.

Dare un significato ultimo e univoco alla scena appena descritta è un’impresa inesauribile; anche l’identificazione dei personaggi, che sembrava unanimamente accettata dalla critica, è stata ultimamente messa in discussione da una recente, affascinante e precisa rilettura, che propone di interpretare il soggetto non tanto come Allegoria della Primavera, quanto come Le nozze di Filologia e Mercurio. Rimane indiscussa la collocazione dell’opera entro un complesso insieme di rimandi culturali al tema dell’Amore, così come non può essere discussa la matrice neoplatonica che la informa, né la straordinaria qualità esecutiva: oltre alla disarmante minuzia descrittiva di fiori e piante, va rimarcato il rapporto formale con la scultura, sia classica, di cui anche a Firenze esistevano importanti esemplari, che contemporanea al Botticelli, cui va riferita anche la particolare tensione conferita alla linea, che crea il ritmo dolce  e pacato delle figure e ne sostanzia i reciproci rapporti. (dal saggio di Chiara Basta in Botticelli, I grandi maestri dell’arte – Skira)

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Pallade che doma il centauro – sassi d’arte

Sandro Botticelli - Pallade doma il centauro

Pallade che doma il centauro, Sandro Botticelli

1482-1483, tempera su tela, cm 207×148 – Galleria degli Uffizi, Firenze

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“Fu dipinto per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici (ramo cadetto, che permetterà a Botticelli di entrare in contatto con la colta e intellettualistica cerchia neoplatonica le cui idee si rifletteranno nel suo quadro più noto, la Primavera) ed è ricordato nei registri della sua casa.

La figura femminile è vestita di un abito bianco impreziosito da un motivo decorativo costituito da tre anelli intrecciati con diamante, riferibile alla famiglia Medici; rami d’ulivo cingono il capo della donna e si attorcigliano anche lungo le braccia e il seno. Sulle spalle pende un grosso scudo e in mano regge un’alabarda da parata. E’ raffigurata nell’atto di trattenere per i capelli un centauro dall’espressione tra il corrucciato e triste;  figura quest’ultima probabilmente desunta da modelli antichi di età ellenistica, visto il forte patetismo dell’atteggiamento.

La lettura più convincente tra quelle proposte risultata essere quella che collega il dipinto al circolo neoplatonico di Careggi, attribuendogli il significato allegorico del dominio esercitato dalla ragione e dalla castità sul cieco istinto.”

(da I grandi maestri dell’arte, Skira editore)

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a dicembre, appuntamento con “i lunedì dell’arte” de Il Sasso nello stagno

Sandro_Botticelli - Madonna col Bambino (Madonna del libro)

Sandro Botticelli – Madonna col Bambino (Madonna del libro)

tempera su tavola, cm 58 x 39,5 (1480 – 1481) – Milano, Museo Poldi Pezzoli

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In questo secondo lunedì di dicembre, osserviamo una delle opere del pittore rinascimentale Sandro Botticelli (vero nome Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi -Firenze, 1º marzo 1445 – Firenze, 17 maggio 1510) dove incontriamo che “due sono i centri emotivi del dipinto: le mani di madre e figlio atteggiate in modo analogo – la destra appoggiata una sull’altra e aperta sul libro in un gesto che evoca quello della benedizione, la sinistra chiusa e posta sul grembo del Bambino – e gli sguardi che si incrociano.

Colpisce l’attenzione posta ai dettagli di natura morta, quali il libro, la ciotola contenente ciliegie, allusive al Paradiso, la scatola in secondo piano. La presenza dei chiodi e della corona di spine non deve stupire, poiché costituisce un diffusissimo esempio della premonizione di morte di Gesù fanciullo. La fortuna che questo dipinto ha incontrato nel corso dei secoli è amplissima, proprio per la sua caratteristica di semplice approccio devozionale.

(tratto da: Botticelli, Corriere della Sera – Rizzoli \ Skira)

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alcuni particolari dell’opera

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