Cos’è rimasto
Non c’è pace
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Giuseppe Schembari, poesie tratte da Naufragi, Sicilia Punto L Edizioni, 2015 — sullo stesso Autore, in questo blog leggi qui e qui.
immagine d’apertura: Naum Gabo, Linear construction in space no.1
Cos’è rimasto
Non c’è pace
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Giuseppe Schembari, poesie tratte da Naufragi, Sicilia Punto L Edizioni, 2015 — sullo stesso Autore, in questo blog leggi qui e qui.
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Il sasso nello stagno di AnGre propone ai suoi lettori le prime pagine dell’attenta lettura di Naufragi di Giuseppe Schembari, a cura di Fabio Vicari, docente trapiantato al Nord per lavoro, ma nato a Perugia (dove ha vissuto i primissimi mesi di vita) da genitori siciliani e, come si apprende dalle sue stesse parole, “siciliano a tutti gli effetti, fuorché anagraficamente”: un pregevole contributo scritto con perizia e passione che, con stima, illustra l’ultima silloge edita del poeta ibleo (sull’argomento leggi anche qui e qui) . Buona lettura!
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Leggendo “NAUFRAGI” di Giuseppe Schembari (Sicilia Punto L, 2015)
ANDATA E RITORNO SENZA SCONTI – Appunti di viaggio di Fabio Vicari
Giuseppe Schembari ci invita a compiere un viaggio in salita che parte dall’Abisso e, attraverso i naufragi, sensibilmente impressi nel reale, ci conduce nel suo personale quadro esistenziale, dove si alternano luci e ombre, tepore e gelo della contemporaneità soffocante in cui “Non c’è bisogno di guide / per rifugi vicini” (da “Un rebus” pag. 27).
Perché l’autore ha scelto, nel vasto mare della sua variegata produzione, proprio queste poesie per comporre la sua ultima silloge? Rispondere farà capire il senso del suo naufragare, quello del suo approdo e, più in generale, i modi e i contenuti del suo comunicare.
Leggiamo Bisogna fingere: “Forse / questo è il momento / d’indossare gli abiti del ruolo / murati i vestiboli dell’apparenza”. I poeti dell’apparenza, i falsi sensibili, quelli dell’inganno, della prosopopea, dello sfruttamento, “della viscida devozione”, incarnazioni ossimoriche dell’assurdo, vorrebbero vederlo “svendere in parole”, ma egli questo non lo farà mai. Ce lo dice attraverso le parole del “vecchio amico poeta /… / la dignità e la fierezza / ormai sono banalità in disuso / … / ma tu / non cambiare mai / la poesia / per forza di cose / ci salverà.”
Raggiunto l’approdo, tornato dal viaggio, fa il punto del suo peregrinare dentro e fuori di sé e, spalancandoci le porte, ci fa gioire e soffrire insieme a lui. Avanti, entrate! Così è scritto sulla sua porta: “Aspetto chi viene / con la trepidazione di chi parte, / un lento rincorrersi un calmo tornare” (Nulla è fuori posto, pag. 41). Se entreremo indossando l’abito della sensibilità saremo a rischio, prima o poi ci imbatteremo nella sua gioia, ma anche nel suo dolore e ne usciremo vestiti di una nuova emozione.
L’autore, con molta onestà, non si presenta come colui che prescrive ricette infallibili ed eterne, ma come un viaggiatore che si pone discretamente al nostro fianco per esplorare terre quasi sempre oscure e con l’insistenza del buio ci svela la bellezza, la semplicità e l’apparente inafferrabilità della luce.
La maturità, la consapevolezza di questa più recente raccolta sta nel nuovo viaggio intrapreso dal poeta, nell’aver trovato la voglia di raccontare con chiarezza (a partire dal titolo “Naufragi”) alcune tappe del suo viaggio, senza lasciare che esse prevalessero sull’esperienza sociale.
La parola non racchiude la voce solipsistica, anche nelle immagini più buie e silenziose c’è sempre la volontà di dialogo con il resto del mondo. Il silenzio è, infatti, un elemento importante del dialogo e testimonia la capacità e l’atteggiamento di ascolto, quello che gli fa sentire, di volta in volta, il male e la bellezza che lo circondano. Con la sua poesia testimonia contemporaneamente il male del mondo e il suo sentimento di dolore e d’impotenza di fronte ad esso, ma ciò nonostante egli non vi sottrae, non potrebbe a meno di sentirsi inadeguato e inconcludente.
La maggior ricchezza della parola talvolta è presente proprio là dove il contenuto riguarda la povertà di bellezza, quasi a mettere in evidenza, con il contrasto tra forma e contenuto, il sentire doloroso, l’universale / malessere (L’inganno, pag. 35, ASZ). Ecco soltanto qualche esempio: balbettio, pugnace, guado (Abisso); deturpava (Ancora); vestiboli (Bisogna fingere); effige, maliarda, ineluttabile (Dimenticanza); residuale, iconoclasta, sciaborda (Era già previsto); simposio, staglia (Indugiano ancora).
C’è un continuo alternarsi di sentimenti e situazioni, d’intense e interne migrazioni di stati d’animo che mettono in evidenza il dolore di vivere e la delusione correlati a immagini notturne, buie e altri che esortano la ripresa e il riscatto, legati a simboli di luce e di fuoco.
Il paesaggio è spesso buio, notturno, desolato, duro, freddo, gelido; gli uomini e le cose sembrano unirsi a esso nella comune sorte dell’invisibilità (soltanto qualche esempio, i riferimenti sono tantissimi e all’ultimo momento ho deciso di non inserirli tutti): “In una notte come questa / la città si scolora / … / Nel simposio dei disperati / l’ombra staglia / gli esili contorni / dei corpi tumefatti” (Indugiano ancora, pag. 17); “ Il buio che pioveva dalla notte, fagocitava la luna inossidabile” (La stazione, pag. 19).
La luce, le immagini più nitide, il calore fiammeggiante e la consapevolezza del ritorno, nello specchiarsi con lucidità, prevalgono nella seconda parte del libro e talvolta la luce fa da contrappeso al buio interiore
Giuseppe Schembari non è rassegnato, ma deluso da “questa umanità in decadenza” (Era già previsto, pag. 16), “forse sognare non basta” (La stirpe dell’esilio, pag. 54) e, mentre un tempo diceva “la nostra arma è il futuro” dando addirittura questo titolo a una poesia (La nostra arma è il futuro, ASZ, pag.43), oggi dice “la vita è una continua sottrazione / è il futuro che manca” (Si dimentica, pag. 60).
Qui ritroviamo il tema dei corpi uniti nella disgrazia, già presente in ASZ, “Se ne stanno ammassati / in un’unica stanza / bimbi rincoglioniti / sotto la minaccia del bastone” (Quando i bimbi, pag. 13): “Accalcati uno sull’altro / a rubarsi il fiato in gola” (In fuga, pag. 49). Situazioni diverse, certo, ma pur sempre corpi trattati senza umanità e uniti da una fine dolorosa.
Il corpo molle e abbietto dei potenti, invece, occupa comodamente irremovibili poltrone: “e i soliti culi grassi e fistolosi / occupano le poltrone di sempre” (Si dimentica, pag. 60); “L’uomo dal sorriso d’avorio / sprofondato / sulla sua comoda poltrona / di pelle umana” (I venditori di sogni, pag. 38, ASZ).
La falsità degli uomini senza scrupoli, incoscientemente delegati a farci del male, si rivela appena aprono la bocca: “La falsa lucentezza / dei loro denti / … / L’uomo dal sorriso d’avorio” (I venditori di sogni, ADZ 38); “il ghigno minaccioso / del vostro viso” (Al di sotto dello zero, ADZ, pag. 44); “Soffocati da quell’atmosfera / di perbenismo scadente / abbiamo spezzato le catene / delle vane promesse / e dei falsi sorrisi d’avorio” (Un’ombra, pag. 61).
La memoria del corpo non l’abbandona mai e le immagini corrispondenti vivono in un’atmosfera cupa e indelebile come un “lugubre tatuaggio / inciso sulla pelle” (in Abisso) e “Ancora / porto i segni / sulle braccia” (in Ancora, pag. 12).
L’intero intervento è disponibile in pdf, gratuitamente scaricabile, al seguente link:
Fabio Vicari legge “Naufragi”di Giuseppe Schembari (clicca qui)
Ragusa, giovedì 18 febbraio 2016, ore 18.30, presentazione della silloge Naufragi (ed.Sicilia Punto L.- novembre 2015) di Giuseppe Schembari presso il Centro Servizi Culturali della città iblea, in Via A.Diaz – interventi a cura di: Pippo Gurrieri (editore), Giovanni Occhipinti ed Emanule Schembari; poesie lette da: Vincent Migliorisi, Giacomo Schembari, Aldo Migliorisi e Vincenzo Cascone (clicca sulla foto della locandina per ingrandirla).
Il Centro Servizi Culturali si trova quasi alla fine di una discesa, che corre parallela ad una delle vallate (foto d’apertura), che incorniciano Ragusa, perla dell’UNESCO nella Sicilia Orientale, costituita dalla antica Ibla, posta ad un livello più basso rispetto alla città nuova e dal nuovo insediamento urbano, una vivace cittadina battuta da vento e sole, che non si risparmiano, e capace di regalare un indicibile cielo azzurro, come mai visto altrove. Non è superfluo inquadrare il luogo, un ex-mattatoio mirabilmente ristrutturato e trasformato da luogo di morte in spazio di rinascita culturale, in questo nostro Sud che troppo spesso punta l’attenzione troppo distante da sé. La sala delle conferenze ha luci chiare e forti ed è da subito molto accogliente. Accogliente esattamente come il poeta, Giuseppe Schembari, conosciuto personalmente soltanto la sera prima, ma facente parte di quelle rare persone che senti di conoscere da sempre, nell’emblematica data del rogo di Giordano Bruno, in un diciassette febbraio in cui, anche quattrocento e pochi più anni dopo, si sarebbe parlato ancora di libertà e di libero pensiero, seduti alla luce della luna e all’ombra della cattedrale (foto sotto).
Ci si incontra in corso Italia – angolo via Roma per andare insieme alla presentazione del suo ultimo libro di poesie e Peppe ha gli occhi emozionati ed un sorriso imbarazzato. Sciogliamo subito subito la tensione per questo evento pubblico di un qualcosa di estremamente proprio, com’è la poesia, scattando un selfie che gelosamente custodisco, perché guardandolo possa avere la certezza che tutto sia accaduto davvero. Arriviamo in anticipo; Peppe mi presenta con infinita gioia a tutti i suoi amici e per tutti sono la sua amica venuta fin dalla Puglia per la sua poesia. La sala non tarda a riempirsi. Ci siamo. Mi siedo in terza fila e ascolto tutti, relatori, autore, lettori. Al momento dei ringraziamenti il poeta fa il mio nome e cognome ed un inatteso applauso giunge dalla sala, facendomi luccicare gli occhi; sono stata a molte presentazioni in altre parti d’Italia, ma la stima e l’affetto che mi hanno dedicato a Ragusa, non li ho mai davvero incontrati.
In Naufragi, “si assiste al ritorno del figlio risucchiato dal vortice di una situazione-limite, che riesce alla fine ad affermarsi nei suoi progetti affettivi, umani e sociali, rivelandosi un buon nocchiero di se stesso. […] Sentiremo parlare di questo poeta e della sua tempra di autore e di uomo – scrive Giovanni Occhipinti (in foto, da sinistra: Pippo Gurrieri, Giuseppe Schembari, Giovanni Occhipinti, Emanuele Schembari) per Ondaiblea, quotidiano del Sud Est della Sicilia (qui la recensione completa) – che può lavorare sull’ambiguità o ambivalenza di una metonimia, di una metafora, al fine di mutare il disagio della sofferenza, la crudezza, nel soffio sonoro e perdurante di una poesia destinata a crescere e a restare. Lo leggano i giovani, questo libro di Giuseppe Schembari, eccellente cantore del suo stesso dramma, che, come nella mitologia surreale di quel personaggio tedesco, che fu il barone di Münchhausen, ha potuto liberarsi dalle acque infide e limacciose della palude, tirandosi per i capelli.”
Ventisette anni dopo la pubblicazione del suo primo libro, Al di sotto dello zero, sempre per i tipi di Sicilia Punto L., Giuseppe Schembari (foto qui a lato) usa ancora la poesia, come arma, come riscatto, come ancora di salvezza; non ha mai smesso di combattere contro la miseria umana, vissuta sulla propria pelle, anche utilizzando oggi un linguaggio meno crudo e meno violento, il sangue che scorre nelle sue vene si sente, così come assai nitido si percepisce il battito del suo cuore in ogni verso. Raramente ho incontrato una Persona ed un Poeta così veri da farmi avvertire il timore di non essere reali, tanto è tangibile la lealtà con cui Peppe tratta la materia poetica. Torno nella mia Puglia più motivata grazie al sorriso di un amico e della sua splendida famiglia, all’azzurro impareggiabile del cielo di Ragusa e con la consapevolezza che tanto e tanti appartenenti a quell’ambiguo mondo così detto letterario, che tanto si affanna a dire, a sentenziare e ad apparire, sono solo polvere che irrita gli occhi e il sentire. Peppe, con la sua poesia e la sua intricatissima esistenza divenuta adulta per strada, mi sta insegnando quello che nei “libri ufficiali” non si leggerà mai. A lui, il mio grazie. [by Angela Greco – ph.AnGre]
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Giuseppe Schembari in questo blog: leggi QUI e QUI.
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“LA POESIA NON E’ MORTA”: la Poesia come arma di risveglio di massa – di Giuseppe Schembari (per la nuova pagina Sassi dalla Sicilia)
Oggi la Poesia sembra aver perso la sua funzione di azione sulla realtà, quel suo naturale scopo, la sua utilità, il vero motivo – che si pensava potesse essere irrinunciabile – per cui il poeta scrive poesie.
La Poesia deve ritornare ad essere un’arma costantemente puntata contro gli artefici e i responsabili dell’immane malessere in cui ci troviamo. Nel caos attuale diventa indispensabile che la Poesia risvegli la coscienza da troppo tempo narcotizzata di tutti, perseguendo una profonda ricerca non già del tempo perduto, quanto piuttosto del tempo a venire, per recuperare quelle parole e di conseguenza quell’agire che da essa possono scaturire e per aggirare quelli che si preoccupano di separare parola e azione, imponendo la materialità sterile di una scrittura strettamente legata alla forma. Forma, come ambito dove tendenzialmente il rapporto tra Poesia e Realtà viene a spezzarsi, facendo sparire la finalità sociale intrinseca alla poesia stessa, rendendola inefficace, consentendole di scivolare via senza lasciar traccia e facendo dei poeti inutili “rivoluzionari” da salotto.
In quest’ottica ci si domanda se il poeta debba continuare a persistere in questo quadro inquietante come contorno sbiadito o anonima ombra oppure, se non sia il caso di far ri-diventare il Poeta uno schianto dirompente nell’immobilità preoccupante del presente.
Il recupero della Poesia da usare come arma può essere un mezzo assai valido per mettere in crisi il sistema. Di questo il Potere è sempre stato consapevole e perciò esso ha sempre temuto la forza eversiva della Poesia, cercando con ogni mezzo di annientarla per evitare che s’insinuasse nell’anima delle masse, rendendole consapevoli dell’improrogabile esigenza di cambiamento, acutizzando l’insoddisfazione e il dramma in cui la cinica incompetenza dell’intera classe politica ci ha trascinati.
Bisogna, dunque, liberare la Poesia dal guscio pseudo-letterario che oggigiorno la imprigiona e portarla nelle strade e nelle piazze, consentendole di fiorire nelle coscienze e nelle menti, così da diventare l’uragano che travolge e abbatte il trono dei signori del potere.
La Poesia intesa come liberazione dell’uomo e, se il silenzio è quello che vogliono imporre, noi risponderemo “SPIANANDO I FUCILI DELLA PAROLA”.
[versi e articolo di Giuseppe Schembari (leggi qui sull’Autore) — immagine tratta dalla serie pittorica “Sulla rotta di Ulisse” di Lawrence Ferlinghetti ]
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LA STAZIONE
(pag.19)
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ORFANI
(pag.42)
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SI DIMENTICA
(pag.59)
NAUFRAGI
(inedito)
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Nota di lettura di Angela Greco – La nuova silloge di Giuseppe Schembari ha insito nel titolo un destino che non lascia indifferente, Naufragi, che indurrebbe con una certa semplicità, essendo lui siciliano – di Ragusa per la precisione – verso una specifica cronaca di cui siamo tutti partecipi negli ultimi tempi. Il naufragio a cui queste poesie conducono il lettore, invece, è la deriva dei tempi e del quotidiano, un mare aperto sulla mancata comprensione della perdita di punti di riferimento e ideali. La lettura prende avvio dalla riva di qualcosa che alberga nel ricordo – reale o fittizio non è indicativo, né dovrebbe interessare al lettore – per solcare, man mano che si prende il largo, l’analisi dolorosa del tempo – che l’autore vive e sente sulla propria pelle – via via allargando lo spazio d’acqua dove annegare.
Contrasta il gusto amaro dei temi trattati la dolcezza (che è indubbiamente amore per la poesia, per la terra, per l’essere umano, finanche per se stesso, nonostante il tono di rimprovero che spesso si avverte) con cui il poeta li esterna, con versi brevi, incisivi e privi di punti che, oltre ad indicare una non chiusura del discorso poetico, potrebbero anche sottolineare ulteriormente un aspetto della condizione odierna dell’Uomo, ossia l’incapacità oramai di avere riferimenti fermi, precisi, nell’immenso mare in cui annaspa per sopravvivere.
La poesia per Giuseppe Schembari è una via di riscatto, di uscita, di salvezza che non maschera le cicatrici degli accadimenti precedenti per sublimarli in canto sottolineato da una ferma volontà di non cedere al negativo, pur avendo di quest’ultimo una precisa e cosciente certezza. Ogni poesia offerta al lettore è un naufragio ed il plurale del titolo ben si accorda anche con i diversi livelli di lettura a cui si offre la silloge, partendo dal luogo più vicino all’autore (il territorio d’appartenenza è uno degli incontri di cui è capace il libro) e da una sorta di personale naufragio, per giungere, nello svolgersi della lettura, alla condizione comune in cui – come si legge negli ultimi versi – chi non azzanna in anticipo / finisce azzannato. Una poesia non edulcorata, dura in alcuni momenti, senza orpelli e capace di arrivare dritta al bersaglio, che pone interrogativi e non teme il mare aperto.
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Giuseppe Schembari, nato a Ragusa nel 1963, ha pubblicato nel 1989 il volume di versi “Al di sotto dello zero” (edito da Sicilia punto L di Ragusa); vincitore e finalista in vari concorsi nazionali e regionali, tra cui – in più edizioni – Concorso di Poesia “Mario Gori”; Concorso nazionale di poesia civile “B. Brècht” città di Comiso; Premio Nazionale di Poesia “Ignazio Russo” città di Sciacca. Sue poesie sono inserite in varie Antologie di cui ricordiamo una tra tutte: “Bisogna armare d’acciaio i canti del nostro tempo” Antologia di poesie a cura dei Gian Luigi Nespoli e Pino Angione. Collabora con giornali e riviste.
Poeta del “Dissenso” propenso verso formule d’avanguardia linguistica e sperimentale, per il quale la poesia è testimonianza e risposta al quesito della storia e della cronaca quotidiana, relativamente alle realtà dell’oppressione e dello sfruttamento. E’ stato uno degli ultimi esponenti dell’ “Antigruppo Siciliciano”, movimento letterario nato quasi parallelamente alla Beat Generation americana, con la quale ci furono diversi contatti e collaborazioni tramite due dei maggiori esponenti di entrambi i gruppi, Lawrence Ferlinghetti per la Beat Generation e Nat Scammacca per l’Antigruppo.
Il verso per Schembari diventa denuncia ed egli partecipa non come spettatore, ma come protagonista della storia, testimone scomodo ed accusatore e, denunciando un’esistenza divenuta impossibile, la poesia per lui diventa un mezzo ed un’arma contro ogni condizione di penalizzazione, contro l’emarginazione, le guerre, il consumismo, l’ambizione, la corsa al potere, la mancanza di valori in cui l’ironia, l’invettiva, la rabbia sono sassi scagliati contro la palude dell’uniformità. Giuseppe Schembari è stato da sempre dalla parte di chi subisce la violenza dell’uomo sull’uomo, ma anche della violenza di Stato, cioè la violenza operata dalla legge e da chi dovrebbe tutelarla.
Nel 2015 ha pubblicato – sempre con l’editore Sicilia Punto L di Ragusa – il volume di poesie “Naufragi”.