Peppino Impastato, versi da Amore Non Ne Avremo

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E venne a noi un adolescente

dagli occhi trasparenti

e dalle labbra carnose,

alla nostra giovinezza

consunta nel paese e nei bordelli.

non disse una sola parola

né fece gesto alcuno;

questo suo silenzio

e questa sua immobilità

hanno aperto una ferita mortale

nella nostra consunta giovinezza.

Nessuno ci vendicherà;

la nostra pena non ha testimoni.

*

da Amore Non Ne Avremo, Poesia e immagini di Peppino Impastato

a cura di Guido Orlando e Salvo Vitale, Navarra Editore 2008

(versi a centro-pagina come sul testo) – http://www.peppinoimpastato.com/poesiedipeppino.htm

*

Giuseppe Impastato, nato a Cinisi (PA) il 5 gennaio 1948, “Peppino”, è stato un giornalista, attivista e poeta italiano, membro di Democrazia Proletaria e noto per le sue denunce contro le attività di Cosa Nostra, a seguito delle quali fu assassinato il 9 maggio 1978.

Tre poesie di Alexander Shurbanov

carta e penna

Tre poesie di Alexander Shurbanov: poeta, traduttore, saggista, critico letterario e professore universitario nato a Sofia (Bulgaria) nel 1941 è anche dottore honoris causa delle Università britanniche nel Kent e nel Surrey e  traduttore bulgaro dei Racconti di Canterbury di Chaucer,  delle tragedie di Shakespeare, del Paradiso perduto di Milton, delle poesie di Dylan Thomas e di numerosi altri poeti inglesi.

*

Ninnananna

Certe sere il mare si fa pallido e calmo
come se temesse qualcosa di estraneo
che incombe.
Ma subito l’universo buio china
su di lui il proprio volto sorridente,
i suoi capelli lo avvolgono dolcemente,
e acquietandosi
il mare si placa,
scurisce
e inizia a mormorare
qualcosa di incomprensibile,
eppure sereno e sterminato
come un’eternità,
che nel mondo non ha nulla da temere.

~

Sussurri dell'acqua


“Scrivi un verso
.                  e poi cancellalo” –
sussurra l’onda
mentre consegna sabbia alla spiaggia
e la riporta indietro
fino al vivente,
.                  inquieto,
oscuro abisso,
sforzandosi
di non ordinare l’universo
in una eternità immutabile
ma di tenere integra
la fragile catena del movimento,
i cui estremi
non sono cosa che possiamo scorgere.

~

Tutta l’immortalità che abbiamo 

Vorrei conservare quell’acuto confine
che divide il sole e l’ombra
sulla sabbia tra le vigne
sul fondo dei miei occhi
come un solco purpureo
e nel ricordo caldo dei miei passi –
come la cicatrice dolce di una vecchia ferita.
Qualcosa mi suggerisce
che in esso sta l’immortalità –
tutta l’immortalità che abbiamo.
Perciò non dobbiamo lasciarla guizzare
e scivolare via
insieme alla coda della lucertola,
come fa ogni sera d’estate,
mentre guardiamo altrove e non siamo attenti,
perché siamo così ricchi
che lasciamo tutta l’immortalità che abbiamo
cadere a terra in innumerevoli attimi dorati,
scorrere fra le nostre dita come sabbia.


(Traduzioni di Francesco Tomada)

Abdellatif Laâbi, due poesie

carta e penna

Due poesie di Abdellatif Laâbi (Fes, Marocco, 1942), poeta, scrittore e attivista marocchino.

*

L’epoca è banale
meno sorprendente della tariffa di una prostituta
I satrapi si divertono parecchio
al gioco della verità
I diseredati si convertono in massa
alla religione del Lotto
Gli amanti si separano
per un chilo di banane
Il caffè non è né più né meno amaro
L’acqua resta sullo stomaco
La siccità colpisce i più affamati
I sismi si compiacciono nel complicare
il compito dei soccorritori
La musica si raffredda
Il sesso guida il mondo
Solo i cani continuano a sognare
per tutta la durata del pomeriggio e delle notti

~

La lingua di mia madre 

Non vedo mia madre da vent’anni
si è lasciata morire di fame
dicono si togliesse ogni mattina
il foulard dalla testa
per sbatterlo in terra sette volte
maledicendo il cielo e il Tiranno
io ero nella caverna
là dove il forzato legge nelle ombre
e dipinge sulle pareti il bestiario dell’avvenire
Non vedo mia madre da vent’anni
mi ha lasciato un servizio da caffè cinese
le cui tazze si rompono l’una dopo l’altra
senza che m’importi per quanto sono brutte
Ma ne amo ormai solo il caffè
oggi, quando solo
chiedo in prestito la voce di mia madre
o meglio è lei che parla dalla mia bocca
con le sue bestemmie, grossolanità e imprecazioni
l’introvabile rosario dei suoi diminutivi
tutta la specie in estinzione delle sue parole
non vedo mia madre da vent’anni
ma sono l’ultimo uomo sulla terra
a parlare ancora la sua lingua

Mário Quintana, due poesie

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Due poesie di Mário Quintana (1906-1994), poeta e scrittore brasiliano.

*

Il tempo

La vita è il dovere che portiamo per realizzarlo in casa.
Quando si guarda, già sono le sei!
Quando per guardare, già è venerdì!
Quando si guarda, già è Natale…
Quando si guarda, già è passato l’anno…
Quando si guarda perdemmo l’amore della nostra vita.
Quando si guarda passarono 50 anni!
Ora è troppo tardi per riprovare…
Se mi fosse dato un giorno, un’ altra opportunità, nemmeno lo guardavo l’orologio.
Sarei sempre andato avanti e avrei buttato sul cammino la buccia dorata e inutile delle ore…
Avrei tenuto stretto l’amore che mi sarebbe stato di fronte e avrei detto che lo amo…
E c’è ancora: non evitare di fare qualcosa che ti piace solo per mancanza di tempo.
Non evitare di avere persone al tuo lato per pura paura di essere felice.
L’unica mancanza che sentirai sarà di questo tempo che, infelicemente, non tornerà mai più.

~

Guardo le mie mani

Guardo le mie mani: sole non sono estranee
Perché sono le mie. Ma è talmente squisito distenderle
Così, lentamente come quegli anemoni del fondo del mare …
Chiuderle, all’improvviso,
Le dita come petali carnivori!
Con esse, tuttavia, prendo solo questo alimento impalpabile del tempo,
Che mi sostiene, e mi uccide, e va secretando il pensiero
Come i ragni tessono le tele.
A che mondo
Appartengo?
Nel mondo ci sono pietre, baobab, pantere,
Acque canticchianti, il vento che soffia
E in alto le nubi che improvvisano incessantemente,
Ma niente, di questo tutto, dice: “esisto”.
Perché a malapena esistono …
Intanto,
Il tempo genera la morte, e la morte genera gli dei
E, pieni di speranza e di spavento,
Officiamo rituali, inventiamo
Parole magiche,
Scriviamo
Poesie, povere poesie
Che il vento,
Miscela, confonde e disperde nell’aria …
Né la stella del cielo né la stella marina
Sono state il fine della Creazione!
Ma, allora,
Chi tesse eternamente la trama di questi vecchi sogni?
Chi fa in me — questa domanda?

Philip Morre, una poesia con traduzione

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Piliph Morre, una poesia con traduzione 

*

Grey Blues

The colour of your absence is rather
an absence of colour, the no-colour
of soldiering on, getting through
– this day and the next – of making do.

Call it grey if you must, the schwa
of colours, say a washed-out grisaille,
say cinereal – and no such thing as a
silver lining: cloud-cover’s here to stay.

I used to see you as the intensest
seam of luck in my life’s bleu-de-travail,
less reason-for-living than recompense:
the gods’s apology for the hoax they play!

They’re still up there, riffling the packs
on their holiday mountain, bickering
over who gets to cruise this evening
in the swan costume, sleeving the jacks …

And you? I can’t even say for certain
what country you’re in: but just yesterday
saw your blue coat through the rain-curtain
hiking the headland, not heading this way.

*

Grey Blues

Il colore della tua assenza è piuttosto
un’assenza di colore, il non-colore
del tirare avanti, del far passare
– domani e dopodomani – del far bastare.

Chiamalo grigio se vuoi, lo schwa
dei colori, chiamalo grisaglia sbiadita –
o cinereo – e non pretendiamo nemmeno
che dopo la pioggia venga sempre il sereno.

Ti vedevo come la più sgargiante rifinitura
nel bleu-de-travail della mia vita,
non tanto ragione-di-vita quanto ricompensa;
le scuse degli dei per lo scherzo che tirano!

Sono ancora lassù, loro, in quel villaggio olimpico,
a mescolare le carte, a bisticciare – a chi toccherà
rimorchiare in costume da cigno stasera?
– mentre infilano i fanti nelle maniche …

E tu? Non so neanche dire per certo
in che paese ti trovi: ma giusto ieri ho visto
la tua giacca blu attraverso una cortina di pioggia
scarpinare sul promontorio, non in questa direzione.

*

Traduzione di Giorgia Sensi e Philip Morre — per questi versi si ringrazia il sito Interno Poesia, che ha pubblicato uno dei due libri tradotti in italiano di questo autore britannico contemporaneo. 

Stefan Tzanev, quattro poesie bulgare contemporanee

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L’arte é l’opposizione primordiale contro la natura animalesca dell’uomo,
contro gli istinti di avidità, di autoconservazione nelle lotte di gerarchia.

È l’opposizione contro tutto quello che ci fa simili alle bestie e agli alberi.

Proprio questa opposizione ci fa sentire Esseri Umani.

Non dobbiamo permettere mai questa opposizione capovolgersi contro l’umanità –
perché abbiamo l’obbligo di combattere con l’altruismo e abnegazione degli Apostoli
e non come dei mercenari.

📚

Esteatto dal discorso tenuto dinnanzi agli attori del Teatro “Sofia” il 7 gennaio 1982 di Stefan Tzanev (1936), scrittore bulgaro contemporaneo, di cui si condividono alcune poesie dal sito bulgaria-italia.com, che si ringrazia, tradotte da Mariana Popova. Buona lettura!

*

ENIGMA (TAINA)

I vecchi si inoltrano nel bosco
soli, a due, in gruppo
avanzano, si muovono lenti,
si tolgono il cappello,
ridacchiano piano,
si fondono con i tronchi oscuri,
avanzano sempre più in dentro.
Settimo giorno giro intorno,
sto in agguato per tutti i sentieri.
I vecchi si inoltrano nel bosco soli,
a due,
in gruppo avanzano,
si muovono lenti,
tolgono il cappello,
ridacchiano piano,
si fondono
con i tronchi oscuri,
avanzano sempre più in dentro.
Dio santo,
nessuno esce da lì.

~

DEDICA (POSVESTENIE)

Vieni al mio sepolcro, passa con le dita
le lettere del mio nome sulla croce.
Fermati munito, due, tre,
pensa a me come nuovo inizio
e allora risorgerò con anima e corpo.
Vivo sarò minuto, due, tre,
anche un giorno,
finché tu pensi a me,
ti sarò sempre intorno.

~

STIMULUS VIVENDI

Tranquillamente getto uno sguardo indietro.
La mia vita non era nè vuota, nè corta.
Non mi va di morire,
ma non di paura,
mi fa rabbia non vedere
cosa accadrà
dopo.

~

VERSO LE BARBARIE (KAM VARVARSTVOTO)

Avanziamo verso le barbarie
con passi veloci.
Sempre più in dentro,
sempre più profondo nella caverna.
Tramite l’illuminazione degli occhi
volano gli anni indietro – come lucciole,
sempre più indietro,
sempre più indietro…
Affondano nel futuro, da dove scappiamo.
(Oh, Dio mio, ci fermeremo mai?)
Avanziamo verso le barbarie con passi veloci.
Sempre più in dentro,
sempre più profondo nella caverna.
Sono seppelliti nei nostri cuori
coperti di mala erba
tutte le formule vecchi
di fratellanza e umanità.
L’unico scopo rimanere vivi.
In qualche modo.
È l’unica preoccupazione che abbiamo:
togliere la camicia del prossimo.
Per trenta denari
siamo pronti
a scannare il nostro fratello.
Avanziamo con passi veloci
verso le barbarie.
Sempre più in dentro,
sempre più profondo nella caverna.
Sulla nostra fronte
crescono i peli.
Il cervello inutile
si rimpicciolisce
fino alla misura prammatica
di una noce.
La nostra articolazione
è stata cambiata
dal battito dei denti.
È divino solo quello che si mangia.
Abbiamo trasformato in osterie e drogherie
tutte le librerie
tutti i teatri.
L’arte é spazzatura arcaica,
gettata legalmente nel letamaio.
(Sempre più in dentro,
sempre più profondo nella caverna.)
La poesia é un pavone utile
dentro la pentola.
Nelle sale deserte
i ragni suonano Mozart
sulle loro tenere arpe.
I venditori hanno scacciato Gesù
dal Tempio.
Avanziamo,
avanziamo verso le barbarie
con passi veloci.
Ma vorrei credere – magari selvaggi,
pelosi, rudi, inferociti, imbestialiti, abbrutiti
arrivati nel fondo della caverna,
quando non esisterà più indietro,
e non c’è il più profondo
e quando abbiamo rosicchiato fino alla fine
l’osso crudo delle eventi,
noi stessi rosicchiati degli insetti operosi
oh, credo, che l’oscurità del vicolo cieco
in questo vicolo cieco della vacuità
ululeremo
(come i lupi ululano nella notte d’inverno,
contro l’inutile luna),
selvaggiamente
ululeremo:
“Vogliamo Musica e Poesia”.
E con testa china partiremo
per la strada vecchia
e cammineremo a lungo
verso l’Uomo Sapiens.

Nel giorno di San Nicola la poesia unisce…

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🕊

Due poesie di Sergej Esenin (1895 – 1925; poeta russo)

.

Sul piatto azzurro del cielo
C’è un fumo melato di nuvole gialle,
La notte sogna. Dormono gli uomini,
L’angoscia solo me tormenta.

Intersecato di nubi,
Il bosco respira un dolce fumo.
Dentro l’anello dei crepacci celesti
Il declivio tende le dita.

Dalla palude giunge il grido dell’airone,
Il chiaro gorgoglio dell’acqua,
E dalle nuvole occhieggia,
Come una goccia, una stella solitaria.

Potere con essa, in quel torbido fumo,
Appiccare un incendio nel bosco,
E insieme perirvi come un lampo nel cielo.

**

Non invano hanno soffiato i venti,
non invano c’è stata la tempesta.
Un misterioso qualcuno ha colmato
i miei occhi di placida luce.

Qualcuno con primaverile dolcezza
ha placato nella nebbia azzurrina
la mia nostalgia per una bellissima,
ma straniera, arcana terra.

Non mi opprime il latteo silenzio,
non mi angoscia la paura delle stelle.
Mi sono affezionato al mondo e all’eterno
come al focolare natio.

Tutto in esso è buono e santo,
e ciò che turba è luminoso.
Schiocca sul vetro del lago
il papavero rosso del tramonto.

E senza volerlo nel mare di grano
un’immagine si strappa dalla lingua:
il cielo che ha figliato
lecca il suo rosso vitello.

.

🕊

Due poesie di Viktor Neborak (1961; poeta, prosatore, critico letterario e traduttore ucraino)

.

La gabbia con il leone

Il leone è colui che emana fiori di sangue,
baffuto Maupassant, la morte con la criniera,
inspira col respiro le belle donne oltre le sbarre
e lecca la soave durezza dei loro ventri.
I loro capelli fluttuano attraverso il ferro,
i loro fianchi si muovono, tremanti,
le loro dita nella criniera, come in un bosco,
sono camosci pavidi, goccioline amare,
le gole di cristallo, gli occhietti
fumosi, le lingue vivaci…
S’intreccia un dolce sospiro nella criniera,
urlano le leonesse, impallidiscono i giovani.

**

Monologo canino

Il corpo del defunto è stato rinvenuto
nel fosso in mezzo al cortile, appeso
alla catena, ed è stato seppellito
dietro l’orto

Giulbars s’è impiccato – un cane suicida!
L’anima di Giulbars la cacceranno dal cielo.
Là gli diranno: non sei crepato come si conviene!
Là lo tireranno su per la coda e per …

Giulbars si è impiccato alla catena, di notte,
Proprio un kino nocne 1: spettatori-ratti,
e sospiri, e ululati,
e corteggiamenti, e copulazioni!

Giulbars s’è impiccato! Ehi, voi, mi sentite?!
Voi leggete “Foglie d’erba”2?
Marquez? Borges? Hesse? “I-ching”?
Giulbars s’è impiccato! Ecco la novità.

Tu ti chiami poeta, e lui – cane.
Te ti tormenta la poesia,
Lui invece – la catena.
Tu un giorno un’imbrattacarte di professione
diventerai,
Invece Giulbars ha scelto non la carne, ma lo spirito!

Per quanto si può abbaiare alla luna!
Per quanto si può aspettare lo stipendio?
Per quanto si può azzannare i vostri sederi? –
Per l’eternità? –
Fino alla morte!

(Che mestiere schizofrenico –
tutta la vita badare ai polli e alle capre
e mandarle al macello… )

La terra e il cielo illumina
La costellazione del Cane!

(Dal web)

Franco Pappalardo La Rosa, due poesie

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Due inediti di Franco Pappalardo La Rosa 

*

INSONNIA

Ti chiedi per quali sotterranei canali
la notte ci chiami a umani pensieri.

Tu non sai come ghiaccino i fischi
dei treni, quanto freddo patimmo,
quanto amore per i bimbi imbacuccati,
distesi sul sedile, il nero o biondo
capo adagiato sul tiepido grembo
delle madri. Tu non sai la tristezza
dei poveri, reclusi nel serpe dei vagoni
sferraglianti, quando l’osso del cuore
sobbalza in mezzo al petto a dirci
buoni, a dirci vivi per la nostra fame.

Ti chiedi per quali sotterranei canali
la notte ci chiami a umani pensieri.

Forse è la radice dell’eterno viaggio
(che continua, a sobbalzi, in compagnia
di quei volti di pietà scolpiti). Oppure
l’ombra delle parole che tornano in delirio,
il gesto regalato all’altro, il sogno,
la speranza da chiudere in valigia,
fra un logoro libro e quattro stracci,
come allora ora che da noi il passato
diverge e gridi nella gelida notte
adombra, ove il sonno in scioltezza
a biglie gioca con i pensieri.

~

IL SENSO DELLA VITA

Certo, il vortice che accavalla gli eventi
la vita spazza in perenne desuetudine,
il ritmo dei giorni spezza ancora prima
di poter dire d’averli vissuti.

Eppure talvolta dentro insensata
esplode voglia di vivere: un’irresistibile
smania di atti elementari, che in fondo
incarna il senso stesso della vita.

Sarebbe bello – ti dici – non fosse
subito spenta dal potenziale massacro
che ruota sulle nostre teste, dalla certezza
che inutile sia agire, fare, programmare,
se ogni attimo a concluderci basta
il tocco lieve del dito di un folle.

*

Franco Pappalardo La Rosa è nato a Giarre, il 15 settembre 1941; è critico letterario, scrittore e giornalista italiano. Per ulteriori notizie, nonché per la bibliografia aggiornata, si rimanda alla omonima pagina di Wikipedia o sul sito dell’autore stesso. Su questo blog altre poesie si possono leggere ai seguenti link:

Oltre la rete, la poesia italiana che si incontra oggi: Franco Pappalardo La Rosa

Franco Pappalardo La Rosa, due poesie dalla seconda edizione de L’orma di Sisifo

*

In apertura: Rembrandt, Paesaggio con tempesta.

Sydney Sipho Sepamla, due poesie

Due poesie di Sydney Sipho Sepamla (1932 – 2007), poeta sudafricano.

*

Questo nostro tempo

Questo nostro tempo
fa ronzare le api di rabbia
impregna gli animi di parole smisurate
e prepara il giorno del capestro notturno.

Questo nostro tempo
rode il midollo del muscolo del dolore
gonfia il cuore di amarezza con pose incuranti
e fa della giustizia una opportunità

Questo nostro tempo
s’inchina davanti al sospetto
moltiplica le menzogne nelle poltrone a dondolo
sposa la verità sull’altare del diavolo

Questo nostro tempo
nutre troppo il presente del passato
capovolge ogni immaginazione
e rovina la coscienza con l’ambizione

Questo nostro tempo
graffia il dorso della scimmia
mangia fiamme davanti al pubblico invitato
e tinge la pelle per il proprio sudario

Questo nostro tempo
ascoltare il rumore delle foglie che cadono
guardare i relitti di auto sinistrate
e cedere davanti al compromesso

Questo nostro tempo
affondare i denti in un frutto marcio
bere l’acqua dei pozzi avvelenati e
cantare dei vecchi inni a delle veglie funebri

Questo nostro tempo è solo un poco inquinato.

~

Il blues sei tu dentro di me

Quando il mio cuore batte con un ritmo
fuori tempo con il passo splendente di Dio
e inseguo pensieri che guastano la gioia di stare con te
allora lo so il blues mi fa gridare
sì ho gridato e le nubi si sono addensate
è arrivata la pioggia e ha lavato via
questi miei blues
il blues sei tu dentro di me
ora voglio dirlo più forte
ora voglio gridare i miei pensieri
perché non conoscevo il blues prima di incontrarti
il blues sei tu dentro di me
il blues è schiocchi di lingua
scossa della morte che vivo
il blues è grida di mio padre
ogni sacrosanto venerdì
il blues sei tu dentro di me
non conoscevo il blues prima di incontrarti
il blues è la penna stridente di un censore
quando scribacchia accuse alla mia sensibile fedina
il blues è ombra di sbirro
che balla lo swing della Legge sull’Immortalità
il blues è Legge sulle Aree Tribali e il suo jazz di strada
Legge sull’Istruzione Bantu e le sue improvvisazioni
il blues sei tu dentro di me
non conoscevo il blues prima di incontrarti
il blues è gente ammassata su una panca
che sgranocchia i propri pensieri
il blues è parole che dovrebbero aggiustare
gli ieri distrutti di continuo da promesse di domani
il blues è l’ombra lunga che misuro
fatta di momenti che tirano a rimorchio il sole
il blues è mio fratello crumiro
in cerca di occasioni che aveva il diritto di trovare
il blues sei tu dentro di me
non conoscevo il blues prima di incontrarti
voglio gridare il blues per tanto tempo ancora
perché siamo tutti gente da blues
il bianco che piange il suo fardello
il nero che si libera dal giogo.

Voci dall’Algeria

Paul Klee - 1914 - Garden in St Germain in Tunisia

Rachid Kaci, Cantare la fonte

Cantare la fonte
di queste lacrime
Oh così rassicuranti,
appannaggio di coloro i quali
sperano un giorno
di ricavare la felicità
dalla pietraia.

Cantare il passaggio
di questo sguardo estraneo
illuminato di mille riflessi,
sguardo che si abbassa
sotto il peso di tutti i suoi fiotti
di mendicità.

Cantare l’infallibile sogno
fra quattro mura viscide,
l’infallibile chiarore ritrovato
nell’oceano di sgomento
nella solitudine plurale.

Cantare il poeta
dalle palpebre ricucite,
dal sorriso smembrato,
mutilato del potere delle sue parole.

Cantare di essere più numerosi a gemere,
a serrare i denti
contro questo corpo imponente
indesiderabile per il suo voler impedire
l’infernale melodia dei lamenti.

Esser lì, tutti insieme
a cantare la terribile avventura
l’incredibile ballata
al di là dei cuori

Poi… poi distendermi finalmente
vicino al mio corpo e gridare con tutta la forza
del mio pianto, la mia ultima canzone!

~

Youcef Mérhai, Il poema possibile 

Il poema possibile
Ad ogni appello del suicidio
Ad ogni questione del passato
La parola riconquistata
La madre riconosciuta
La mia pelle bianca
Il mio verbo pagano
Dio è in tutti i cuori?

*

In apertura, opera Paul Klee; per i versi si ringrazia il sito “The Poeti”

Gioconda Belli, tre poesie

Mani

Tre poesie di Gioconda Belli

Io sono un nome che canta e si innamora
dall’altro lato della luna,
sono il prolungamento
del tuo sorriso e del tuo corpo.
Io sono qualcosa che cresce,
qualcosa che ride e piange.
Io,
quella che ti ama.

~

Quando sarò vecchia
– se mai lo sarò –
e mi guarderò allo specchio
e mi conterò le rughe
come delicata orografia
di pelle distesa.
Quando potrò contare i segni
lasciati dalle lacrime
e dalle preoccupazioni
e il mio corpo risponderà lentamente
ai desideri,
quando vedrò la mia vita avvolta
in vene azzurre
in occhiaie profonde
e scioglierò i miei capelli bianchi
per andare a dormire presto
– come si deve –
quando verranno i nipotini
a sedersi sulle mie ginocchia
fiaccate dal passare di molti inverni,
so che il mio cuore – ribelle –
starà ancora ticchettando
e i dubbi e i vasti orizzonti
saluteranno ancora
i miei mattini.

~

Frantuma la luna tra le tue mani
Falla a pezzi
E cospargiti della sua polvere
Fine e scura.
Proteggiamoci dai simboli
E dai sogni
Respingiamo le insidie della vita
con un duro schermo di realtà.
Accettiamo
il giorno e la notte
attraversando il tempo
con spalle rette e occhi ben aperti.

*

Gioconda Belli, poetessa, scrittrice e giornalista nasce nel 1948 a Managua, Nicaragua. Nel 1974 pubblica la sua prima raccolta di poesie Sobre la grama, cui fa seguito, nel 1978, Línea de fuego con la quale vince il prestigioso premio Casa de las Américas che la consacra a livello internazionale. Nel 1988 esordisce con il suo primo romanzo La donna abitata (E/O 1996) che diviene un best seller mondiale. Collabora con diversi giornali e riviste e per la sua attività letteraria ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti internazionali ed è stata nominata Cavaliere delle Arti e delle Lettere dal Presidente della Repubblica Francese (info condivise dal sito della Feltrinelli).

Yehuda Amichai, tre poesie

Sguinzagliare i ricordi

In questi giorni penso al vento fra i tuoi capelli,
agli anni che fui nel mondo prima di te
e all’eternità che prima di te andrò a incontrare,

ai proiettili che non mi uccisero in battaglia
ma uccisero i miei amici,
di me migliori perché
non vissero oltre come me,
penso a te nuda davanti al fornello d’estate,
sul libro curva per leggere meglio
nella luce morente del giorno.

Vedi, abbiam vissuto più di una vita,
ora dobbiamo pesare ogni cosa
sulla bilancia dei sogni e sguinzagliare
ricordi che divorino ciò che fu il presente.

~

Strada

Un bagliore di automobili in fuga
i miei pensieri riordinava in bianco e nero.

Io che attraverso la strada
solo nei punti consentiti dalla legge,
sono stato invitato all’improvviso
fra le rose.

E come si chiarisce un bruno ramo
nel punto in cui si spezza, così io
nel mio amore
sono chiaro.

~

Invece di parole

Il mio amore ha una veste bianca e lunghissima,
di sonno, d’insonnia e di nozze,
va a sedersi la sera a un tavolino,
sopra cui posa un pettine, due fiale,
una spazzola, invece di parole.
Dagli abissi della chioma pesca
molte forcine e poi le mette in bocca, invece di parole.
La scompiglio, lei si pettina
nuovamente scompiglio. Poi che resta?
Lei si addormenta invece di parole,
e il suo sonno ormai mi conosce,
scodinzola con la sua coda di sogni lanosi,
il suo ventre s’è impregnato facilmente
di tutte le funeste profezie
della fine dei tempi.
Io la sveglio: siamo gli umili
strumenti di un difficile amore.

*

Yehuda Amichai (Germania, 1924 – Israele, 2000), all’anagrafe Ludwig Pfeuffer, è stato un poeta e scrittore israeliano. Amichai è considerato da molti il più grande poeta israeliano moderno, ed è stato uno dei primi a scrivere poesia in ebraico colloquiale.

Alfonso Brezmes, tre poesie

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Tre poesie di Alfonso Brezmes (Madrid, 1966) è uno dei poeti spagnoli piú noti. La sua poesia è al tempo stesso colta e popolare, tanto da farlo apprezzare sia da critici e lettori tradizionali sia da un piú largo pubblico. Il suo immaginario si nutre di riferimenti letterari (Baudelaire, Rilke…) ma anche di cinema e di cultura pop.

*

A volte ritorniamo sulle pagine
dove una volta siamo stati felici.
È facile come lasciare che corrano
all’indietro tra le dita,
tornare ai segni che abbiamo lasciato,
a quelle brevi note con cui
volevamo indicare a un altro lettore
che proprio lì doveva fermarsi.

Basta cercarle per vedere
che non sono più le stesse:
qualcosa è cambiato in questo breve
intervallo in cui ce ne siamo andati.

Tornare è un altro modo di misurare
la grandezza incerta della ferita.

~

Finzioni

Dimmi che è solo un sogno
o al massimo un altro racconto di Borges;
che i sentieri che percorre l’amore
sono labirinti che si biforcano
e si perdono, si biforcano
e si perdono, e che il tuo ricordo
è solo un uccello che attraversa
in volo
gli incerti confini della poesia.
Un altro universo
tra le migliaia di universi possibili.
Un’ultima,
e dolce,
e superba
metafora dell’oblio.

~

Penelope

In un altro tempo ti avrei aspettato
facendo e disfacendo di ora in ora
questa interminabile matassa,
fantasticando un’altra vita in cui la vita
possa fermarsi per molti anni
fingendomi pazza, ma amore,
siamo nel XXI secolo,
sono le quattro e di nuovo non torni.
È arrivato il momento di far tacere le sirene
che con il loro canto raccontano le tue gesta,
ed è ora di finire il tuo sudario.

Due poesie di William Cliff

carta e penna

Tempesta

la tempesta avanzava urlando la tempesta
urtava il tetto delle case la tempesta
spingeva continenti di nuvole smontate
la tempesta impediva il sonno del mercante
lo studente inquieto rigirava le sue voglie
nelle pieghe ribelli del letto l’impiegato
con la gamba spezzata sotto il corpo immobile
contemplava il suo tedio distrutto nelle pieghe
della tempesta il conducente sente il volante
sfuggire al suo controllo il venditore locale
vede il telo volar via e i suoi articoli all’aria
il banchiere impaurito tira giù la serranda
sul gabbiotto minacciato della sua agenzia
e le pecore prudenti vanno a ruminare
in un buco senza vento la tempesta va
e viene a sfiatarsi sulle pianure dell’Est
e il cielo sgombro dopo la tempesta lascia
che il gelo venga a massacrare gli insetti
la cui avida ingenza preparava di già
un’estate vana per la terra troppo calda

~

Malinconia

Ho subìto un attacco di malinconia
ritrovandomi solo in mezzo alla terra
vedendo che il sole andava già via
per sprofondare lontano dalla mia sfera.

Il suo raggio luminoso non mi riscalda
la causa è la mia vita fredda come un’arca
nell’indifferenza che la tiene salda
e si tuffa lontano da quella stella.

Non mi resta che scrivere la mia mania
sperando che scrivendola possa calmarsi
e rimanere come un cavallo che si ferma
si volta e aspetta l’ora dell’avena

che schiaccerà lento fra i suoi grossi denti
per dimenticare l’immensità del tempo.

*

William Cliff, al secolo André Imberechts, autore belga classe 1940, è tra i più riconosciuti poeti francofoni contemporanei; autore di libri di viaggio, memorie, testi teatrali e oltre quindici raccolte poetiche. In Italia è da poco stata pubblicata la raccolta Materia chiusa (Elliot 2020), tradotta da Fabrizio Bajec.

Kate Clanchy, due poesie

carta e penna

Due poesie di Kate Clanchy (Glasgow, 6 novembre), scrittrice e poetessa scozzese.

*

Lampioni

E non riusciamo a ricordarci l’afa, dimentichiamo
il sudore e come indossassimo una leggerissima
maglietta sulla pelle irritata, e perdiamo
il gusto dei lamponi, ogni inverno; ma
d’un tratto conosciamo, appena scoppia luglio, la vena
che brucia nella tenda, e da quella luce
– blocco di sole su lenzuola calde e peste –
il mondo ardente in cui cammineremo,
era com’era, il tuo tocco. Non il riposo,
non come partimmo, l’ubriachezza, solo
tu che ti fai avanti rigido, goffo, spaventato,
i miei capelli spiegati, le nostre dita intrecciate,
come i primi stupefatti sobbalzi d’afa
o fra i denti, semi, un sapore di metallo.

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Poesia per un uomo senza olfatto

Ti scrivo solo per informarti:
che la linea più spessa nelle pieghe della mia mano
ha quell’odore che hanno i vecchi banchi di scuola,
coi nomi incisi in profondità, logori e lucidi di sudore;
che sotto lo spruzzo del mio costoso profumo
le mie ascelle danno una nota bassa forte
come un colpo di palmo sul tamburo di una pentola;
che lo sciacquone umido della mia paura è acuto
come il gusto di un tubo in ferro, a mezzo inverno,
sulla lingua di un bambino; e che talvolta,
per la brezza, i capelli delicati sulla mia nuca
dietro il collo, proprio dove tu dovresti chinare
la testa, esitare e strofinare le labbra,
trattengono un profumo fragile e preciso come
una flotta di navicelle di carta, che salpa verso il mare.

(per i versi si ringrazia il sito The Poeti.it)