Flavio Almerighi, 27 gennaio

Ventisette Gennaio 1945,

una sopra l’altra, anime ossute protese verso un dio qualsiasi, siamo più innocenti del latte nell’effimera planimetria del cielo. Fotografie da un’interminata tregua. Liquidata la buna, i camini non fumano più. La sirena suonava alle cinque, finito il lavoro c’incontravamo ai cancelli. Dalla mia cuccia vedo strati di cenere grassa addosso ai volti di un tempo, e sugli amori consumati dietro un portone. Vedo la notte scendere su ogni possibile presente. Il campo evacua come i miei visceri. O le silfidi in menopausa alla divisione della gioia. Fosse ancora ieri mi mangerei le labbra, i denti, per sedare un po’ di male. Mangerei le strisce del mio carcere che indosso insieme al sangue secco, ma non la fame. Rimane poco di me oltre la febbre, orgoglioso souvenir di chi ero. Visto dalla tua parte del foglio, sono poco più di carta sporca, ma senza odore né prurito. Sid Vicious rifarà My way, i cinesi rifaranno Sid Vicious. Non ho più dolore adesso. Sono l’altare gonfio di luce a cui non chiedere memoria.

(da “durante il dopocristo” Tempo al libro Faenza, 2007)

§

Non prendete prigionieri (inedito)
.
Non prendete prigionieri
il mondo è già completo,
pieno di stazioni vuote
e gente chiusa dentro
sempre pronta a preferire
chi è lontano.
.
Binari fioriti di noncuranza,
cosa sono Piacenza, Ancona,
estremità cui legare
l’elastico della fionda
puntato contro quei gattini
venuti al mondo in fretta ciechi
.
I prigionieri vengono vagliati
consegnati all’oblio
Divisione del Lavoro
Divisione della Gioia.
Capolinea si riparte.
.
.

Flavio Almerighi è nato a Faenza il 21 gennaio 1959. Sue le raccolte di poesia Allegro Improvviso (Ibiskos, 1999), Vie di Fuga (Aletti, 2002), Amori al tempo del Nasdaq (Aletti, 2003), Coscienze di mulini a vento (Gabrieli, 2007), durante il dopocristo (Tempo al Libro, 2008), qui è Lontano (Tempo al Libro, 2010),Voce dei miei occhi (Fermenti, 2011) Procellaria (Fermenti, 2013), Caleranno i Vandali (Samuele, 2016). Storm Petrel (edizione bilingue di Procellaria, Xenos Books Los Angeles, 2017), Cerentari (antologia fuori commercio Tempo al Libro, 2017), Isole (Ensemble, 2018).

 In apertura, opera di Lucio Fontana

Salvatore Toma, L’afa il caldo l’asfissia da Canzoniere della morte

Salvatore Toma, da Canzoniere della Morte (Einaudi) pagine 82 e 83

L’afa il caldo l’asfissia…
e i tetti delle case
a tegole a precipizio
rosso mattone
abitate dai topi
aprivano il mio sogno.
Tu eri in una di quelle cupole
battute dal vento
più di tutto vicine al cielo,
alte ricche di rondini
e di nuvole.
Ma la sedia di paglia
di pochi centimetri
che desideravi in regalo da me
il pullover grigio amaranto
che mi avevi cucito esistevano
erano prove della mia setticemia
della mia lenta moria
del mio stragrande desiderio
di respirare di vivere
di ariose dolci lussazioni
di precisazioni naturali
mai chieste di libertà.
Ci litigammo
per via di un deputato
un tuo vecchio amante
con un rimorso nuovo
forse consigliere comunale
quando la gente
giostrava a ubriacarsi
s’inserrava si spingeva
nel bar del centro.
.
Ma tu eri là sola in disparte
nel tuo castello grigio
sola e disponibile
con la tua veste rossa
il seno disfatto e nutriente
le gambe grosse di quarantenne
innamorata pazza senza figli
innamorata di me dicevi
in notti grigie assatanate
quando nubi e pipistrelli
non consentono
che un concedersi refrigerante
la voce chiara
di un amore stranamente vero
fra le tende giocate dal vento.
.
Mi amavi? o ero io
uno dei tuoi giochi secolari
scritti lì sui muri i loro nomi
le loro firme capitali
come condannate a morte
quando accadeva la stanchezza?
Eri bella sicura materna
e ti cercavo affannatamente
nelle piazze desolate la notte
per le deserte vie
con improvviso vento
e qualcosa di chiaro mi accadeva
di mai tanto chiaro nella mia vita
e amavo il tetto della tua casa
a tegole a precipizio
solcato dai topi
e amavo la tua seducente irrealtà
la tua faccia irresistibile
la tua sfrenata inesistenza.
.
.

dello stesso Autore in questo blog: leggi qui e qui 

in apertura: Steven Kenny, Tethered fulcrum — per questo articolo si ringrazia Flavio Almerighi

Flavio Almerighi, Logorrea di segnali acustici

Logorrea di segnali acustici.

La mitezza contusa è cielo, e non può più telefonare. Basterebbe un piccolo aliante per afferrarle la coda e voltar pagina. Gocce di varia origine, dimensione e suono, restano aggrappate al vento per -comporre un fortunale, casca il sole, casca la terra, tutte giù per terra. Cugine di magnolie resistono miracolosamente al palo, non mi cadono tra le braccia né sui tergicristalli. Freddo. Danzano fogli di giornale e carte da parati fra compunte aiuole il cui stile riporta ai primi lavori dell’acconciatore d’Anna Bolena.
Buio pesto e logorrea di segnali acustici, fulmini, altoparlanti che annunciano ritardi e partenze. Tutto confonde bambina mia, fogliolina nell’aceto, che non sai dei flussi estetici o di quanto l’immaginazione sia portata al caos. E’ più fredda la smagliatura in una calza. Osservarla è prassi consolidata. Fuori un tripudio di argenti e talenti mollati in strada. Il mondo, la mia faccia. Tempi minimi vengono concessi ai ladri che vogliano portarsi via il servizio buono, un violino di Isaac Stern, La possibilità di un’isola, segue l’allarme. Ferma il traffico, copre le conversazioni, il temporale è a un punto morto, ma il contante circola. Freddo. Nei piccoli paesi non c’è niente. Forestieri e nubi di passaggio trovano ostelli per la notte dove aspettare il primo treno del mattino dopo. Spiovono tutti. Alle volte, anche qui, qualcuno fa l’amore e ride. Annuncio ritardo. Ottanta decibel il limite di sicurezza. L’equilibrio precario di un piccione sulla persiana chiusa è illusione ottica o tema d’esame? Ricordo, gli fracassai la testa colpendolo al volo con un manico di scopa.
Cadde stupidamente ai miei piedi e lo gettai nel cortile dirimpetto. Rovinò pancia all’aria che, inutilmente bianca, risaltò a lungo fra muschi e sporcizia come un rimorso, fino al sopraggiungere quieto e diligente del disfacimento. Non sono stato io. Signora Giudice mi scagioni, apra il vestito prego, e m’allatti. Il tempo è vero crimine, non io! Perfetto capro espiatorio nel continuo scorrere dell’acqua e su rotaia, col ghiaccio sopra teste ancora nere e volubilmente sole. Il teste mente Vostro Onore! Qualcun altro, quando ama, si lascia apostrofare con termini che normalmente riterrebbe oltraggiosi. (SGT. Pepper had a wooden leg) Ma l’esaltazione e l’instabilità dei corpi in divenire, sregolati, sgretolati ingredienti e ricicli per nuovi corpi producono e spacciano nutrimenti. Esiste una vera coscienza di classe nel cacciatore o è soltanto elettricità statica al contatto? Suoni ovunque, non intendo andare fuori tema. Troppi per appunti del Venerdì Santo in tema di segregazione, non é la cacofonia frontale cui feci cenno in una mia vecchia composizione ad annullarne il senso. In tema d’abbandono, il temporale che s’abbatté sul Calvario attorno alle Quindici, lascia ancora sconvolti i fedeli per l’inaudita violenza. Estrazione di un dente, aborto, amputazione, perdita definitiva. Tutto questo è storia, ma non intendo far cenno alla Storia, voglio raccontare il mio temporale violento e aguzzo. Au contraire, la lettura assume forma grave d’epitaffio su granito.
Non ¬esiste stele formato A4.

L’apparenza tua dell’uomo
può provare a stupire ogni giorno,
ogni attimo anche in sua assenza,
forse c’è?
O soltanto un solco d’estraneità,
la frattura sismica che fa pensare
– nient’altro al mondo più ¬
potrà colpirmi, se non
un’altra malattia. –
Emozioni senza emozione,
scrivere è distrarre l’altro più
di quanto in realtà sa divenire,
felicità sfuggita agli occhi
che d’espressione esagera le labbra
e tende a dilatare.
La multi sala in attesa,
il passato informe in tre persone
e tre coniugazioni di cui
rimane più nemmeno una.
Vivi per me cugina
delego te magnolia in fiore,
trattami la vita
come fosse stata mia.
Estremamente più semplice e diretto coniugare Hank e Sweet Home Alabama, ma fu durante il viaggio d’un angolo giro. Gesù spirò, senza questionare troppo se la sua fosse o meno una pulp fiction religiosa. Sono le Quindici Zero Zero, il Temporale dovrebbe brandire la più oscura e minacciosa delle asce in repertorio e dare sgomento. Sconfessare è mero istinto di conservazione. Conversazione di due punti divergenti che convergono proporzionalmente con l’aggravarsi delle condizioni meteo, sono collegati con server/host remoto mediante utilizzo della porta 23. Hoeullebecq ha costruito ben più di un romanzo, io no. Mi scarnificano sensi d’invidia e mancanza. Rifare palpebre, tette, addomi, non cambia gli osservatori. Violaine, per amore, si lasciò tagliare i capelli e li vendette al parrucchiere ricavandone una somma. Non aveva mai posseduto danaro. Era così povera da non avere altro da rivendere se non i capelli, ma non dette mai prestazioni in cambio di salario. Acquistò una catena da orologio. Il suo adorato, unico bene terreno, possedeva un vecchio orologio ricordo del padre. Lo vendette a un orologiaio per acquistare un pettinino prezioso per le belle chiome di Lei. E il successivo temporale fu spaventoso a un punto tale da coprire il sottofondo musicale dei grandi magazzini, quel giorno l’offerta del mese andò invenduta. Le grida, il pianto, lo stridore di denti svegliarono per un attimo mia madre. Sono certo sia stata sepolta per errore. Steve, mio cugino, mi prese per un braccio giusto in tempo a evitarmi di cadere nella fossa. Voglio vivere con lei. Un frammento di carta da parati mi corre incontro fradicio di pioggia, ma non sembra eccitato. Logorrea e cacofonia non sono la stessa cosa. Logorrea non è semplice mescolanza di suoni. George Martin, ma fu per caso, produsse per i Beatles ottimi frammenti eufonici. Fece tagliare un nastro inciso a strisce è lo gettò per aria (assomiglia molto al piccione che dicono io abbia assassinato) poi lo ricompose mettendo i pezzi a caso. Scrisse partiture in crescendo diverse per ogni strumento e ognuna andò per i fatti suoi.
L’altoparlante continua incessantemente a distillare ritardi, partenze, promesse, qualche arrivo.
Leone è uno dei gatti della vecchia. Quando lei è in ospedale, o troppo stanca per averne cura, il gatto si mette sul davanzale al pian terreno a sperare carezze, altrimenti sale sull’albero ma quasi mai sa scendere. Si sente solo, Leone si sente. Utilizza toni quasi sempre gravi nei suoi versi. Freddo. Minaccia pioggia, minaccia altro, l’imprevedibile non ha connotati. Salta la corda Palla Farfalla, Bruco Quadrato, Mosca Frittella, ci sono i guerrieri dalle teste ammaccate che portano spade arrugginite. Salta gonnella, sei sempre più bella. (Scrivere divinamente è nulla, se poi chi legge è un protozoo) La scacchiera di Marostica è metafora particolarmente riuscita del Fato. La diagonale è per l’Alfiere, tutti passano, muoiono, ricordano. Ognuno ha il proprio passo e un personale senso del ridicolo, monocoltura di binari. Il treno rallenta in prossimità dei grandi nodi, perché non sa quale via tentare. Nemmeno io. Capita spesso di risvegliare la carogna insepolta nel cuore. Ometto il punto di domanda, è un’affermazione. I motivi sono risaputi. Il luogo, un po’ di terra consacrata per l’inumazione, ancora no. La questione riguarda viaggi che terminano e ricominciano sempre allo stesso punto e dicono, dicono, dicono senza che il potere seduttivo della parola possa in realtà attenuarne il lezzo. Freddo. Un tempo non lo erano, ma capita già da due settimane che i Venerdì siano particolarmente limpidi, soprattutto il Venerdì Santo. Prendo diligentemente appunti e alzo il finestrino. La ferrovia è il vero miracolo che misura e taglia i campi piatti delle bonifiche ferraresi, li trasforma in potenziali enormi zuccheriere. Meglio il miele, pensavo, contemplando acutamente un favo bellissimo. Altre celle disseminate al Cimitero del capoluogo, come nei film di John Carpenter, sono sindrome d’accerchiamento. Teppisti soprannaturali assediano umani, demoni che assediano umani, vampiri che assediano umani. Superato San Pietro in Casale il convoglio ne è così stipato che anche i posti in piedi scarseggiano. Nei fortini assediati è già infiltrato il seme malato, la concausa della furia tribale degli assedianti. La bonaccia susseguente è avvertire in ogni singola fibra la forza di gravità. Scinde il corpo in miliardi di stelle, ognuna va in direzione diversa e divergente dalle altre senza più condividerne il Destino. E’ allora (traccia 10) che la capotreno dai lineamenti ungheresi stacca uno di quei leggendari assegni color amarena e sembra volermelo dedicare. Scrivere è piacere d’evacuare, disse un tedesco, sgombrare spazi per occuparne altri. Posso chiudere gli occhi per distinguere ogni singolo suono. Logorrea infinita di una scolaresca al ritorno dalla gita. Scindo ogni singola voce, ogni singolo suono, riconosco ogni parola. Ogni vibrazione mi si espande dentro, ogni singolo fastidio. Non avevo idea di quanto fosse capace la mia cassa toracica. Indolente musica alla Frau Kristin, solitudine indesiderata, violenta che mi esce dalla biro. Rivedo quei fortini assediati dove s’è infiltrato il seme malato. Il caldo è brutale come le novità. Alida Valli non c’è più. Tino Biancini non c’è più. Ho la sensazione che tutto vada al di là di ogni ragionevole dubbio. Accarezzami il cuore adorata. Lasciamo fermare il tempo e aspettiamo sottovento. Insieme al giusto ozono, il temporale porterà i secreti spauriti delle future vittime. Eccitante attesa, lontananza a termine, aroma serale di primavera, Ottone avvita una vite, tratta di un corso di stenografia per memorie corte, Sistema Meschini. Ermetismo è desiderare ardentemente l’assassinio del proprio io. Liquoreria di messaggi apparentemente senza senso, giungono soltanto a chi sa per chi siano stati scritti. Cosa accade nella vulva di quella cantante che sente particolarmente il pezzo? I notturni intanto riportano la temperatura a livello accettabile. Le previsioni indicano l’impossibilità di brevi rovesci nell’arco del pomeriggio seguente. In genere da conforto e ispirazione lo scorrimento dell’aria mentre i segnali moltiplicano. Vuol dire che presto farà ancora caldo e le pareti saranno costrizioni. L’affinità fra la scacchiera di Marostica e il rivestimento in piastrelle su certi interni rende il destino sempre più edile. Papà fu uno di quei muratori che non costruì la sua casa. Afferro la scheggia per la collottola e agito, fino a procurarmi lesioni interne al cuore. Fossimo tetti, punte d’alberi o cugine di magnolia, saremmo già morti. Non ricordo nomi ma date soltanto e ho una certezza, il temporale. Unico luogo ancora concesso ai fumatori è un loggiato in metallo che sporge apparentemente dal container. L ‘area esterna al mercato è un De Chirico falso con sottofondo perpetuo di traffico a $ 89,00 il barile. Grate in pietra perfettamente equilatere rendono al contesto architettonico la consistenza di un Big Mac. La sigaretta non finisce, la nausea non sfinisce, ma una nota di colore può venire dall’orologio umido disteso ad asciugare. Un temporale non ha compassione d’impermeabilizzazioni fittizie, campi secchi e profumi evocativi. Sono italiano, adoro colli di donna che profumano di mamma: salta gonnella, sei sempre più bella! Teatro d’odio è confidenza, elude la bocca impossibile da trattenere amaro pentimento; patetica esortazione a tenere il segreto.
Pulcinella e Seamus Heaney spiegano perfettamente, ognuno per propria parte il sodalizio, paragonandolo alla vasca delle aragoste al ristorante, pronte per l’acqua bollente previa ordinazione del cliente. Il silenzio successivo cala come bava da labbra amiche. Pulcinella, per quanto lo riguarda, continua a mantenere il segreto. D’altra parte un pasto in buona salute non può contenere tossine. L’animale vada in cottura pensando di essere ancora vivo. Mestamente un ‘ anguilla solitaria, l’unica risparmiata al pranzo di oggi, non può neanche ringraziare gli dei della proroga, la vaschetta in plastica trasparente non le concede sufficiente privacy. La parola è fluido che narra, commuove, uccide. La scrittura è per introversi celibi e amanti dei gatti. Quelli che girano il foglio per nasconderlo a sguardi indiscreti. Il calcolo è per tutti quelli che scommettono sul progresso e credono nel futuro. La lunga speculazione sui fratelli Klement conduce al campo minato del dire di noi. Leone si è stancato, ha pensato di sparire per un po’, casa vuota, luci spente. Soprattutto silenzio. Freddo. Lo stesso incanto del cimitero di Forlì appena dopo il tramonto del Ventitre Aprile. L ‘orizzonte è il Reparto Nuovi Arrivi dell’anima, le nubi espedienti. Poi, sull’aspro infinito, dopo che avrò terminato di piovere, passerà in ritardo un treno. Cominciai pensando una Poesia, su Essa ho continuato a riflettere durante tutta la traversata, ora discetto fra me sul modo migliore per leggerla. Siamo tornati qui, Lei e io.
Grazie.

(Flavio Almerighi)

immagini: opere di Wassily Kandinsky

Quattro sassi con…autori contemporanei in 4 poesie: Remo Pagnanelli

Quattro sassi con…autori contemporanei in 4 poesie: Remo Pagnanelli

nel nulla di una stazione cancellata da fiandre
piovaschi, sulle sete sudicie ma tese delle
palpebre, scorre un rumore d’impalpabile azzurro,
un tremore di palme arrochite, assopite nel lino
orsolino. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
(nel grande fiume di luce apparente, estenuantesi
fino all’estinzione, che porta i morti alla foce
d’un altro destino, dorato da sopra macchie
mediterranee d’una cenere autunnale semplicemente
posatasi, vedo la cupola spenta nel latte del bosco)
(nel treno nella notte chissà se dormi lontana
Sorella)
.
.
*
.
IV TOMBEAU
.
(pensa nel sonno i sonni fanciulli, li sogna, cigni
neri di inutili cicloni?Le querce gli andavano
dietro, gli echi di lui suonavano dalle rive)
lasse celesti e lunari non castamente mortuarie
(qui) rimarginate da bassa plenitudine e bellezza,
in ciocche decrepite e tiepide urne dove gli occhi
si conservarono (anche le suole alate le sabbie dei
cavalieri)
.
.
*
.
sciamano sulla gioventù del mare, nell’incendio serale,
per incupirsi invetrati nel gonfiore di paghette di
musica (chambre musique) di sinfoniette isolane nel
sole
diseguale inascoltata (voce) peregrinante dal fondo,
amoreggi infine col fiume cristallizzato nella vecchiezza,
in attesa sui baltici delle cicliche estati, come le
vedemmo sfilarsi in sanguigne stuoie palpitanti cremisi
le luci del mare a nord aspettiamo si riflettano
in pallidi bagliori sulle verande appaltate, scoprendo
sulle vetrinette appartate lo spento arazzo di ghiaccio
.
.
*
.
viaggiano nel fresco notturno sulle bore dei viali,
confusi alle gemme, agli sguardi innocui degli ossari,
non celando la disciplina che li ha portati, fra squilli
sottili di castagni dai frutti giovani e malati
.
.
da L’orto botanico – Tratto da: Sei poeti del Premio Montale Milano, All’Insegna Del Pesce D’Oro, 1986
.
.

Remo Pagnanelli, poeta e critico letterario tra i più complessi della sua generazione, nasce a Macerata il 6 maggio 1955, dove muore il 22 novembre 1987. Nel 1978 si laurea cum laude in Lettere moderne con una tesi su Vittorio Sereni. Nello stesso anno esordisce come poeta con la plaquette Dopo, cui fanno seguito nel 1984 Musica da Viaggio, nel 1985 Atelier d’inverno e il poemetto L’orto botanico, per il quale è tra i sei giovani poeti vincitori del premio di poesia internazionale “Montale 1985”. Vengono pubblicati postumi l’ultima raccolta di versi Preparativi per la villeggiatura ed Epigrammi dell’inconsistenza. L’opera poetica di Pagnanelli è stata raccolta nel volume complessivo a cura di Daniela Marcheschi, Le poesie. On line si segnala il sito http://www.remopagnanelli.it/biografia.htm (da cui è tratta la fotografia).

– per questo articolo si ringrazia Flavio Almerighi –

letture amArgine: Correnti Contrarie di Angela Greco

un grazie di cuore a Flavio Almerighi per l’attenzione e per l’ospitalità!!

almerighi


Fresca di stampa per Ensemble Editore ecco la nuova silloge di Angela Greco. La prima uscita con presentazione si terrà a Massafra (TA) il 9 novembre alle 18,30 presso il Bar Aurora. Chi è nei pressi non può non mancare. Il libro, da una prima ricognizione è decisamente bello, validissimo. Può essere considerata una delle migliori produzioni di questo poeta. (Flavio Almerighi)

Correnti Contrarie Ensemble Editore
http://www.edizioniensemble.it/prodotto/correnti-contrarie/
è acquistabile anche on line e presso tutte le librerie del Regno.

Breve selezioni di testi a cura dell’Autrice

E se poi il sacro
non fosse solo un’invenzione
ma fosse connesso
con la sintesi delle tue labbra?

Un salmo da sciogliere
a rima dischiusa sul percorso
dalla bocca ai tuoi lombi e così sia
nella congiunzione di mani salde
su pianure scolpite dal vento d’oriente
con il fruscio dei tuoi riccioli sul viso,
coro angelico?

Acquisterei una mansarda in centro
e sulla piazza…

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Criminal World, proposta d’ascolto by Flavio Almerighi

“Criminal World” è una canzone scritta da Duncan Browne, Peter Godwin e Sean Lyons dei Metro, uscita come singolo nel 1976 e poi inserita nel loro album di debutto nel 1977. David Bowie ne ha tratto una cover nel 1982 per l’album Let’s Dance; versione, quest’ultima, inserita come B-side del singolo “Without you” nel novembre 1983. Quando uscì, “Criminal World” venne bandita dalla play list di BBC Radio per il suo contenuto “scandaloso” e si dice che i militari statunitensi l’abbiano utilizzata come mezzo di dissuasione sonoro durante l’invasione di Panama del 1989. (by Flavio Almerighi)

CRIMINAL WORLD \  MONDO CRIMINALE

Non mi hai mai parlato degli altri tuoi volti
Eri la vedova di un tipo scatenato
Ed ora so dei tuoi baci speciali
E so che tu sai dove c’è movimento
Credo di riconoscere chi frequentavi
Penso di poter vedere oltre il tuo trucco
Ciò che vuoi è una specie di separazione
Questo non è normale
Che mondo criminale
I ragazzi sembrano bambine
Che ragazza criminale
Ti mostrerà dove spararle addosso
Che tipico figlio di mamma
L’unica cosa che lei apprezza
E’ un mondo criminale
Dove le ragazze sembrano bambini
.
Hai una bruttissima reputazione
Ma nessuno conosce la tua vita segreta
Conosco un modo per definire una situazione
Ed essere al pari della tua maschera da alta società
Mi hai beccato in ginocchio
davanti alla porta di tua sorella
Quello non era un comune corteggiamento
Sono consapevole
di quello che stai cercando
Io non sono normale
Che mondo criminale
Che tipico figlio di mamma
L’unica cosa che apprezza
E’ un mondo criminale
Dove le ragazze sembrano bambini
.
.
You never told me of your other faces
You were the widow of a wild cat
And now I know about your special kisses
And I know you know where that’s at
I guess I recognize your destination
I think I see beneath your make-up
What you want is sort of separation
This is no ordinary
This is no ordinary
(ah, ah, ah)
What a criminal world
The boys are like baby-faced girls
What a criminal girl
She’ll show you where to shoot your gun
What a typical mother’s son
The only thing that she enjoys
Is a criminal world
Where the girls are like baby-faced boys
.
You’ve got a very heavy reputation
But no one knows about your low-life
I know a way to find a situation
And hold a candle to your high life disguise
You caught me kneeling
at your sister’s door
That was no ordinary stick-up
I’m well aware just
what you’re looking for
I am no ordinary
I am no ordinary
(ah, ah, ah)
What a criminal world
The boys are like baby-faced girls
What a criminal girl
She’ll show you where to shoot your gun
What a typical mother’s son
The only thing that she enjoys
Is a criminal world
Where the girls are like baby-faced boys
.

Maria Grazia Calandrone, Diecimila civili

Alcuni tra quelli che davano ordini // parlavano il dialetto delle nostre parti e infatti // portavano bende colorate // sul volto per la vergogna // che il loro volto rimanesse visibile nello stupore dei morti.

 Diecimila civili ¹, di Maria Grazia Calandrone,

I
Sant’Anna, 12 agosto 1944

Conoscemmo il ragazzo
dal ciondolo con la croce
e la figura del santo
era messa di fronte
alla luce come prima di chiudere gli occhi dopo la discesa
del sole che lascia il suolo con l’erba e la carne
friggenti e le bestie ovunque
divise
da mani ancora sbarrate a proteggere
il volto dalla mitraglia e la persona si storceva
per tutti i sensi dell’eccidio.
Rastrellavano bambini come grani di sabbia e come sabbia che ubbidisce al vento erano muti.]
Nessuno
si difendeva: componevano dune inanimate, componevano cose
piegate al vento
sul sagrato, solo stringevano le foto addosso perché dopo
qualcuno desse il giusto nome
al corpo che ciascuno aveva usato da vivo. Seppellimmo Maria
dentro la scatola della sua bambola.
Alcuni tra quelli che davano ordini
parlavano il dialetto delle nostre parti e infatti
portavano bende colorate
sul volto per la vergogna
che il loro volto rimanesse visibile nello stupore dei morti.
Altra cosa è il feto posato
sul tavolo sotto gli occhi
della madre seduta
che diffonde un silenzio finale
dal ventre aperto,
fissa nello stupore
la traiettoria minuscola del piombo
da parte a parte tra le tempie minuscole.
 .
.

II
Marzabotto, 29 settembre 1944

Uscimmo dopo che fu silenzio
dal bosco sotto il picco di Monte Sole e conoscemmo
che i maiali mangiano la nostra carne: mio nipote
era sotto il pergolato e mio padre
una povera cosa messa male su altri
posati in due
lati a cavalcioni
di un davanzale, neri
delfini arenati
su una scogliera e dell’ultimo
rimaneva la cuffia sotto la bocca, da fuoco.
Alla prima esplosione conoscemmo ancora
che quelli avevano minato i corpi
così che i morti uccidessero i vivi
che uscivano dai boschi a ricomporli, a sciogliere
mani aggrappate
una all’altra come piccoli ormeggi nella buia insenatura della morte
perché ognuno fra i morti ritornasse solo
e ognuno dei vivi
potesse nominare quella solitudine
come la solitudine di un parente lontano,
potesse premere su quella lontananza la sua bocca, su quelle mani
di polvere e corallo protese
come nei giorni di sole
quando tutto era prossimo alla somiglianza.
Così tutti si sono inchinati, hanno tenuto
bassa la testa
su un numero più grande di ogni corpo.
.
¹ Durante la ritirata i nazifascisti fecero strage di civili in numero di circa diecimila tra vecchi, donne e bambini.

*

Maria Grazia Calandrone, (Milano, 15 ottobre 1964) è una poetessa, scrittrice, drammaturga, artista visiva, autrice e conduttrice per Rai Radio 3 italiana. Vive a Roma e dal 2010 tiene a battesimo poeti esordienti, ritenuti meritevoli di pubblicazione, per la rivista internazionale Poesia, nella rubrica di inediti Cantiere Poesia. Scrive sul quotidiano Il manifesto e su la 27ora del Corriere della Sera. L’attenzione per gli eventi storici (dalla guerra di trincea ai disastri di Hiroshima e Babi-Yar, agli eccidi di Guernica, Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema) e sociali rappresenta una costante nell’opera poetica di Maria Grazia Calandrone, che alterna lo sguardo collettivo a quello privato, mantenendo in entrambi i casi il desiderio etico di pronunciarsi a nome di un “corale umano”. (dal web)

– per questi versi si ringraziano Francesco Marotta e Flavio Almerighi \ immagine d’apertura: El Tres de Mayo, opera di Francisco Goya, (1814) –

 

Flavio Almerighi, due poesie: Posizioni del nulla e Oggi non è un altro giorno

versi di Flavio Almerighi tratti da https://almerighi.wordpress.com/ 

posizioni del nulla

c’è tanto silenzio
ma il suono del silenzio è spiccioli
in resto su milioni di bocche
dimenticate ancora aperte

quando l’ultima chiesa sarà chiusa
e l’Altro, dirimpettaio del nulla
l’acqua sarà di bollicine
inclini a fermarsi, e non più

dolore di deportati e madri orfane
ricordi sui centrini di una sala in disuso.
Polvere. Poi le campane,
scrosci di cascate, cadenza

niente più parole, nemmeno un ti amo,
a essere precisi da domani, non da stasera.

Ora dormo

*

 “a essere precisi da domani”
Mi inquieta la lucidità di questa bellissima poesia, non per essa stessa, ma per com’è espresso il contenuto, che cavalca magistralmente e soprattutto senza retorica gratuita un intero periodo, il post bellico, di cui ancora viviamo “ricordi sui centrini di una sala in disuso” che, partendo dal silenzio del primo verso, arriva all’apice in quella precisione del domani, che mostra tutta la fatica umana della non accettazione di quanto accaduto…Per non soffrire, si rimanda tutto a domani, si mettono in disuso le stanze e si venerano ricordi, sperando che quel tempo non arrivi mai, senza vedere che quella polvere che si sposta è solo l’esito finale dello stesso uomo, che potrebbe, a condizione di accettare la propria finitudine, essere il primo mattone della ricostruzione di qualcosa di nuovo…
In questi versi ritrovo la grande capacità di Flavio Almerighi di saper evidenziare bellezza e rovina e, al contempo, fornire un quid a cui appellarsi per ripartire. (A.Greco)
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*
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Oggi non è un altro giorno
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C’è un listino per ogni uniforme,
i dispersi non ricevono onori
potrebbero essere ancora vivi
spassarsela da qualche parte.
Il caldo maledetto è finito,
liberi tutti di tornare agli acciacchi
a imprecazioni e bestemmie
da incidere con le unghie
sul fango ancora vivo.

Oggi non è un altro giorno,
presentimenti e preghiere
sempre in agguato, circostanze
imprevisti ancora in allenamento,
un’indossatrice truccata da capotreno
il seno minuto ma non troppo.
La rivoluzione non scoppierà,
a sessant’anni si gioca a carte.
Le grida assenti, qualche tonfo
la cui origine non è certa.

Credo a volte di sognare
volti buoni in ripiegamento
poi nel pieno del sole che piove
non vedo più,
 dice il coreano
o è possibile che adori il bowling, 
prosegue
ho sentito dire che mentre ti tuffi
Dio sta giocando a bowling.
E sa giocare, lo so.

La rabbia dentro va compressa
diretta nella giusta direzione.
Quando cambierà,
cambierà davvero.

*

“ho sentito dire che mentre ti tuffi \ Dio sta giocando a bowling. \ E sa giocare, lo so.” Micidiale e precisissima, l’ironia incide ogni possibile superficie del lettore – e prendo solo questi, di versi, ad esempio – ustionando il benpensante e rivoluzionando persino l’avvezzo ai fuoripista. Stra-ordinaria la capacità di sorprendere ad ogni componimento, pur nella fedeltà allo stile inconfondibile, ‘Oggi non è un altro giorno’ muta il punto di vista sul quotidiano, fin dal titolo, dove, viene ribaltata una consuetudine di pensiero,che vorrebbe domani è un altro giorno, per giungere verso dopo verso, all’esito finale trascritto come augurio o speranza, evitando di fatto la chiusura del testo, ma immettendo il lettore in un’altra possibilità, capacità che non tutte le poesie e non tutti gli autori possiedono.
A dissetarsi dall’inesauribile vena poetica di questo Autore viene forte la voglia di continuare a credere nel meglio che la Poesia può ancora offrire, liberi da tutto quanto Poesia non è. (A.Greco)

in apertura: opera di Anna Madia, Chimera 2013 – Olio su lino, cm55x33 collezione privata (per gentile concessione dell’artista, tratta da un articolo di questo blog)

Roberto “Freak” Antoni: Manifesto per l’abolizione della poesia a cura di Flavio Almerighi

“Se uno s’impegna può star male ovunque” (ignoto 1?)
“Panglosse e pancake adempiano ai rispettivi ruoli” (ignoto 2)
“Ma come? Ma sono secoli che ti amo, cinquemila anni, e tu mi dici di no? Ma vaffanculo!” (Piero Ciampi)
“L’economia italiana cresce più del previsto. Oh come faremo mai? (ignoto 3?)
“Si nasce e si muore soli. Certo in mezzo c’è un bel traffico” (Paolo Conte)

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Roberto “Freak” Antoni: Manifesto per l’abolizione della poesia

I
La Poesia è un’astrazione delirante che confonde il senso pratico delle persone, procurando pericolosi turbamenti d’animo.

II
La Poesia si piange addosso e si esalta in modo fuorviante perché esagerata: è lontana dal normale sentire quotidiano, è autoreferenziale e celebrativa.

III
Infatti: la Poesia è oligarchica e antidemocratica: usa parole ricercate, ermetiche e oscure, termini lessicali imprevisti che solo pochi umani possono comprendere. Cfr. Montale: “Una poesia che si capisce troppo facilmente è sospetta di mediocrità!”.
Di conseguenza:

IV
La Poesia ti sottopone e costringe alla tortura fisica del trasporto del vocabolario pesante, reso necessario dalla sua stessa decifrazione e/o decrittazione.

V
Nella sua ontologica autoreferenzialità discriminante, la Poesia crea premesse per una gestione esclusiva da parte di persone definite “speciali” (personaggi d’eccezione) alle quali sarebbe invisa la mediocrità.

VI
La Poesia è pura illusione e seduzione ipnotica, trucco pirotecnico-lessicale.

VII
La Poesia può sconvolgere una vita in maniera irreversibile.

VIII
La Poesia va assunta in piccole dosi, qualora non potesse essere evitata.

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Roberto “Freak” Antoni (Bologna, 16 aprile 1954 – Bentivoglio, 12 febbraio 2014) è stato un cantautore, scrittore, attore, artista performativo, poeta e disc jockey italiano. 

letture amArgine: Giorni iblei, inedito di Angela Greco dal blog di Flavio Almerighi

Tratto da “amArgine”, 13 settembre 2017

Poemetto, micro poema poco importa incasellare. La scrittura di Angela Greco qui è ricca, esaustiva, evita però un’eccessiva ricchezza/lunghezza nel verso, assume fascino e musica. Giorni Iblei è resoconto di un viaggio estivo in Sicilia, una breve vacanza. Il caldo, i fuochi, le bellezze asperrime della zona iblea della Sicilia, filtrati dallo sguardo dell’autrice, sempre attento e minuzioso nel registrare e renderli poesia. D’altronde se la creatività non passasse per lo sguardo, per la persona che c’è dietro quello sguardo, avremmo prodotti e non opere d’arte. Invito alla lettura di questo pezzo, alle sue assonanze ai suoi versi forti, bello da leggere perché privo di rami secchi e binari morti. Angela Greco ha scelto versi molto forti e suggestivi a ogni apertura di strofa, sì che la lettura ne sia affascinata ma anche consapevole. Penso che la poesia tragga ristoro, perché a suo modo questo è contribuire al rinnovamento della scrittura. (Flavio Almerighi)

Giorni iblei – inedito di Angela Greco (agosto 2017)

Una civetta sorvola il risveglio. Poche auto
dietro il vetro; un’altra epoca spunta con il sole
dalla pietra. Voci dalla finestrella appena aperta
insinuano all’orecchio assenze e dissonanze.
Travi a vista sulla distanza e cali fisiologici a picco
sull’involontaria meridiana; l’ombra azzerata ride
del silenzio dietro deflettori verdi appena inclinati.
La balaustra riga strada e buste della spesa; sali,
abbiamo tempo per disinfettare l’abitudine. Rimane
poco altro che attendere, l’ibisco e i suoi petali bianchi.

Ogni casa ha morti affissi al muro esterno.
Il ponte taglia l’occhio in diagonale; si procede
paralleli al fiume in secca. Sul fianco destro il livido
dell’ultimo ricovero apre occhi sulla collina
arsa d’agosto. Abitiamo pendii di erbe lasciati al caso
di un impietoso solleone. Raglia un’apertura sulla strada;
un ulivo àncora la terra alla resa ed anche una cicala
attende la sorte alle tre del pomeriggio.
Il primo piano è in vendita sorretto da bocche che beffano
l’occhio muto della nobiltà rimasta a guardia delle cadute.

Il sole barocca l’afa; al giro intagliato sulla porta
fa eco una lontananza di treno verso nord-est.
L’anziano dirimpettaio ha bastone e cappello bianco
per la spesa mattutina. Sulla tegola in bilico tubano
un nido ed un carrubo. La luce acceca. Entriamo,
abbiamo angoli di buio ancora da dirci. La notte s’appella
al grillo e all’ultima stella di un agosto insopportabile.
La crepa sta al muro e l’occhio alla lontananza; nell’assenza
di pioggia si scongiurano sterilità peggiori. Muretti a secco
giacciono su seni mietuti. Non c’è ombra qui e la strada
è segnata solo da un numero. L’indicazione malmessa
evoca denti che mordono il passo perso in questo posto.

La notte iblea ha occhi di pianura lontana dal mare.
Fuori accade anche che si possa sopravvivere. L’angolo
di luce investe un ponte dai molti salti; un fiume
che sale a sud e ingoia la terra, ci accomuna e
restituisce trasparenze che la tua bocca sa. Il mattino,
poi, è nuovo amplesso. Assottiglia occhi e respiro
il vento; scompagina pomeriggi, squaderna l’ora del tè.
Assenze ruminano. Non si fuma qui; il respiro è
impegnato nella tua direzione. Sciolti i nodi
siamo tempeste in formazione in attesa della pioggia.
La via è punteggiata da piccoli cimiteri; brevi soste
tra roghi di mandorlo e agosto. Il tempo di un fiore.
Appassiremo alla prossima stazione pronta di Veronica
a tergere sudore e strada. Ci affianca il mare
fino al ritorno.

*

L’indole del cantastorie mi deriva dal sangue provenzale di mia mamma e dalla sempreviva voglia di essere qui e altrove al contempo… Giorni iblei è nato attraversando con 44 gradi secchi, alle tre del pomeriggio, la bellezza selvaggia delle valli della provincia di Ragusa, nell’agosto appena trascorso: un luogo di pietre e spazi senza limiti per lo sguardo e ricchissimo di dettagli precisi, netti, come nette e chiare erano persino le ombre, nel sole assurdo e magnetico del Mezzogiorno che mi appartiene, a cui appartengo senza riserve. (AnGre)

In apertura: Ragusa, panorama della valle con Ibla sulla destra – ph.AnGre

Adeodato Piazza Nicolai traduce Giorni Iblei, inedito di Angela Greco con commento di Flavio Almerighi

Tratto da “amArgine”, 14 settembre 2017

© 2017 American translation by Adeodato Piazza Nicolai of GIORNI IBLEI written by Angela Greco. All Rights Reserved both for the original and its translation.

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A long poem or micro “poema” it doesn’t need categorizing. The writing of Angela Greco is rich, exaustive, but avoids excessive richness/length in its lines, attaining fascination and musica-lity. “The Iblei Days” is the telli of a summer vacation in Sicily, a short vacation. The heat, the fires, the rugged beauties of the Iblea area of Sicily. It is filtered through the eyes of the woman poet, alsays a sharp and accurate trasmutating into poetry. On the other, hand if her creativity did not pass through the eyesight, for the person behind that look we would have a product and not an art work. I invite you to reead this poem, listen to the assonance,to the powerful verses, so lovely to read beause devoid of dried-up branches and dead-end rail tracks. Angela Greco ha chosen very strong and suggestive verses for each stanza openingso so that the reading is not only fascinating but also self-aware. I think that poetry draws new lymph, because in its way this is a renewed style of writing. (Flavio Almerighi)

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Iblei Days – inedited by Angela Greco (August 2017)

An owl flies over the awakening. Few cars
behind the glass; another age rises with the sun
from the stone. Voices from the tiny window barely open
instill in the ears absences and dissonance.
Beams seen far away and deep physiological drops
on the involuntary meridian; the zeroed shadow laughs
of the silence behind green reflectors barely slanted.
The parapet aligns the road and shopping bags; get on,
we have time to disinfect our own habits. Little else
rests waiting for us, the hibiscus and his white petals.

Each house has dead fixtures on the outside wall.
The bridge cuts the eyeview in diagonal, we proceed
parallel to the driedup river. On the right side, the wound
of the last recovery opens her eyes on the hillside
burn by August. We live with grasses left to the choice
of a huge, pityless sun. A crack moans un the road;
an olive tree anchors the earth and a agrasshopper
also awaits the sort at three o’clock in the afternoon.
The first floor is on sale held up by mouths that bluff
the muted eye of the nobles left to guard the collapse.

The sun “barocca” [1] the heat; on the circle carved on the door
echoes a distant train towards nord-east.
The old man next door has cane and white hat
to use for morning shopping. On the tilted tile a nest
and a carrub tree sing. The light is blinding. We enter,
there are still dark corners talking to us. Night clings
with the cricket and the last star of an unberable August.
The crack on the wall and the eye far away; in the absence
of rain, a dryness unwanted. Walls without mortar
lie upon cut-down breasts. There is no shade and the road
is marked by one number only. An indication uprooted
like teeth biting lost feet along this place.

The ibean night has eyes of the plains far from the sea.
Outside it seems we can still survive. The corner
of light invests a bridge with many stumps; a river
rises to the south and swallows the earth, making us equal
and gives back transparencies known to your mouth. The morning
then, is a new climax. The wind narrows both eyes and breath;
shakes up the noons, ruffles the tea hour.
Absences ruminate. Here one doesn’t smoke. The breath
is laboring in your direction. The knots undone,
we are trempests beginning to form, waiting for rain.
The way is marked by small cemeteries; brief pauses
among almond fires and August. Time of one flower.
We’ll dry up at the next station ready for Veronica
to wipe away sweat and the road. The sea at our side
until the return.

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nota: [1] In Italian the verse begins: “Il sole barocca l’afa”—it is an image that offers no translatable alternatives, hence the translator used “barocca” as in the original. The word is a neologism in Italian, from the adjective “barocco”, meaning baroque. (NdT).

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ANGELA GRECO was born on May 1, 1976, in Massafra (Province of Taranto). She lives there with her family. In prose she has published Portraint of a Girl at the Mirror (Stories, Lupo Editor, 2008); Arabesques Carved by the Sun (Terra d’Ulivi 2013); Personal Eden (La Vita Felice, 2015, Introduction by Rita Pacilio); Crossing me (Limina Mentis, 2015, with a photography cycle realized with Giorgio Chiantini and an introductive note by Nunzio Tria); Anamorphosis (Culture Project, Rome, 2017, Introduction by Giorgio Linguaglossa). Ready for September 2017, Contrary Currents (Ensemble Ed., Rome).

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Sulla poesia: contributi di Claudio Borghi e Flavio Almerighi e due testi di Nanni Cagnone e Marina Pizzi

      Non crediate
l’opera d’un poeta
esaudita promessa
lieto fine – non è
che l’ultima rivalsa
d’una lingua,
la derisoria vacanza
di chi, perduto il lavoro,
con certezza del vuoto
riguarda vanamente
si torce le mani.
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Nanni Cagnone,
da Penombra della lingua, La Camera Verde – Roma, 2012.
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Controcorrente, una riflessione di Claudio Borghi

Tutto è nel moto, nel farsi senza quiete, nel moltiplicarsi necessario in cui le creature si innescano l’un l’altra e la mente, onda nel mare, non può trovare il punto da cui la pluralità nascendo si innesca.
Cosa ci resta, giunti all’estremo del frastagliarsi molteplice? Poesia, musica, frammenti, colori, il rifrangersi dell’essenza in miriadi di dettagli, senza più coglierne il centro o la legge che ne esprima la sintesi: quanto più la mente plana sul creato tanto più ne perde l’origine, il battito emozionato che il cuore innumerevole dei viventi irrora.
Il tormento si scandisce nell’arte e nella scienza, sospese tra la varietà inafferrabile agli occhi della mente, che cerca di classificarla raccogliendola in sterminati archivi, e l’unità che a quel molteplice soggiace e la mente ispira ed alimenta intera.
Se l’io è un raggio tra tanti in cui un solo cuore di luce si rifrange, e lo straniamento della scrittura nasce dal contemplare sé e il mondo come una danza che sulla scena dell’essere accade, il movimento contrario, la corrente che risale la colata a valle dell’emanazione, è l’accensione volontaria potente della coscienza, che repentina restituisce a quel danzare inquieto la possibilità del ritorno all’origine.
Le visioni poetiche, pittoriche, sinfoniche, nascono da questa necessità, la cui radice è inevitabilmente dolore, in quanto la creatura è un nulla nella dinamica della creazione, non esiste in sé, e la poesia si dona solo quando si apre la possibilità dell’altrove. Non si tratta di scoprire l’essere altro, ma di lasciar diffondere il mondo dopo aver rotto l’argine dell’io: il pensiero e l’estensione si rifondono nell’unica sostanza e la corrente si agita turbata, e nella disintegrazione della coscienza, piccola candela con un nome, si impone la visione anonima, in cui il poeta si priva dell’identità e della presunzione di essere creatore di quello che scrive o dipinge o armonizza sul pentagramma delle idee.
La frammentazione è dinamica interna ad ogni moto di pensiero rivolto al fenomeno, ad ogni sistema ideale che si costruisce intorno a un principio unificante, nasce da un movimento da sempre presente nella storia del pensiero: la riverberazione, la dissoluzione, il pullulare agitato delle forme che pulsano vibrano scodinzolano in traiettorie casuali nell’oceano dell’essere. Le epifanie del molteplice, animato in strutture polifoniche o in polittici affrescati in cui corpi e azioni e fluttuazioni timbricamente colorano il quadro, sono sempre sinfonie, per quanto volontariamente si compongano di disarmonie galleggianti nell’aria. Dicono la pluralità dal punto di vista dell’eterno, non della coscienza disintegrata, e in quanto tali contengono la possibilità dell’inversione della corrente, dell’epifania che da un momento all’altro può donarsi. Si isolano nell’assenza del dolore, privano l’arte della sua radice, diventano molteplicità disarmonica scissa dall’emozione, si liberano dal dramma dell’io e del respiro e della fuga spaventata registrando l’accadimento plurale, il movimento interno alla sfera, la domanda che risuona ellittica o insensata.
La coscienza contempla i corpi, atomi di un nucleo originario, l’io si sottrae alla lotta e al dolore e ne descrive l’accadere, si illude di poter rappresentare poeticamente la lacerazione, laddove la può solo malamente astrattamente replicare.
Quel che scatta e genera forma è, nel dramma individuale, la reazione della volontà, che prende il sopravvento sulla luce atonale della coscienza e tenta un movimento controcorrente, dal molteplice scisso impaurito cerca la strada tremenda della luce dell’Uno.
L’ascesi, come nei mistici, è tremore e tragedia, mai beatitudine. Ogni visione, incluse le madonne rinascimentali scolpite o dipinte nella pace empirea, è impregnata della fatica del ritorno, del volere Dio quando l’evidenza dice che lui sempre si nega, mai si dona al singolo, lontanamente trama e genera all’oscuro della coscienza che nel tempo, vivendo, si dispera. (24 gennaio 2017)

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Questioni di Io, una riflessione di Flavio Almerighi

L’io è talmente infatuato di sé che non si accorge nemmeno di essere parte di qualche miliardo di altri Io, molto spesso nemmeno nella parte centrale della galassia. In fin dei conti colora di bianco una parte infinitesimale di un pezzettino di galassia periferica, tanto e solo da far pensare a qualche astronomo/sciamano che da quelle parti al garzone del latte è scivolata una bottiglia di mano.
Se è vero che “tutta la vita è lasciare tracce” è altrettanto vero che più è potente l’Io e più cercherà di lasciarne, in forma d’arte, in forma di ideologia sanguinaria, in forma di qualsiasi altra cosa, a un punto tale che, dopo tempo, si ricorda la traccia e non più chi l’ha lasciata. Deve essere uno smacco terribile per quell’Io.
Dove c’è luce, succede sempre qualcosa. L’uomo è un animale terragnolo terrorizzato dal buio, anzi, dalla scoperta del fuoco in poi il suo destino tecnologico è stato scoperto e tracciato nella ricerca di una notte che sia sempre più giorno. Perché il buio fa paura, e senza luce l’Io non si può pavoneggiare, non si può manifestare.
Lascio alle psico sette la responsabilità di decidere cosa sia arte, letteratura, musica, religione o meno. Del loro giudizio e delle loro esternazioni non mi frega un cazzo, perché non hanno autorevolezza e nemmeno senso del bello. Come è giusto che sia, il mio Io è smisurato altrettanto quanto il tuo, rivendico il mio gusto alle cose e alla bellezza e il mio gusto non sarà mai un culto da chiesa costantiniana.
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      Vertigine sparutella attimo di buio
l’io convulso figlio del plurale
naturale ingorgo di caligine.
Appena sotto l’arco finimondo
i falò dei fogli dei poeti
illuminanti le vedette.
Guarderemo l’andarcene
dentro il baule dell’ultimo brevetto.
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Marina Pizzi,
da Dissesti per il tramonto, dal web
Immagini: opere di Mark Rothko

 

Flavio Almerighi, un inedito: oggi è così

Il finale è un inizio, come spesso si legge nelle poesie di Almerighi, con quella sua apertura e ampiezza di vedute, che indirizzano verso una lettura più alta anche di quei citati cieli d’Armenia e dintorni. Siamo cieli bassi, in effetti, e abbiamo perso il senso d’infinito, rincorrendo un oggi piccolo nelle sue miserie. Ecco, bisognerebbe ripartire dal giorno della poesia senza affidarsi a nessuno, se non a quello che ci urla dentro e che troppo spesso silenziamo con una comoda consuetudine al non vivere. Versi che mi sono piaciuti molto e che propongo anche ai lettori de Il sasso nello stagno; versi, che indirizzano giorni e ritorni verso stazioni positive. Oggi è davvero così: “poco tempo ancora e vestiremo \ la bellezza che sappiamo” (AnGre)

almerighi

in Armenia
il cielo scurisce, malgrado l’ora
manda piagnucolosi accidenti a chi
più in basso
li avvista un istante dopo

il giorno della poesia
non ha amici fidati,
dive infide, qualche becchino
tutti muti, il colore non è musica
ma cambia persona

non abbiamo politiche
per giustificare sogni a lungo raggio
missili, Hiroshima dimenticata:
politico un’ingiuria
da spacciatore ladro di menzogne

oggi è così
poco tempo ancora e vestiremo
la bellezza che sappiamo

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Il mistero da quattro soldi di Lou Reed: riflessioni su una proposta musicale tratta da amArgine

…….Prendo in prestito proprio il titolo di questa canzone, proposta da Flavio Almerighi sul suo blog amArgine (clicca qui per ascoltare) il giorno di San Lorenzo, per chiedermi (e lo sto facendo fin dall’assegnazione dell’ultimo Nobel 2017 per la Letteratura) dove un testo finisca di essere canzone e diventi poesia; se un confine esiste, in questo mondo che proclama la caduta di ogni limite e poi alza barriere invalicabili, e se una canzone può o meno essere una poesia. Così, in una torrida e straziante mattinata di una mai ricordata rovente estate simile, apro il computer e mi ritrovo a leggere la traduzione di un testo senza l’audio associato. Per me è poesia, per la cronaca è una canzone di Lou Reed, che io conosco dal blog di Almerighi. Leggo un paio di volte il testo e mi piace sempre di più. Ascolto l’audio associato e non ho proprio la stessa sensazione (scusate la franchezza)…Sicuramente, mi dico, è un limite mio, ma questa distopia mi fa riflettere su un fatto non da poco: che con buona pace delle diatribe tra le parti, un testo è poesia quando si “mantiene in piedi” da solo, retto da una musica tutta sua, interna, che giunge comunque al lettore e alla quale dopo si può anche aggiungere una colonna sonora. E qui vi invito a sperimentare quanto detto, leggendo testi di canzoni tra i più svariati e a notare che non tutti, senza audio, nel medesimo lettore sortiranno lo stesso effetto, giungendo alla conclusione che una canzone è il frutto dell’associazione sapiente di testo e musica e che la poesia è…cosa differente (e sorrido, pensando ad altri luoghi dove ci si accapiglia a riguardo). E intanto grazie a Flavio e al suo blog per le belle proposte che permettono anche belle discussioni. (AnGre)

…….Lou Reed proveniva dai Velvet Underground, una band che gravitava attorno alla Factory di Andy Wahrol che lui e John Cale, altro membro della band, chiamavano affettuosamente “drella” storpiatura di cinderella, Cenerentola. L’ambiente era ricco, quindi, di fermenti artistici, musicali, plastici, figurativi, cinematografici. Lou Reed, oltre all’insana passione per l’eroina, fu sempre molto attratto dalla parola e dalla poesia. Esiste, credo, da qualche parte, una raccolta di sue poesie su libro. Lou Reed era anche poeta tutto sommato, ma soprattutto un musicista urbano, violento a tratti e oscuro. La sua grandezza è indiscutibile, la traduzione del brano, come si può vedere, ottima. (Flavio Almerighi)

…….La differenza tra un’opera di poesia e il testo di una canzone sta in due aspetti decisivi: uno è la dimensione dello spazio in cui si trovano a muoversi, l’altro è la forma della musica a cui fanno riferimento. […] Quello che manca a troppa letteratura oggi è il senso del rischio interiore, il profumo dell’autentico, del tentativo di fare un passo oltre rischiando di perdere tutto: la poesia moderna corre, in questo senso, il rischio di spegnersi nell’auto-referenzialità, dovendosi continuamente citare per auto-giustificarsi. […] L’altro elemento distintivo tra poesia e canzone, a cui sopra si faceva riferimento, è la musica. Un testo di canzone vive solo in simbiosi con la musica, quindi non ha senso scorporarlo da un tutto organico di cui è uno dei componenti: è un po’ come togliere un organo da un organismo vivente e pretendere che abbia vita autonoma…(tratto da Poesia e canzone – una riflessione di Claudio Borghi – clicca sul link per scaricare l’intero contributo)

*

Lou Reed, Il mistero da quattro soldi 

Giaceva pesto e ferito, trafitto
e sanguinante, mutilato che parlava dalla croce
con la mente che mulinava e ansimava
allucinava fuggiva, che perdita
Le cose che non aveva toccato o baciato
i sensi lentamente lo abbandonarono
non come Buddha, non come Vishnu
in lui la vita non sarebbe tornata

Trovo facile credere
che abbia potuto mettere in discussione le sue convinzioni
l’inizio dell’ultima tentazione
mistero da quattro soldi

La dualità della natura divina
della natura umana divide l’anima
completamente umano, completamente divino e diviso
la grande anima immortale

Frantumata in pezzi, pezzi vorticanti, gli opposti si attraggono
dal di fronte, dai lati, dal dietro
la mente attacca se stessa

Conosco la sensazione, l’ho già provata
da Cartesio a Hegel la fede non è mai sicura
Mistero da quattro soldi
ultima tentazione

Ero seduto che tamburellavo pensavo martellavo meditavo
sui misteri della vita
fuori la città gridava urlava sussurrava
dei misteri della vita

C’è un funerale domani a St. Patrick’s
le campane suoneranno per te
Ah, cosa devi aver pensato
quando hai capito che era giunto il tuo tempo?

Vorrei non aver buttato via il mio tempo
su cose tanto umane e su così poco di divino
la fine dell’ultima tentazione
la fine del mistero da quattro soldi

§

Dime store mystery

He was lying banged and battered, skewered
and bleeding talking crippled on the cross
Was his mind reeling and heaving
hallucinating fleeing what a loss
The things he hadn’t touched or kissed
his senses slowly stripped away
Not like Buddha, not like Vishnu
life wouldn’t rise through him again

I find it easy to believe that he might
question his beliefs
The beginning of the last temptation
dime story mystery

The duality of nature, godly nature
human nature splits the soul
Fully human, fully divine and divided
the great immortal soul

Split into pieces, whirling pieces, opposites attract
From the front, the side, the back
the mind itself attacks

I know the feeling, I know it from before
descartes through Hegel belief is never sure
Dime store mystery
last temptation

I was sitting drumming, thinking thumping, pondering
the mysteries of life
Outside the city, shrieking, screaming, whispering
the mysteries of life

There’s a funeral tomorrow
at St. Patrick’s the bells will ring for you
Ah, what must you have been thinking
when you realized the time had come for you

I wish I hadn’t thrown away my time
on so much human and so much less divine
The end of the last temptation
the end of a dime store mystery

dall’album NEW YORK, 1989