Oltrescrittura
di Angela Greco
Piena estate, cielo azzurro con nuvole grigie e fulmini sempre sullo sfondo, temperatura proibitiva; passeggio per sentieri di Murgia, qui nella mia terra, e sul limite di pietra di due appezzamenti attigui un cespuglio di rovi richiama la mia attenzione. Azzero la distanza. Non esito e vado a raccogliere la mora più scura e più in alto di quel groviglio acuminato. Mi graffio mani, braccia, caviglie. Il segno più evidente, però, lo vedo dopo e solo allo specchio, a casa, di ritorno da quell’esperienza di dolore e dolcezza al contempo: una spina più crudele delle altre mi ha lasciato il suo ricordo dallo zigomo – appena sotto l’occhio destro, quello che vede meglio dell’altro – fino alle labbra. Rosso, quell’incontro con quel frutto preciso alla sommità di un cespuglio cresciuto spontaneamente su una strada poco praticata, brucia dentro fin dove nemmeno mi conoscevo.
Ecco, in metafora, che cos’è la scrittura per me.
Scrivo versi dalla mia terra, nella quale ho scelto di vivere e alla quale ho permesso di forgiarmi, fino alla poesia che pratico oggi. La scrittura seminata sulle proprie e uniche forze, senza interventi amicali o di servilismi di cui siamo esasperati, è immensa soddisfazione e al contempo sprone inaudito a perseverare in questo campo, che semplice non è. Rifuggo con orgoglio l’appartenenza ad ambiti determinati e a caste, che fanno bella mostra di sé in questo ambito, per poter dire con cognizione di causa che la scrittura – specifico poetica, poiché a me più vicina – a parer mio, deve essere appartenenza, coraggio, studio ed onestà con se stessi, per poter dire qualcosa ad un altro, fosse anche ad un solo lettore. Amo poco la retorica e i luoghi comuni e mi avvilisco quando leggo, grazie agli attuali mezzi di comunicazione elettronica, che si possa essere osannati soltanto per le condivisioni in web derivate da amici e conoscenze, che ben poco praticano critica e giudizio concreto su quanto pubblicizzano a gran voce. Ogni libro o lavoro realizzato dovrebbe nascere dalla sedimentazione del vissuto, essere scevro dal bisogno contingente (penso alle urgenze del dire derivanti da emozioni forti e difficilmente gestibili con lucidità) ed essere considerato il gradino di una scala ferocemente in salita, che non si deve avere paura di percorrere e non ogni volta l’opera perfetta a cui affidarsi per la corona d’alloro. Per questo motivo m’appello allo specchio, l’unico mezzo in grado di rimandare nella solitudine della propria visione, anche metaforicamente, quello che si è realmente. La scrittura è un mezzo potente di cambiamento in primis per chi la attua e poi, per quanto e quanti si ha intorno e dovrebbe maggiormente tener conto di questa sua forza, che tanto allerta da sempre il potere. Ma, soprattutto, la scrittura deve imparare ad essere libera dagli egoismi di chi la concretizza e dalle aspettative di chi legge e di chi scrive anche, per essere in grado di aprire il solco dove seminare un futuro in cui potersi dire Persone.
tratto da AA.VV. Scrivere un punto interrogativo,
a cura di Ambra Simeone (deComporre Edizioni 2014) – fotografie di Angela Greco