Settembre…

autunno1

SETTEMBRE

Chiaro cielo di settembre
illuminato e paziente
sugli alberi frondosi
sulle tegole rosse

fresca erba
su cui volano farfalle
come i pensieri d’amore
nei tuoi occhi

giorno che scorri
senza nostalgie
canoro giorno di settembre
che ti specchi nel mio calmo cuore.

Attilio Bertolucci, “Sirio”, 1929

~

ARIETTA SETTEMBRINA

Ritornerà sul mare
la dolcezza dei venti
a schiuder le acque chiare
nel verde delle correnti.

AI porto, sul veliero
di carrubbe l’estate
imbruna, resta nero
il cane delle sassate.

S’addorme la campagna
di limoni e d’arena
nel canto che si lagna
monotono di pena.

Così prossima al mondo
dei gracili segni,
tu riposi nel fondo
della dolcezza che spegni.

Alfonso Gatto,Nuove poesie”, 1950

~

Settembre

Triste il giardino: fresca
scende ai fiori la pioggia…
silenziosa trema
l’estate, declinando alla sua fine.
Gocciano foglie d’oro
giù dalla grande acacia…
Ride attonita e smorta
l’estate dentro il suo morente sogno;
s’attarda tra le rose,
pensando alla sua pace;
lentamente socchiude
i grandi occhi pesanti di stanchezza.

Hermann Hesse

~

DUE MESI SETTEMBRE

All’alba un mormorio corse tra gli alberi,
una lieve increspatura nella cisterna, e nell’aria
un presagio di prossima frescura – ovunque
una voce profetica nella brezza.
Balzò il sole e indorò tutta quella polvere,
e lottò per disseccare ancor più l’oziosa terra,
impotente come un re invecchiato che guerreggia
per un impero che gli si sgretola in mano.
L’un dopo l’altro caddero i petali del loto,
sotto l’assalto dell’anno ribelle,
ammutinato contro un cielo iracondo;
e, lontano, bisbigliò l’inverno; “E’ bene
che muoia la rovente estate. L’ausilio e’ vicino,
giacché quando l’umano bisogno più stringe, io arrivo.”

Joseph Rudyard Kipling

~

SETTEMBRE

Verdi giardinetti,
chiare piazzole,
fonte verdognola
dove l’acqua sogna,
dove l’acqua muta
finisce sulla pietra.

Le foglie d’un verde
vizzo, quasi nere
dell’acacia, il vento
di settembre le bacia,
e alcune si porta via
gialle, secche,
giocando, tra la bianca
polvere della terra.

Antonio Machado

Angela Greco, Quaderni di RebStein, LXVII

Quaderni di RebStein LXVII. Settembre 2017.  Scaricabile gratuitamente al link:

Fai clic per accedere a angela-greco-ora-nuda-2010-2017.pdf

*

…….C’è, in questa poesia, il fascino non vuoto e non fine a sé stesso di una continua concreta ricerca, di una ricca minuziosità. Angela Greco non tenterà mai di gabbare il lettore, di “stupirlo con effetti speciali”. Il dettaglio, l’arabesco, la capacità di crearne e renderli particolarmente evidenti senza sforzo, rendono questa poesia potente, ma femminile nella migliore accezione del termine. Insomma la poesia di Angela si riconosce. E’ il frutto di un lavoro durato anni, decisivi, spesi bene, che l’hanno vista poeticamente crescere in modo esponenziale. Lo si noterà bene leggendo questo, che è un sunto dei suoi primi sette anni da autrice cosciente di sé e della propria meta. Insomma di cosa stiamo parlando? Di una poesia che amo definire “carsica” per quel suo immergersi, quasi sparire, e riemergere prepotente, improvvisa, teatrale. Ma quel che conta è la poesia, non la casacca che indossa. La scelta di questa autrice è proprio quella di non indossarne, di vivere la propria creatività senza costringersi in scuole, gruppi di pensiero, sette di teoretici, compromessi. In effetti il porsi in cerca di strade, di versificazioni e soluzioni nuove, o comunque non usuali e logore, è il suo intendimento principale. Questo senza mai trascurare la persona, la propria persona, quella che è dietro questo intenso sforzo creativo. L’evoluzione di Angela Greco è ben riscontrabile su queste pagine, dal 2010 a oggi molte cose, salvo l’onestà, sono cambiate, o meglio si sono evolute.  Non a caso la Nostra ha sempre più dilatato e variato col tempo la lunghezza del proprio verso e della composizione, fino a prediligere la forma del poemetto, questo non senza trascurare la ricchezza delle metafore e la chiara fruibilità del testo. L’inedito “Giorni iblei” del 2017 ne è un recentissimo, brillante esito.

Flavio Almerighi, Introduzione ad “Ora Nuda, Antologia 2010-2017 di Angela Greco”

*

(fuori programma)
.
L’imprevedibilità dei risvegli, i mattini diversi
per condizioni atmosferiche e conseguente umore,
le calze smagliate e il caffè, amaro nella sua abitudine,
a ristabilire l’ordine del giorno. Improvvisa fotografia:
distratto dal libro che hai tra le mani sembri altrove,
sul limite di un silenzio ancora da scrivere.
.
Un bottone dopo l’altro avvicino quel pensiero
che ruga la fronte per quello che accade e si tace.
La poesia è insubordinazione, stazione viaria, azione,
passaggio in auto-stop verso una nuova galassia.
Seduti scomodi sul secolo breve finito per te nel 1989
intoniamo canti da raccolta di cotone per farne bende.
.
Sembra che a vedere la ginestra siano in pochi;
il giallo non confondibile nella macchia verde dell’orbo.
Un collage di inerti catramati al verbo sbagliato:
“sono stato” è una questione multifattoriale.
.
Raccolgo aghi dal fondo del bosco per forare palloncini.
L’aria sarà sempre un futuro semplice eppure irraggiungibile
quasi quanto l’aver osato libertà in regime mono teocratico.
Avremo nuovamente voce per raccontare al fuoco della notte,
quella in cui al posto del sonno si contarono acini luminosi.
.

*

Un GRAZIE di cuore a La dimora del tempo sospeso per l’ospitalità, a Francesco Marotta per l’invito, a Flavio Almerighi per l’introduzione, ad Adeodato Piazza Nicolai per una traduzione e ad ogni Lettore che vorrà condividere con me questa gioia! (AnGre)

Immagine d’apertura: Mark Rothko, New forms

Quattro sassi con…autori contemporanei in 4 poesie: Adeodato Piazza Nicolai

Quattro sassi con…autori contemporanei in 4 poesie: Adeodato Piazza Nicolai

ARBEIT MACHT SKLAVE
.
                   Senza cuore e senza coscienza
l’uomo è il peggiore animale …
.
Nei lager il lavoro rendeva tutti
liberi di morire lentamente.
Arbeit Macht Frei … schiavizzati fino
alla soluzione finale, orrenda, fatale.
Schiavi rinchiusi come capri espiatorii
nei capannoni maledetti, freddi, affollati
finché le ciminiere sputavano le ceneri
rosso-sangue. Schiavi visitati dal dolore
dalla fame e dalla paura senza confine.
Arbeit Macht Sklave: capelli, anelli,
scarpe, vestiti, scheletri raggrinziti
ammucchiati
sono le preghiere al cielo grigiomuto–
imbuto di vite bruciate nel nulla, culla
del mare/male…
Vigo di Cadore, 28 agosto, ore 11:47

.

SE FOSSI NATO
.
un metro e quaranta saprei
vedere tutto il mondo che mi
circonda? Guarderei sempre
in alto per incrociare gli occhi
degli altri…E per amare? Quale
donna mi vorrebbe portare
a letto? Mi sento sicuro solo
con i bambini alti come me.
Adulti arroganti e presuntuosi
mi guardano con diffidenza.
Non sono un nano, il destino
ha bloccato la mia crescita. Sono
l’opposto del resto del mondo,
diversamente abilitato, mi dicono
gentimente e con compassione
nella mente, ma il cuore manda ben
altri messaggi: quasi come una tela
del Caravaggio: quel raggio di luce
soffocato dall’ombra di un’esistenza
maledetta. Vorrei cancellare la vita
che mi circonda, fa tanto soffrire …
Vigo di Cadore, 5 settembre, ore 22:45

.

QUANDO A NEW YORK. UN VIAGGIO VIRTUALE
.
completo lo shopping a Goldman & Sex.
Visito il MOMA. Salgo sull’ Empire State
Building, dopo mi fermo a Groundzero.
Un breve giretto in Central Park West.
Domani piglio alitalia. Ritorno a Vigo:
“Les Dolomites” con le Tre Cime ridono: sei
ritornato alle radici? Leggo Ladino. Ausculto
il meteo poi vado a dormire sotto le stelle
e qualche volta sul fieno nella stalla vicino alla
baita di mio fratello. Mi parla un gufo e il dolce
gabbiano spaesato. Navigo il Piave fino a Venezia:
sul vaporetto osservo turisti di tutto il pianeta
ma preferisco la mia pineta su nel Catubrium-Cadore.
Vigo di Cadore, 24 agosto 2016, ore 01:00

.

PROTO JESUS CHRIST SUPER-BOMBER
.
                   Dedicato a ogni superego
lacerato da qualsiasi super
uomo o wonderwoman…
.
a.p.n..
.
Sono riuscito a lottare scappare
nuotare fuori dai boschi foreste
dai magmi e dai pantani sovrumani
stalinisti sudcoreani vietamiti islamisti
senza alcun paracadute (né golden
né silver né iron…) senza farmi
saltare per aria o nel vuoto finale
senza rinnegare all’elan vital,
la farsa-forza bilaterale, il cuore
il culo la ragione dell’essere/divenire
chissà dove chissà quando e perché.
Dove sarà l’unica vera unità che vale-
mantiene-propone-sostiene qualcosa
in sospeso su questo pianeta? Un altro
a-deus fattosi uomo: due mani due piedi
due occhi due orecchie la bocca chiusa
tappata dall’ego? Cervello fine seppure
schiavo di fare il bidello-zimbello dei
poveri forti potenti impestati, vigliacchi
sepolti dalle vere bugie-fantasie-fantasmi
glocali senza né ali né aironi. Nelle poltrone
statali, loro poltroni per eccellenza però
non eletti e neanche votati … sono mine
vaganti senza cinture esplosive, insieme ai
quotidiani barboni che frugano nell’immondizie
per manducare qualche cosa putrefatta e
gettata dai senzafame. Ecco gli immondi farsi-
saltare-in-aria nel nome di Allah el Barista,
ignobile bassista del terrore. Appena esplosi
raggiungono le vergini damigelle promesse
dal profeta bugiardo e codardo che immola
gli altri: fedeli e/o infedeli poco gl’importa…
.
Che l’arcangelo Gabriele esca dal Vaticano
e lo trafigga nel culo e poi l’abbandoni
nelle sabbie del Sahara pronto a sfidare
il deo delle tentazioni, lasciandolo senz’acqua
senza pane e senza i discepoli prediletti.
Pagani ciechi, mussulmani pagati con petro-
dollari e vergini promesse-non-spose-però-
relassanti-focose. Qualcuno di loro si ricorda
della fine di Giuda Escariota e le sue 30 monete
insanguinate? Non hanno fabbricato un orto
a suo nome per onorarlo in eterno, lui storico
capro espiatorio prescelto dal destino? Povero
cretino intelligente alquanto naif, quanti
proseliti ti seguono adesso? Offri il gabinetto
dove si nascondono per fare i propri mestieri?
Dov’è finito J C Superbomber cannoniere della
Primera Serie? In pensione come Francesco Totti
e tanti altri bambocci superpagati per non istupidire?…
Hai conosciuto qualche persona cristoforica capace
di farti ri-credere nella causa della vita-morte e della
morte-vita eterna infinita …? Riuscirà papà Francesco
a restaurare il mito della misericordia o è soltanto
la solita storia sepolta prima d’essere ri-partorita?
Amen. Allah-Akbar (o nel bar). Shalom. In God we
Trust (exept for Trump), so long as all power stays
in our hands: so whisper Uncle Sam, Erdogan, Putin
and super president Trumpet … all perfect clowns
unable to appreciate the very fabulous Circle Soléil …
Vigo di Cadore, 1 giugno2017, ore 5:15
© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
ADEODATO PIAZZA NICOLAI è nato a Vigo di Cadore, provincia di Belluno, nel 1944, emigrato negli Stati Uniti vicino a Chicago nel 1959, è docente, poeta, saggista e traduttore. Laureato in Lettere e Scienze Politiche dal Wabash College nel 1969, con una tesi sulla poesia di Eugenio Montale, ha ricevuto il Master of Arts  dall’ Università di Chicago. Dopo 30 anni presso la ditta siderurgica Inland Steel Company di Chicago, dal 1996 è in pensione. Ha pubblicato poesie, traduzioni e saggi in riviste italiane e americane. Autore di tre libri di poesia:  La visita di Rebecca (1979), I due volti di Janus (poesie e traduzioni, 1980) e La doppia finzione (Insula editore, 1988; Introduzione di Rebecca West); Glauco Cambon ha presentato una selezione di poesie  del Piazza Nicolai, scritte in dialetto “Ladino” del Cadore, sulla rivista culturale Forum italicum, apparsa nell’Autunno del 1987. Traduttore dal dialetto del Friuli e della Venezia Giulia di una selezione di nove poeti (tra i quali Pier Paolo Pasolini e Biagio Marin) inclusi nell’ antologia Dialect Poetry of Northern & Central Italy, Legas editore, 2001, alcune sue poesie ladine sono apparse nell’edizione trilingue dell’antologia Via terra (An Anthology of Contemporary Italian Dialect Poetry, Legas editore, 2000). Ha insegnato lingua italiana e letteratura moderna all’università di Purdue Calumet, nello Stato dell’Indiana, U.S.A.  Nel 2000 è uscita la raccolta di poesie Diario ladin (Grafica Sanvitese) tradotte in italiano e inglese, con il patrocinio della Union Ladina del Cadore de Medo; nel 2004 è apparsa sull’ antologia curata da Alessandro Lamberti, (La coda della galassia, © 2004 FaraEditore), una selezione di poesie ladine, tradotte dall’autore in italiano e nel 2005 alcune sue poesie sono apparse nell’antologia La coda della galassia (Fara Editore). Vive in Italia, dove si occupa di traduzioni, conferenze e “workshops” sul ladino del Centro Cadore ed è membro del Comitato Scientifico dell’Istituto Culturale delle Comunità dei Ladini Storici delle Dolomiti Bellunesi. Ha insegnato come “Visiting Lecturer” d’inglese all’Istituto Linguistico “Cadore” di Auronzo ed è associate editor della rivista internazionale Journal of Italian Translation, Brooklyn College, New York, dove sono apparse sue traduzioni di poeti italiani e dialettali, come pure nella rivista letteraria Metamorphoses (Vol. 14, Issues 1-2, Spring and Fall 2006, Smith College, Amherst / Northampton, Massachusetts). Per l’Istituto Ladino de la Dolomites nel 2006 ha pubblicato “Storia della poesia delle Dolomiti bellunesi” e nel 2008, “La letteratura delle Dolomiti bellunesi”. Nel 2012 Vanilia Editriceil ha pubblicato il suo volume di traduzioni Nove poetesse afroamericane (ISBN 978-88-89709-15-3).  Con editori diversi, saranno pubblicate due volumi di poesie: Apocalisse e altre stagioni e Quatro ane de poesia; nel 2014, per la Fordham University Press di New York, rientra nella prestigiosa antologia internazionale Poets of the Italian Diaspora (Poeti italiani della diaspora) dove, nella sezione che rappresenta gli Stati Uniti, una selezione di 20 pagine è dedicata alle poesia di Piazza Nicolai. Nel dicembre del 2016, in collaborazione con il fotografo Vito Vecellio (compaesano dell’Oltrepiave) ha inserito le sue recenti poesie ladine, con traduzioni in italiano, nel LUNARIO LADIN 2017 – CALENDARIO LADINO 2017 – sponsorizzato dall’Union Ladina del Cadore de Medo. Una importante selezione di poesie inedite è presente nel blog “amArgine” di Flavio Almerighi.

 

Marc Chagall, Apparizione – sassi d’arte

Apparizione Chagall

Marc Chagall, Apparizione (1917-1918)

collezione privata, in deposito presso il Museo di Stato russo, San Pietroburgo

*

Opera poco nota di Marc Chagall, Apparizione è stata realizzata agli inizi del Novecento ed attrae per la scelta minima di colori rispetto alla tavolozza di questo artista e per la sistemazione sulla tela degli elementi rappresentati, racchiusi in un quadrato suddiviso in elementi triangolari convergenti in un ipotetico centro, che esula dal riferimento classico di convergenza prospettica.

Chagall condivide l’idea della trasformazione dell’immagine in testo così come è stato per la generazione prebellica, che storicamente si distingueva dal simbolismo “fin de siècle”: l’immagine dipinta, si sostiene, è interamente frutto d’invenzione e non discende in alcun modo dall’imitazione del mondo reale, così come era stato per i Simbolisti. In altre parole, l’immagine è “idea” e non “impressione”: le diverse parti del quadro si possono rimandare a questa o quella forma sensibile – fiori, corpi, montagne, frutta, case, volti, ecc. – ma acquistano senso definito e specifico esclusivamente nel contesto della composizione, quasi fossero nominate per la prima volta o disegnate ex novo.

Ed è proprio l’attesa l’esperienza artistica al centro della composizione: l’artista siede al cavalletto e si chiede cosa dipingere o raccontare e l’invenzione del tema è il suo primo problema. L’ispirazione è intermittente e a volte manca del tutto. Che fare? Un angelo annunziante si incarica di rispondere all’angosciosa domanda: entra in scena dall’angolo in alto a destra della composizione e apostrofa l’artista quasi a intimargli di non rinunciare, mentre nubi ultraterrene sorreggono il messaggero e si estendono all’intero atelier, rimandando a dimensioni di sogno a occhi aperti, di rapimento. Il tutto accade, perché agli occhi di Chagall l’artista è comunque un eletto, come un profeta o un santo, e l’angelo si rivolge a lui direttamente, poiché lo ha scelto, ha scelto il predestinato della pittura. Accompagnati da frammenti superstiti di iconografie tradizionali, questo processo creativo è descritto come un’Annunciazione e si distingue da altre opere dell’artista, per l’elegante riduzione della tavolozza ricorrendo esclusivamente a grigi e azzurri.

Annunciazione El Greco
El Greco, Annunciazione, conservata a Budapest (1595-1600 circa)

Tale riduzione è strettamente legata all’immagine considerata modello di Apparizione, ossia l’Annunciazione di El Greco, conservata a Budapest (1595-1600 circa): Chagall assimila il complesso gioco di grigi e azzurri che caratterizza il dipinto di El Greco e conferisce al proprio artista la posa di Maria. Riproduce infine fedelmente la figura dell’angelo nel gesto, il profilo, la collocazione compresi ali e panneggi, che esibiscono la citazione del modello manierista dell’artista ispiratore e c’è un solo dettaglio che Chagall non riprende della figura angelica dell’Annunciazione di Budapest: il volto dell’angelo. Di quest’ultimo elemento se ne può individuare facilmente la fonte in un’altra opera di El Greco, la Trinità del Prado (1577-1579) i cui l’angelo il cui profilo Chagall cita (rovesciato) occupa il primo piano a sinistra e sorregge la figura esamine del Cristo.

[a cura di Giorgio Chiantini & Angela Greco, liberamente tratto da “Chagall”, Dossier Art n.313 (settembre 2014), commentato da Michele Dantin, Giunti editore.]

– Clicca sulle immagini per ingrandirle –

Quattro sassi con…autori contemporanei in 4 poesie: Salvatore Martino

Quattro sassi con - Il sasso nello stagno di AnGre

Quattro sassi con…autori contemporanei in 4 poesie: Salvatore Martino

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Sempre nell’occhio giallo
da Il guardiano dei cobra, 1986-1992
.
.
Un colloquio s’attarda sulla scala
lungo una solitudine evocata
dal suo letto di piume
.
Da millenarie cisterne affiora l’ombra
il fratello che veglia nella stanza
da un numero periodico indicata
di corridoi e porte di emozioni
.
Mi aspetta solitario
con un singhiozzo lieve sulla bocca
sui muri della mia prigione
descrive intorno a me una folla
nel lungo esercizio del possibile
.
Rapace sentinella del mattino
compagno detestabile e sicuro
mi segue negli androni
ai margini di un prato
nel verde di una squallida panchina
lungo una balaustra
che non oso percorrere da solo
in un crocicchio che ho deciso d’ignorare
.
Si fondono talvolta i nostri passi
le strategie diventano comuni
uguale il dettato della sorte
.
M’impegna in questa lurida partita
io folgorata torre astuto alfiere
stralunata pedina
lui sordida regina pavido re
temibile cavallo
.
.
A volte gioco il nero
per confondere il bianco
nascondergli
la mossa prevedibile in agguato
.
Non ti conosco
non ti ho mai incontrato
avverto il soffio dietro la mia nuca
ricordo la magia delle tue parole
il sortilegio per frantumare l’ansia 
.
Ho tramato congiure
nel sospetto dell’alba
e lui dorme tranquillo
nel fondo degli armadi
nel perfido giacere degli specchi
nel ballo senza suoni dei vestiti
insinua i denti sopra il mio cuscino
come un bambino si abbandona
al gelido abbraccio della libertà
.
Implacabile amico
servile custode dei miei sogni
mi aspetta in terra per lavarmi i piedi
dettarmi un rimprovero inatteso
un consiglio che non posso rispettare
Conversa con me di Calibano
di quella nave smarrita alla tempesta
del match di domenica a San Siro
del conto in banca che dobbiamo aprire
della fatale fedeltà di Oreste
dell’incubo acquattato nel risveglio
.
Manoscritto del mio incerto vagare
.
Quando la polvere salirà alla gola
e saremo il richiamo dove ristagna l’acqua
e l’intreccio sarà forse un ritorno
quando il colloquio diventerà una larva
e finalmente godremo del silenzio
.
Guarda laggiù contro la tua finestra
il raggio esploso a combaciare la ferita
.
Sono saliti amici per la cena
faranno festa suoneranno per te
e tu ti sentirai rasserenato
e ti addormenterai contro il mio petto
e saranno verdissimi i tuoi sogni
e veglierai tranquillo il mio destino
.
Poiché tale è il letargo del mondo
che non può scalfirlo la nostra paura
gli incerti tentativi di corrompere il tempo
Il brusio attardatosi alla casa
come un evanescente laccio si dissolve
la trafitta lega delle maschere
precipita in platea –
.
– Sì ! Questo non era dopotutto un viaggio
non c’erano stazioni sulla carta
né spazio per saluti
sportelli dimenticati aperti
vagoni che s’incrociano
lungo nebbie di acciaio
semafori che lampeggiano il futuro
sale d’aspetto simili a prigioni
.
Il letto è intatto
Con la nostra figura disegnata
La minestra tiepida sul tavolo
Il bicchiere in frantumi sull’acquaio
.
Un vento secolare
quando hai aperto la finestra
e sei caduto
in questo itinerario irripetibile
che a niente ti conduce
perché non c’è mai stato
e tu non l’hai mai percorso
e forse non dovevi farlo
.
Nessuno ad attendere una lettera
che possa ridere di te
o servirti il caffè nel pomeriggio
Sei finalmente libero
in quella accettazione del vuoto
da noi sempre abitato –
.
– Vieni è solo la mia mano
o la tua?
Domani scelto il nero
muoverò all’attacco la Regina
.
L’Alfiere bianco
saprà come aspettarla
.
.
.
El mundo perdido La foresta le pietre nell’orizzonte fermo di Tikál
da Le città possedute dalla luna, 1992-1998
.
.
———-I
.
La morte interamente ti possiede
incantata dalle tue parole
dal fiore bianchissimo dei corpi
.
Si sono rintanati nella selva i miei serpenti
indistinto brusio la loro voce
le scimmie urlatrici invocano la pioggia
a lavare la febbre i desideri
.
Nel perimetro verde
in dolce precipizio a primavera
nel dominio uniforme delle piante
e per timone una barra di velluto
un colloquio strisciante di formiche
per vela un sentiero diroccato
un possibile agguato
da te dagli altri teso
dai minuscoli eventi che c’illudono
e inseguire dovunque
l’introvabile volo del quetzάl
l’uccello incredibile di piume
promesse ai sacerdoti
e accetta la morte non la cattività
.
.
———II
.
Orfani senza voce
messaggeri del verbo
che lacera la morte
indagatori traditi dell’Oscuro
sopra la piattaforma
del Gran Tempio Piramide
di nuvole forse diviniamo
del domestico rito
costruzione perfetta dell’inutile
.
.
Guidarono i Poeti questa terra
testimoniando gli inferi e la luce
la freccia scoccata nel delirio
verso l’addome e il cuore
centro del movimento verso il labbro
perché immortali fossero i responsi
iniziatico dono nella veglia
.
Verde ancora la selva
gli alberi spalancano le braccia
tessono fili di saliva dove gli insetti
annegano e i rettili possono tremare
Un sacro terrore
su queste grigie pietre si respira
tracce visibili
quegli uomini stamparono
un ispirato codice di astri
.
I poeti osservano la morte
ne contano i sussurri gli abbandoni
i rami incoerenti della vita
le vertebre corrose dal nemico
testardo passeggero
antico testimone di battaglie
che ci dorme accanto
vigilando nel cavo del torace
lo sgomento la pena
.
I corpi bruceranno
interamente i fiati nell’attesa
tutte le formiche della terra
diventeranno un vuoto agglomerato
l’equilibrio invocato
tra il Nonessere e il Tempo
coinvolgerà fuggitivi e soldati
saremo
tutti
sacerdoti votati allo sterminio
.
Avranno occhi perforati
il coyote e l’iguana
gli uccelli tutti e sono migratori
e invadono gli stagni
prima di soggiacere all’acqua
lasceranno un sospetto
del loro transitare?
.
Avremo occhi perforati
un ghigno per sorriso
costretti ad inseguire
come insonne Giaguaro la sua preda
scivolato Serpente tra le dita
lasceremo un sospetto
del nostro transitare?
.
Presagi ingannevoli
in questo autunno della vita
si concretizza limpido il bersaglio
fiore bianchissimo sul corpo
invocata carezza
interamente tutti ci possiede
.
.
.
Libro della cancellazione
da Libro della cancellazione, 1998-2004
.
.
Nell’inferno ossessivo della storia
nella clausura più spietata
nel dominio delle nostre parole
nel religioso silenzio del respiro
nella carezza di una mano amica
nel cervello che ha smesso di pensare
nella risposta che non ha domanda
nel cerchio del giardino che ti stringe
nella notte avvertita come ansia
nella speranza che nulla va perduto
.
in tutto questo
c’è l’orrore del tempo
la gioia e la dimenticanza
i baci che possiamo ricordare
la luce che ha bloccato il tuo sorriso
l’angoscia del risveglio
il sonno all’alba del suicida
l’amore come ricatto
come dedizione
c’è soprattutto la cancellazione
.
.
.
C’est qu’a dit le vent de l’est
da La metamorfosi del buio, 2006-2012
.
.
Anima mia dove sei
in quale abisso ti trattieni?
.
Sono venuto dove ha parlato il vento
.
Tutto è così mutato
non ricordo il mio viaggio e la casa
gli alberi che piantammo insieme
Io non so per quali tortuosi sentieri
mi hanno guidato a questo luogo
ormai non familiare
I danzatori abitano il giardino
ma non c’è movimento nella danza
e il tempo della rosa si è smarrito
la gramigna ha invaso le terrazze
.
Quando si placherà la nuvola
che circonda la casa?
e saranno vuote le notizie
e uno stralcio di luce
valicherà i muri e le finestre
luce divelta dalla mezzanotte
luce senza promessa di mattino
.
Anima mia dove sei?
che non raccatto più
il fruscio della tua voce
in questo nostro viaggio
attraverso mute città
che ci ospitarono
e il traghetto dell’ansia
e i marciapiedi della malattia
.
Anima mia abbandonata
in un pericoloso sottoscala
dove sopra carcasse di colombi
amoreggiano i gatti
e le ragazze vengono stuprate
Forse tu non vuoi ascoltare
tutto il rumore del mondo
l’orrore ad ogni angolo di strada
i giovani che inutilmente muoiono
per inutili guerre
le madri che uccidono bambini
le stragi in nome
di chissà quale Dio
.
Anima mia dove sei?
.
Io voglio ritrovarti
come quando bambino
giocavo con la strummula di legno
e rubavo i fichi al contadino
che minaccioso m’inseguiva
.
Io ti parlo e ti chiamo
sei ancora qui?
nel ventre del mio fiato
in questo colloquio che non può finire?
.
Anima mia dove sei?
.
Ho scacciato la polvere dalla testa
perché tu potessi riconoscere
quel sogno che intrecciammo insieme
i miei occhi bagnati dal perdono
così non dovrai tremare
quando per forza ci separeranno
.
Anima mia tu sai
cosa diceva l’altra notte il vento
che avvolgeva dall’est
gli alberi e il giardino?
.
Quando al tramonto
l’ombra si allungherà
sui muri della casa
allora incontrerai
la trasparenza
.

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salvatore-martino-fotografato-da-pepito-torresSalvatore Martino è nato a Cammarata, nel cuore più segreto della Sicilia, a mezza strada tra Palermo e Agrigento, il 16 gennaio del 1940. Attore e regista, vive in campagna nei pressi di Roma. Ha pubblicato: Attraverso l’Assiria (1969), La fondazione di Ninive (1977), Commemorazione dei vivi (1979), Avanzare di ritorno (1984), La tredicesima fatica (1987), Il guardiano dei cobra (1992), Le città possedute dalla luna (1998), Libro della cancellazione (2004), Nella prigione azzurra del sonetto (2009), La metamorfosi del buio (2012). Nel 2015 esce l’opera completa del poeta in Cinquant’anni di poesia (1962-2013). È direttore editoriale della rivista di Turismo e Cultura “Belmondo”. Dal 2002 al 2010  ha tenuto un laboratorio di scrittura  creativa poetica presso l’Università Roma Tre, e nel 2008 un Master presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. (immagine: Salvatore Martino fotografato da Pepito Torres – per gentile concessione dell’autore)

Genesi della mia morte, di Alfredo de Palchi, letto da Angela Greco

Il giardino dell'Eden di Marc Chagall

“Genesi della mia morte”, da Estetica dell’equilibrio (inedito) di Alfredo de Palchi, letto da Angela Greco – La sezione completa è rintracciabile sulla Rivista letteraria Internazionale L’Ombra delle Parolecliccando su questo link –

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Genesi della mia morte, tratta da Estetica dell’equilibrio, inediti di Alfredo de Palchi, è un susseguirsi in prosa poetica di avvenimenti che in sedici giorni (in apertura è riportata la data 1-16 novembre 2015, presumibilmente riferibile ai giorni in cui il poeta ha segnato su carta quanto oggi si legge) ripercorre, ma sarebbe meglio dire ripropone in una veste differente da quella conosciuta ed accettata, la genesi del genere umano e la stessa esperienza di vita di Alfredo de Palchi, classe 1926, veneto emigrato a Parigi e da qui, negli Stati Uniti nella metà del secolo scorso, dopo essere stato prosciolto dalle accuse che lo avevano portato in carcere ai tempi del secondo conflitto mondiale; “e ancora EUROPEO abito qui (negli States) come italiano residente in America e non come italo-americano” sono parole dello stesso de Palchi. Dell’intera vicenda poetica depalchiana, sempre in simbiosi con la biografia del poeta stesso, si sono occupati Luigi Fontanlla, Roberto Bertoldo, che ha curato il volume delle opere complete del poeta, e Giorgio Linguaglossa in diverse pagine della sua rivista telematica (a cui si rimanda la lettura per meglio conoscere ed approfondire la conoscenza con questo autore, così come pure si invita a leggere la pagina di critica, cliccando su questo link) e in un breve saggio preciso e non reverenziale, appena uscito on-line su L’ombra delle parole (11\9\’16), in cui, partendo proprio dagli inediti di Genesi della mia morte, il critico pone ai lettori la questione dell’autenticità in poesia e nello specifico in quella di Alfredo de Palchi, esaminando il percorso che dagli anni Sessanta ad oggi ha visto questa poesia sempre e comunque estranea alle correnti in auge in Italia, prima protagonista e successivamente grande esclusa della scena letteraria nazionale ed oggi nuovamente riconsiderata da coloro che hanno preso coscienza della nuova strada da intraprendere per dare una nuova direzione \ per uscire dall’epoca “della stagnazione” come lo stesso Linguaglossa definisce questo periodo in cui ci troviamo a vivere e a scrivere.

un Uomo in Vetri Rotti

La prosa poetica dei sedici “quadri” di Genesi della mia morte, si apre con una definizione priva di diplomazia e buonismo nei confronti dell’Uomo – chiamato dal poeta “antropoide” con un non celato rimando all’automatismo, alla meccanica, alla robotica, tutti elementi che mirano alla sottrazione di umanità – e snocciola paragrafo per paragrafo la vicenda umana dell’autore e del tempo che ha attraversato e lo ha attraversato, creando un meta-ambiente che non è più né l’uno (la vicenda umana) né l’altro (il tempo in cui accadono gli avvenimenti anche storici), ma è un nuovo mondo-luogo dove via via l’antropoide prende consapevolezza della sua natura, altamente dissimile e decisamente lontana dal destino religioso-utopistico-positivo in cui si finisce per credere, forse per retaggio o forse per apatia, e a cui è avviato l’uomo fin dalla nascita.

Genesi della mia morte è la partita a scacchi de “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman, un bianco e nero dato non già dall’assenza di mezzi cinematografici che contemplino il colore, ma come scelta estrema di assenza totale di orpelli, di blandizie, in favore di un momento privilegiato – il dialogo con la Morte – in cui non conta più tutto il superfluo di cui si è stati capaci fino a quel momento ultimo.

il_settimo_sigillo

In queste sedici brevi prose la narrazione procede dal luogo più vicino verso il più lontano, includendo in questa genesi se stesso e il genere umano tutto, la natura e lo stesso pianeta che l’uomo abita, e in esse l’autore si mantiene sempre all’esterno, sopra le parti, pur partecipando con passione del destino suo e non solo suo, e al contempo dicendo esattamente quello che pensa e prova dinnanzi alla realtà e al suo deterioramento. In un capovolgimento degno di chi ha fatto i conti anche col momento più duro e difficile della propria vita, il poeta dice che in fin dei conti il suo permanere ancora tra i viventi è stato solo una scelta della Morte stessa e, giunto ad un punto di non ritorno, addirittura suggerisce a questa signora mai nominata, ma riconoscibilissima, alcuni accorgimenti “per migliorare” la situazione ormai disperata in cui verte ancora anche egli stesso (forse pensando al futuro, partendo dalle condizioni attuali), come si legge nel “quadro”n.11: “Gentile Signora liberali tutti dal male della poesia liberandoli dal male di essere antropoidi. . .gestiscili (gli esseri umani) nella vanitas vanitatum omnia vanitas. . .”alfredo-de-palchi-legge

Inevitabilmente giunge il momento finale: il poeta ammette che la “razza sleale elettasi superiore al pianeta per imporsi ed esplodere terrore” non terminerà nonostante gli eventi traumatici naturali e non che di quando in quando decimano la specie, e, dopo una vita intensamente vissuta e dopo essere sopravvissuto a tutti i tranelli che la stessa gli ha teso, serenamente chiude questi inediti immaginando una “fine suggestiva”, come da lui stesso definita, consistente nell’ “assistere allo svuotarsi del pianeta” e nel fatto che la Morte stessa smetta di proteggerlo, liberandolo una volta per tutte da quello che lui definisce “male globale”. Ed una volta liberata la terra dall’uomo, ormai identificato nel male di grado più elevato, il pianeta potrà tornare, chiudendo quasi il mitico serpente che si morde la coda, ad essere quel Giardino dell’Eden da cui ebbe inizio la stessa vicenda umana.

(Angela Greco)

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Alfredo de Palchi, da ESTETICA DELL’EQUILIBRIO, estratti da Genesi della mia morte (inediti)

1-16 novembre 2015

1

È animale quantitativo autoqualitativo autorevole prepotente razzista astuto violento e da unico vile appartenente alla fauna spadroneggia su ogni specie. . . nell‘antico Latium l’antropoide legionario conquista e costruisce civiltà a ovest sud est nord. . .

pregiudizialmente assume che tu, fine di tutto, sia femmina perenne temibile di nome Mors Moarte Mort Muerte Morte. . .

 

9

con felicità intatta non temo l‘assidua protezione che mi sfiora a sbuffi lievissimi d’aria. . . che tu segua la mia positiva certezza indica che non dubiti del mio rispetto. . . mi accorgo che ti avvicini e io non fuggo poi che la mia esistenza si prolunga e la tua maniera protettiva si gratifica della mia gratitudine. . . chi ti teme e scongiura vive da defunto. . . non intuisce che sai che terrorizzato aspetta la convenienza polare. . .

 

11

Il pianeta sta affondandosi nell’abisso infinito per abbondanza di destinati a smorzare poesia della loro insufficienza. . .  superfluamente megalomani antropoidi masse di indistinti li onorano effigiati di eccelsa vanità. . . i rari eletti anch’essi brutali in sciame di vespe svolazza punzecchiando senza sgocciare miele. . . ognuno adatto alla fatica nei campi si convince a inventarsi barattiere bancario commesso al monte di pietà e di essere di troppo e mercenario partecipante all’inevitabile. . . Gentile Signora liberali tutti dal male della poesia liberandoli dal male di essere antropoidi. . . gestiscili nella vanitas vanitatum omnia vanitas. . .

 

16

periodi lunghi di pestilenze puliscono il globo di antropoidi inceneriti dalla fiamma che ti illumina sul pianeta. . . ma la fiamma non fa abortire la femmina del mostriciattolo che le gonfia a calci la pancia. . . moltitudini affamate e prepotenti non smettono di devastare inquinare e inaridire la terra. . . razza sleale elettasi superiore al pianeta per imporsi ed esplodere terrore. . . io non mi esimo benché manchi d’innati componenti terroristici. . . la mia fine suggestiva sarebbe di assistere allo svuotarsi del pianeta e sapere che tu smetti di proteggermi liberandomi per ultimo dal male globale. . .  e che il pianeta libero dal superno male della mia razza sia finalmente Giardino dell’Eden.

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immagini, dall’alto verso il basso: Il giardino dell’Eden di Marc Chagall ; Uomo e finestra rotta dal web; Il settimo sigillo di Ingmar Bergman;  Alfredo de Palchi; Adamo ed Eva, Lucas Cranach, dettaglio.

Beato Angelico, Annunciazione di Cortona a cura di Giorgio Chiantini – sassi d’arte

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Beato Angelico, Annunciazione, Museo Diocesano di Cortona (AR)

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L’artista – Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro nacque a Vicchio nel Mugello in provincia di Firenze nel 1395; frate domenicano, detto il Beato Angelico o Fra’ Angelico, fu effettivamente beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1982, anche se, già dopo la sua morte, era stato chiamato Beato Angelico sia per l’emozionante religiosità di tutte le sue opere, che per le sue personali doti di umanità e umiltà. Lavorò a Roma, ad Orvieto, ma soprattutto a Firenze (leggi qui), dove, nel convento di San Marco, tuttora si possono visitare le celle dei confratelli da lui affrescate con motivi religiosi tratti dal Nuovo Testamento. Morì a Roma il 18 febbraio 1455.

L’opera Entrando nel piccolo museo diocesano di Cortona, si ha immediatamente la sensazione di trovarsi dentro un piccolo forziere tra gemme preziose; qui sono conservati molti capolavori di artisti come Pietro Lorenzetti, Luca Signorelli, tra i più noti, insieme ai cartoni di una Via Crucis di Gino Severini oltre, appunto, all’opera del Beato Angelico, di cui tra questi righi voglio condividere l’emozione proprio del momento in cui mi sono trovato di fronte ad una delle più belle tavole della pittura italiana “L’Annunciazione del Beato Angelico” o cosiddetta “Annunciazione di Cortona”.

Una storia, quella dell’Annunciazione, tra le più rappresentate nella storia dell’arte, non solo italiana. Beato Angelico vi si cimentò più volte e la pala quadrata di Cortona, attualmente conservata nel locale Museo diocesano, è il primo grande capolavoro dell’artista toscano; databile con molta probabilità al 1430, è frutto di una commissione giunta al frate pittore da un mercante di tessuti.iw-beato-angelico-annunciazione-di-cortona-04-665x1010

Entrato nella sala che la ospita accanto ad altre bellissime opere, sono stato irresistibilmente attratto da questo dipinto. I colori brillanti e le zone dorate trattati con maestria introducono al plastico racconto in immagini catalizzando il visitatore e donandogli uno spettacolo unico. Sulla tavola dipinta si sta svolgendo un colloquio: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». Così l’arcangelo Gabriele si presenta a quella ragazza «umile e alta più che creatura», come la descrive Dante al termine del suo viaggio, nei versi del XXXIII canto del “Paradiso” e Maria risponde “sì” all’inatteso annuncio della sua maternità divina: «Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum» (Ecco la serva del Signore, mi accada secondo la tua parola).

Il sacro racconto è ambientato in un arioso loggiato rinascimentale, immerso in un giardino recintato, che simboleggia la purezza e la castità della Vergine Maria, che è seduta nel porticato; sullo sfondo si apre una parete con archi, sotto uno dei quali si trova l’apertura che dà accesso alle stanze interne, dove si vede il baldacchino appena scostato di un letto a cassone; il soffitto è coperto da uno squisito cielo stellato, mentre il pavimento è di marmo. Maria ascolta e risponde all’Arcangelo, provvidenzialmente rovesciando con il suo obbediente assenso l’antica disobbedienza di Adamo ed Eva, la cui cacciata dall’Eden è raffigurata nell’immagine piccola in alto a sinistra. Il dialogo fra l’Arcangelo e Maria, iscritto sulla tavola in lettere d’oro, è simile a un fumetto, con le parole che fluiscono dalle bocche dei protagonisti, dove le lettere pronunciate dall’Arcangelo procedono da sinistra verso destra, mentre quelle di Maria procedono in modo innaturale capovolte e leggibili da destra verso sinistra.iw-beato-angelico-annunciazione-di-cortona-05-665x1001

Oltre che con le parole, l’Arcangelo si esprime anche con gesti altamente eloquenti: con la destra indica la Vergine, fissandola, e con la sinistra indica il cielo e la colomba che raffigura lo Spirito Santo, intendendo il mittente del messaggio che reca; è vestito con una straordinaria veste rosa decorata da numerosi ricami d’oro e inserti di pietre preziose con tinte brillanti e delicate ed anche le ali sono trattate con finissime velature di luce e colore ad esaltarne il virtuoso brillio.

Maria è raffigurata come una ricca dama seduta su un trono coperto da un sontuoso drappo dorato, avvolta nel tradizionale mantello azzurro e con un libro appoggiato su un ginocchio, tipico richiamo alle Scritture; la Madonna, a differenza delle Annunciazioni trecentesche, non si ritrae, ma, anzi, sottomettendosi con un cenno di inchino e con le braccia incrociate al petto, accetta il suo incarico, come sottolinea anche la figura del profeta a monocromo che si sporge, con un cartiglio, dal medaglione sopra il capitello centrale, mentre sulla Vergine vola già la colomba dello Spirito Santo.

Nel giardino circostante si trovano una serie di piante disegnate con estrema precisione calligrafica, secondo l’attenzione ai dettagli minuti, tipica più del gotico internazionale che del Rinascimento. Tra le numerose specie si riconoscono alcune piante simboliche, come le rose bianche, simbolo di purezza, le rose rosse, simbolo della passione di Cristo, e la palma, albero che simboleggia la gloria dopo la morte e il martirio, poiché fiorisce solo dopo aver perso tutte le fronde ed essere, all’apparenza, morto.

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Con la pala si conserva anche la predella originale (foto qui sopra), posta alla base del dipinto, in larga parte ritenuta autografa del maestro. Vi sono raffigurate cinque scene della vita della Vergine e in corrispondenza dei pilastrini laterali della cornice, due scene della Leggenda di san Domenico (la prima e l’ultima nella foto qui sopra). Le scene delle storie di Maria in sequenza da sinistra a destra illustrano: Lo sposalizio della Vergine, la Visitazione, l’adorazione dei Magi, la presentazione di Gesù al tempio e la morte della Vergine (clicca sull’immagine per ingrandire).

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Il frate domenicano cercò di saldare i nuovi principi rinascimentali, come la costruzione prospettica e l’attenzione alla figura umana, con i vecchi valori medievali, quali la funzione didattica dell’arte e il valore mistico della luce che indicava, secondo le dottrine teologiche, la luce terrena come riflesso di quella divina, testimone dell’ordine e della razionalità del disegno di Dio, disegno che pervade interamente il racconto dell’opera.

Nota: Nel museo, al centro della stanza che accoglie il dipinto è posta una consolle interattiva consultabile dal visitatore; nella memoria di questo “tavolo da lavoro” sono immagazzinate le opere in mostra in modo che si possa accedere, in modo abbastanza intuitivo, alle immagini; queste possono essere ingrandite per osservare particolari che ad occhio nudo non potrebbero essere apprezzati, fornendo spiegazioni e curiosità molto esaustive delle opere. In una di queste ricerche ho appreso, ad esempio, come la parte dorata stesa sul dipinto mettesse in evidenza le pieghe degli abiti e come queste zone venissero trattate con uno strumento che evidenziava sulla superficie i ricami d’oro. (Giorgio Chiantini)

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– Immagini tratte dal sito Italian Ways, Le Vie della Bellezza –

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Quattro sassi con…autori contemporanei in 4 poesie: Pasquale Vitagliano

Quattro sassi con - Il sasso nello stagno di AnGre

Quattro sassi con…autori contemporanei in 4 poesie: Pasquale Vitagliano

ICONE

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Una volta o l’altra finirò sul bancone
Dei pezzi esposti della pesca mesta spesa
Scevro di qualsiasi spartito noce lacerto
Cappello coda o lingua una parte pura
E semplice di intero sezionato all’uso
Al massimo catalogato alla bisogna.
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Se proprio devo finire esposto a vista
Preferisco essere strenuo integro duro
Più indigeribile di una pietra inaccettabile
Scempio guasto stonato innervato più della più
Nera lingua di cuoio. No, non lo riempio
Il vostro stomaco delicato per quieto vivere.
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Resto qui fermo sul piano più scordato
Di un sasso che non ha bocca per parlare
E che comunque dice tutto.
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*
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Non è più rappresentabile
Questa tua opera orale
Non lo sono le lettere anonime
Se lasciate per terra da sole
Non lo sono le mani di latta
Perché non c’è più carne
Non lo è più la carne
Se viene esposta al centro
La carne è tutta uguale
In mostra dentro una cornice
Non c’è più icona senza carnefice.
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.
*
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Sono stanca di Marylin
Sono stanco di Marylin
Ti ricordi di Marylin?
Sono stanco di essere Michele
Sono stanco di essere Matteo
Ogni giorno in questo ruolo
Ogni giorno un ruolo diverso
Sono stanco di questo lavoro
Sono stanco di questi impegni
Nessuno conosce la vera Marylin
Nessuno conosce il vero Michele
Nessuno conosce il vero Matteo
Nessuno mi ha ancora scoperto
Sarei capace di conquistare il mondo
Sarei capace anch’io di vincere, di uccidere
Sarei capace di forare il video
Sarei capace di entrare in casa
Sono rimasto qua in questa stanza
Sono rimasto in mezzo ai miei abiti
Sono rimasto solo di fronte a questo poster
Di Marylin.
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*
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Sono Sylvia Plath
Sono suo marito
Sono il testimone
Di questo smarrimento
Sono il divano
Che ha visto tutto
Sono sul divano di casa mia
Siamo lo smembramento
Di tutti i giochi da tavolo
Siamo lo sgomento
Delle persone normali
Non esistono i diari
Su cui scrivere le nostre vite
Non esistono più le fotografie
Per ricordarci vivi e vegeti
Siamo perfettamente inseriti
Nei nostri ambienti abietti
I nostri mobili logori sono più orecchiabili
Dei nostri pensieri e delle nostre azioni
Sono la belva dentro l’astuccio
Sono il colosso di carta igienica
A qualcuno resta un lutto inaccettabile
A noi resta un tollerabilissimo
Dolore.
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poetPasquale Vitagliano. È nato a Lecce. Vive a Terlizzi (BA) e lavora nella Giustizia. Giornalista e critico letterario per riviste locali e nazionali. Ha scritto per Italialibri, Lapoesiaelospirito, Reb Stein, Nazione Indiana, Neobar, Nuovi Argomenti. Menzione speciale nel 2005 al Premio di Poesia Lorenzo Montano Città di Verona – Sezione Opera Inedita. Nel 2006 è tra i “Segnalati” nello stesso premio – Sezione Poesia Inedita. Sul settimanale Diva e donna ha scritto di cinema e letteratura per la rubrica Scandali e Passioni. Nel 2006 ha curato la sezione riservata a Italialibri dell’Antologia della Poesia Erotica (Atì editore). Ha pubblicato le raccolte Amnesie amniotiche (Lietocolle, 2009) e Il cibo senza nome (Lietocolle, 2011). Nel 2010 la silloge di poesie civili Europa è stata inserita nell’antologia Pugliamondo – un viaggio in versi, curata da Abele Longo (Edizioni Accademia di Terra d’Otranto Neobar). Nel 2011 ha partecipato alle opere collettive Impoetico mafioso – 100 poeti contro la mafia, curata da Gianmario Lucini (Edizioni CFR) e La versione di Giuseppe – poeti per Don Tonino Bello, curata da Abele Longo, (Edizioni Accademia di Terra d’Otranto). Nel 2012 la silloge Dieci Camei è stata inserita nell’antologia Retrobottega 2, curata da Gianmario Lucini (Edizioni CFR). Sempre nel 2012 è uscito il romanzo d’esordio, Volevamo essere statue (Sottovoce). E’ presente nell’antologia di racconti del  Dicò Erotique per Lite-edition, curata da Francesco Forlani su ispirazione del Dizionario di sessuologia pubblicato dal francese Jean-Jacques Pauvert. E’ tra i poeti antologizzati nello studio A Sud del Sud dei Santi. Sinopsie, Immagini e Forme della Puglia Poetica, a cura di Michelangelo Zizzi (Lietocolle, 2013). Nel 2013 è stato finalista nella XVI Edizione del Premio “Poesia di Strada” di Macerata. Sempre nel 2013 è uscita la silloge di poesie, Come i corpi le cose (Lietocolle). E’ tra gli autori che hanno curato l’opera critica La poesia nel secondo Novecento – Vol. 1 (Edizioni CFR, 2014). Collabora con le pagine culturali de La Città, quotidiano della Provincia di Teramo. Sulla rivista Incroci, diretta da Raffaele Nigro e Lino Angiuli, ha scritto di Diritto e Letteratura. Habeas corpus (Zona contemporanea, 2015) è la sua ultima raccolta poetica. Nel 2015 è tra i premiati nella sezione cultura e costume del Premio “Michele Campione” dell’Ordine dei Giornalisti della Puglia. Come critico ha partecipato all’Antologia Sotto il cielo più largo del mondo. Trenta poeti dauni, a cura di Canio Mancuso e Raffaele Niro, (I quaderni dell’Orsa, n. 14, Besa editrice, 2016). E’ tra gli autori del saggio critico La Memoria, a cura di Antonio Melillo e Giancarlo Micheli (Giuliano Ladolfi Editore, 2016). Per la rivista Carteggi Letterari sta curando la Mappatura dei poeti pugliesi del ‘900. — contatti: p.vitagliano@libero.it  

Ezra Pound, due poesie tradotte da Margherita Guidacci

Vento

Ezra Pound, due poesie tradotte da Margherita Guidacci

PROMETEO

E siamo noi le ferule percosse
e i portatori della fiamma.
Da tempo siamo morti e sempre in alto
saliamo, come faville di luce,
ogni cosa accendendo
contro cui va a cadere la nostra ombra.
.
Stanchi di ridiscendere, ma sempre spinti in alto,
fiamma, fiamma che sempre risorge,
verso la fiamma che è nel sole
sempre svellendo la nostra finestra
perché la vita è una sola
verso l’alto
e la fiamma ch’è nel sole.
.

§

INVERNO

Viene l’inverno terrestre.
Ed io, parte del tutto,
in cui passa l’universale spirito,
devo accettare l’inverno terrestre,
farmi gelido e grigio con le ore
e gioire di un sole momentaneo.
Son vizzo nell’attesa della mia primavera:
o mi rannicchio, bramando calore,
accanto a un fuoco sguarnito di legna
e ho un turbato piacere dai tomi di Longino
che, lo leggessi per la prima volta
nei boschi accesi di bagliori estivi
o nel vento amoroso di primavera,
per me sarebbe musica di sfere,
m’inciterebbe a errare tra calde rose
o adagiarmi in un nido d’erba sotto la dolce luna.
.

*

tratte da Margherita Guidacci, La voce dell’acqua – Quaderno di traduzioni, by Editrice C.R.T

Segnaliamo sul medesimo poeta anche il saggio di G.Linguaglossa: Ezra Pound e l’imagismo americano (clicca sul link).

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poundEzra Loomis Pound (1885-1972) fu uno dei più originali mediatori fra le culture americana ed europea; Eliot lo definì “il maggior responsabile della rivoluzione poetica del Novecento”. Nato negli Stati Uniti ad Haley (Idaho), figlio di un giudice, dopo gli studi all’università di Pennsylvania fece un viaggio in Spagna, Provenza e Italia. Al ritorno negli Stati Uniti insegnò in un college nell’Indiana, ma, disgustato dal puritanesimo americano, ritornò in Europa e si stabilì, dal 1914 al 1920, a Londra, dove si sposò e strinse legami intensi con il mondo letterario e artistico. Conobbe Yeats, Eliot (di cui riconobbe per primo la grandezza), Joyce e altri scrittori, fra i quali apprezzò soprattutto T.E. Hulme, che teorizzava il movimento imagista e lo convinse a usare una lingua viva e non più arcaica. Dopo un soggiorno a Parigi, dal 1925 visse a Rapallo. Con l’estendersi dei suoi interessi, dalla riscoperta di Cavalcanti allo sperimentalismo antifuturista, Pound divenne uno dei maggiori rappresentanti dell’imagismo e del vorticismo (movimento artistico e letterario sorto negli anni 1913-1914, che sosteneva la moderna tecnologia e il dinamismo della società industrializzata). Convinto che il culto del denaro, impersonificato nella mostruosa Usura, fosse alla base di ogni volgarità e di ogni male del mondo, assunse una confusa ideologia anticapitalista di ispirazione aristocratica, che lo portò su posizioni fasciste. Dal 1924 visse in Italia e durante la seconda guerra mondiale condusse trasmissioni alla radio di propaganda antiamericana e a favore del fascismo e del nazismo.
Terminato il secondo conflitto mondiale, fu fatto prigionero dall’esercito americano per aver appoggiato il regime fascista alla radio e venne internato in un campo di concentramento a Pisa, poi processato e condannato per tradimento. Per evitargli la pena capitale, gli fu riconosciuta l’infermità mentale e venne rinchiuso per tredici anni nell’ospedale psichiatrico St. Elizabeth di Washington. Dimesso grazie anche all’intercessione dei più autorevoli letterati del tempo, lo scrittore tornò in Italia e si stabilì presso la figlia a Merano, dove visse fino alla morte.
Dopo la pubblicazione della raccolta A lume spento (1908), stampata a Venezia a proprie spese, seguirono nel 1909 Personae ed Exultations. Nel 1910, a testimonianza del proprio interesse per la poesia medievale europea, pubblicò il saggio The spirit of romance (Lo spirito romanzo). Nel 1911 vide le stampe un’altra raccolta di poesie, Canzoni, che come le precedenti mostrava un linguaggio arcaicizzante. In Rispostes (1912) è evidente lo sforzo in direzione di una maggiore resa visiva e gli arcaismi sono meno frequenti. In Lustra (1916) appare l’influenza della poesia greca, latina e cinese: il linguaggio è conciso ed epigrammatico e vi si riconoscono i principi imagisti nelle immagini nette e nell’abolizione di ogni parola non finalizzata alla raffigurazione. Il verso è libero e il contenuto antiborghese. Nel 1920 pubblicò una delle sue opere fondamentali, Hugh Selwyn Mauberley, che nelle sue diciotto sequenze presentava una serie di personaggi-maschera, le personae. Dello stesso anno è una serie di studi raccolti in Investigations (Investigazioni); l’anno dopo apparvero Poems: 1918-21. Negli stessi anni di composizione della sua opera principale, Cantos (1917-70), Pound proseguiva la sua attività di saggista politico-economico e di critico (The ABC of reading, L’ABC della lettura, 1934; Make it new, Rinnova, 1934; Literary essays, Saggi letterari, raccolti da Eliot nel 1954) e di traduttore estremamente libero, ma acutissimo nel cogliere i valori poetici (Confucius, 1947; The classic anthology, Antologia classica, 1954; Translations, Traduzioni, 1954).
L’influsso orientale è presente nei Cantos, il grande poema epico, l’opera più complessa alla quale l’autore si dedicò quasi interamente dal 1917 al 1970. In origine destinati a toccare il numero dantesco di cento (come nella Commedia), i Cantos, basati sul principio omerico della discesa agli inferi e su quello ovidiano della metamorfosi, vogliono essere un compendio della storia e della civiltà contemporanee, spaziando da temi greci a temi provenzali, dal motivo americano a quello confuciano. Relativizzando il tempo, per cui tutte le esperienze sono contemporanee, e mescolando lingue e stili diversi (compresi gli ideogrammi cinesi), essi inseguono ­ in una panoramica storica, mitologica, letteraria e autobiografica frantumata e sconnessa ­ le incarnazioni del mostro dell’Usura, visto da Pound come il principio negativo che interrompe il flusso vitale. La progressione dei Cantos culmina anche poeticamente nei Pisan cantos (Canti pisani, 1948), ispirati alla prigionia e all’irruzione nella sua vita del dolore: una sorta d’inferno a cui seguono barlumi di paradiso, intravisto nella sezione Rock-Drill: 85-95 (1956), in Thrones, 96-109 (1959) e nei frammenti pubblicati nel 1970. (dal web)

Angela Greco, Siamo già in viaggio – inedito con commento

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“Siamo già in viaggio – dice il Maestro –
dal giorno del nostro primo incontro”
(lo sguardo segue l’orizzonte pallido del risveglio)

Della città da cui proveniamo rimangono soltanto
l’orologio con i numeri romani ed una casa di pietre.
Decidiamo di portarli con noi: l’uno appeso al collo
e l’altra a riempire le borse usate un tempo per la scuola.

L’orologio dice che non è ora, questa, di rimanere fermi
e le pietre una ad una si infilano a formare un sentiero.
I molti che guardano me e il Maestro, nudi, passare
su quella lastricata di precedenti parole illuse di essere poesia
ci additano, nuovi untori, cercando rifugio tra altre pagine.

“Maestro, dove siamo diretti?”
La risposta è il silenzio.

L’orizzonte coperto da nuvole,
la polvere e l’incomprensione scoraggiano.
Intrecciamo una danza, un’alleanza¹ – dico.
E riprendo a seguirlo.

§

La poesia ha risonanza, volume, è prosastica, come giustamente deve essere la poesia di oggi (non diciamo moderna, perché la parola è diventata un insulto)… È una poesia sulla crisi della poesia: il Maestro e l’allieva si allontanano dalla città delle parole vuote e si inoltrano verso l’ignoto delle parole pregne di senso. Sono in viaggio. Ma dove? La poesia non lo dice, e non lo potrebbe neanche dire, perché nessuno sa quel che il viaggio dirà loro. C’è un moto da… e un moto verso… E questo è esattamente il “viaggio” della crisi permanente che noi chiamiamo Stagnazione stilistica e spirituale.

Giorgio Linguaglossa

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¹ Giorgio Linguaglossa, Blumenbilder (Natura morta con fiori)

 

Maria Marchesi, tre poesie da L’occhio dell’ala

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Maria Marchesi, tre poesie da L’occhio dell’ala 

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Del mio inferno conservo le fallite
ribellioni, il riverbero dell’impotenza,
le successioni di ore che parevano secoli
e creavano montagne cupe labirinti anemici.
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Quale veramente il motivo
per cui sono finita in manicomio?
Quante ipotesi! Io ricordo che i tramonti
mi portavano carrettate di carogne
e non sapevo che farne, così danzavo nuda
sul terrazzo per morire a mezzanotte
nelle braccia d’un cameriere che portava
cognac francese. Bevevo a garganella,
rubavo qualche stella, facevo all’amore
come un treno, dalle fogne
arrivavano gridi senz’ardore.
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So che il dolore in parole è appena
un venticello di stracci, murene nell’acquario.
Ma io sono stata morta per troppi anni e adesso
sono oltre le velleità del dolore e oltre la comprensione
che sillabe su sillabe possano dare.
Il mio scrivere è soltanto un buio errare
tra funeste stazioni diroccate, tra binari spenti
che tracciano disegni angusti, stenti
ricoveri di stelle cadute nelle pozzanghere.
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Maria Marchesi (nessuna data di nascita è riportata a riguardo, come nessuna fotografia è rintracciabile con precisione in rete n.d.r.) è nata nel Veneto da madre lombarda e padre friulano. Si è laureata in Lettere Classiche, con una tesi su Lucrezio, e ha lavorato per un breve periodo nella scuola insegnando greco e latino. Ha sofferto per lunghi anni di gravi disturbi alla psiche relegata in una casa di cura da cui è uscita dopo la legge Basaglia. Ha pubblicato con Lepisma: L’occhio dell’ala  (2003), Premio Viareggio 2004, e Evitare il contatto con la luce (2005).
– immagine: opera fotografica di Mira Nedyalkova –

Gian Lorenzo Bernini e gli angeli della Passione – sassi di arte

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L’ultima grande impresa di Gian Lorenzo Bernini fu l’ideazione, su commissione di papa Clemente IX Rospigliosi, della teoria degli Angeli con i simboli della Passione che, su ponte Sant’Angelo,  compongono come un “iter” penitenziale, secondo un “concetto” neo-mistico, che riesumava un tema medievale comparso lungo le vie dei grandi pellegrinaggi – al pari  delle “Stazioni della Via Crucis” – qui è risolto nella spettacolarità di una visione trascendentale.

Bernini scolpì le figure dell’Angelo che regge la corona di spine e dell’Angelo recante il cartiglio INRI (1668-71) che, ritenute dal papa troppo belle per poter essere esposte alle intemperie,  vennero collocate altrove (come si legge in seguito). Lo scultore rifece, quindi, con l’aiuto dei suoi aiuti le due statue che ancora oggi sono esposte su Ponte S. Angelo al posto delle originali, consegnando ai suoi “giovani” i disegni ed i bozzetti per le altre statue. (da Artedossier n. 57 Bernini)

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 Sant’Andrea delle Fratte e gli angeli del Bernini

Ai lati dell’Altare maggiore sono collocate due grandi statue marmoree di angeli recanti strumenti e simboli della Passione di Nostro Signore: di statura superiore alla normale, sono le statue originali che l’artista scolpì, settantenne, per la decorazione di Ponte Sant’Angelo su commissione del Pontefice Clemente IX. Esse facevano parte dei dieci angeli che il Bernini disegnò per il ponte e solo queste due furono eseguite materialmente da lui, mentre l’esecuzione delle altre fu affidata ai suoi allievi. Parve non opportuno al Pontefice che questi capolavori rimanessero esposti alle ingiurie del tempo, tanto da lasciarli nello studio dell’artista (sul luogo ancora oggi una targa ricorda la casa che fu di Gian Lorenzo Bernini) a disposizione del nipote, il cardinale Jacopo Rospigliosi. I due angeli divenuti dunque proprietà degli eredi fino al 1731, vennero proprio in quell’anno offerti con pia liberalità dal signor Prospero Bernini, nipote di Gian Lorenzo, alla vicina chiesa di S.Andrea delle Fratte.

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l’insieme delle statue ideato da Bernini per il Ponte di Castel Sant’Angelo a Roma

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a cura di Giorgio Chiantini & Angela Greco

Sassi sonori, rubrica di musica: At Carnegie Hall, a cura di Giorgio Chiantini

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Thelonius Monk Quartet with John Coltrane
At Carnegie Hall (1957)

I Sassi sonori questa settimana suonano Jazz con un disco che rappresenta una pietra miliare della sua storia e che vede, come attori principali, due grandissimi: Thelonious Monk e John Coltrane che insieme – nel 1957 – alla Carnagie Hall, collaborarono dal vivo in questa eccezionale incisione.

Tra i sassofonisti che hanno suonato con Monk, solo pochi sono riusciti ad assorbirne la poetica, così distante per le sue stravaganze fatte di pause, dissonanze, armonie labirintiche e melodie dolci, ma allo stesso tempo spigolose. La verità è che, suonare la musica di quello strano pianista di New York era cosa, anche per quelli tecnicamente più preparati, veramente ardua. Tra questi Coltrane non fu certamente quello che spiccò di più, probabilmente anche per la breve collaborazione fra i due – più o meno sei mesi – grazie alla quale Coltrane riuscì, però, a trovare quella maturità musicale, che proprio in quei pochi mesi subì una forte accelerazione, concretizzandosi in quei liberi ed energici tessuti di suono che presero poi il nome di “sheet of sound”.

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clicca sull’immagine per ingrandirla

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Con una registrazione ottima questo interessante documento, si pone all’attenzione dell’ascoltatore innanzi tutto come pagina storica che, oltre ad affascinare, coinvolgere e contribuire all’esaltazione della musica di Monk, restituisce il legittimo valore ad una collaborazione breve ma straordinaria, in cui due diverse strade si incrociano brevemente nel percorso di inesausta ricerca della propria arte. Registrato il 29 novembre 1957 in un concerto di beneficenza per il Morningside Community Center, il disco trasmette inalterata nel tempo tutta l’emozione dell’esordio.

Buon ascolto, dunque. [Giorgio Chiantini]

Flavio Almerighi, due poesie

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Edward Hopper, Office in a Small City, 1953

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sulla buona sorte

 

Viene momento in cui

pioggia e neve si incontrano

sugli stessi rami,

precipitando unite dal destino

lasciano gemme

gonfie di passione,

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fiori aperti daranno

polpa rossa, teste insanguinate

a soldati mai domi.

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Verrà il momento di riflettere

sulla buona sorte,

dopo le cicale

una mano di foglie rosse

coprirà trincee

rimaste senza nemico

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inghiottite nei boschi

e dalla storia

niente scena nessun delitto.

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Silenzio di nebbia

tornerà la neve sui rami,

tutto comincerà di nuovo.

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l’estremo untore

 

Sono padre in crisi di mezzo

ed espedienti sulle prossime sillabe,

arriverà l’estremo untore,

dovrò disattivare i congiuntivi

rinnovare il catalogo dei raggiri.

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Sono padre senza padre,

di lui mi vergognavo.

Va bene disse, quando seppe

riattaccando tornai a casa

e licenziai il primo amore.

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Ogni giorno convinto

di accarezzare il fondo,

parabola di pesci senza pani,

una pressione più forte

mi persuade del contrario.

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Non lo sa? Le cose cambiano

bisogna pensare positivo.

damerini in camicia cravatta

e trent’anni di meno,

vogliono insegnarmi

come si fa a stare al mondo

e io a loro la crisi di mezzo.

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Flavio Almerighi

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Nato a Faenza il 21 gennaio 1959, Flavio Almerighi ha all’attivo raccolte di poesia, quali: Allegro Improvviso (Ibiskos 1999), Vie di Fuga (Aletti, 2002), Amori al tempo del Nasdaq (2003), Coscienze di mulini a vento (Gabrieli 2007), durante il dopocristo (Tempo al Libro 2008), qui è Lontano (Tempo al Libro, 2010), Voce dei miei occhi (Fermenti, 2011) Procellaria (Fermenti, 2013). Alcuni suoi lavori sono stati pubblicati da varie riviste di cultura/letteratura (Foglio Clandestino, Prospektiva, Tratti).