Due poesie di Vittorio Bodini

9~Leuca - Faro di Punta Palascia

Due poesie di Vittorio Bodini

*

Con questo nome

Amore, cosa chiamo con questo nome
io non sono più certo di sapere.
Se ricerco nel fondo ove s’immerse
il tuo quieto naufragio,
fra i denti degli squali, di quelle sabbie gelosi,
presto riemerge il mio pensiero nudo
al visibile giorno,
con le braccia ferite e qualche filo
d’alga sul corpo, o i ciechi segni d’una medusa.

Ma a sera, se col passo delle fiere
che convengono caute presso lo stagno,
fra gli azzurri veleni che mesce il cielo,
in me come a tremante vetro s’affacciano
le antiche colpe, o errori, o la presente
solitudine, oh allora, come sei
tu stranamente viva sulle mie labbra,
e che stupiti altari la mia voce
odono che si scolpa nelle tenebre
a mia insaputa: O amore, tu sapessi…

~

Tutto un paese sorge contro un uomo

Tutto un paese sorge contro un uomo
condannato al coraggio:
le torri aragonesi a rombo sulla scogliera
e le case alte un palmo
(e doverti pregare di sorridere!),
come il cucito su cui cade a picco
il profilo severo delle cucitrici
in una poca luce d’oleandri.
Mi sarebbe costato meno uccidere,
in quest’inefficace lume di luna
schiacciata ai poli e preda di vapori
d’un rissoso occidente,
che dover dire: «un uomo come me »,
e sentire lo spazio per tutti e quattro i costati
torcersi come rame bianco, e le stoppie bruciare
in fumo senza vampe.
Le cose si feriscono anche senza di noi.
Che cos’ha questo viso? Io non avrei dovuto
uscire così illeso dai miei naufragi e segnare
nuovi fatti insensati sul bilancio del vivere,
eppure il tempo non si vendica, serba una traccia
dell’antica fierezza che morì
nelle disabitate tombe sparse
fra questi scogli che corrode il mare
e lo zolfo di sommersi vulcani.
È lì che vaga la notte la tua anima
di uomo come me, di me che credo
in quegli avi sepolti per tanti secoli
con un profilo come il mio
con cui guidavano
il corso delle navi e dei cavalli
e amavano pazienti donne dagli occhi d’uva.
Come si dibatte l’omuncolo nell’intrico del sangue
di quell’offesa somiglianza – e intanto perde terreno!
Vedilo dunque saltare, saltare infinitamente
fra queste tombe greche
accecate di terra, in riva al mare,
sparire nelle grotte, ricomparire
col viso tumefatto dal dolciastro egoismo
d’essere ancora vivo senza pietà.

in apertura: faro di Punta Palascia, Otranto (LE)

Vittorio Bodini, due poesie

9~Leuca - Faro di Punta Palascia

Vittorio Bodini, versi da La Luna dei Borboni e altre poesie (1945-1961)

*

FOGLIE DI TABACCO (1945-1947)

Sulle pianure del Sud non passa un sogno.
Sostantivi e le capre senza musica,
con un segno di croce sulla schiena,
o un cerchio,
quivi accampati aspettano un’altra vita.
Tutto è evidenza e quiete, e si vedrebbe
anche un pensiero, un verbo,
con il bigio sgomento d’una talpa
correre tra due pietre.

La pianura mirare a perdita d’occhi,
senza case, senz’alberi, senza una lettera:
livello di un’assenza a cui sole si sporgono
capre o spettri di capre morte da secoli,
che brucano le amare giade dell’insonnia,
l’acciaio senza luce d’antiche spade,
quando popoli amari si scontravano
e di sangue tingevano i cieli della preistoria.

Così, se qualche giorno dal sottosuolo
un riso magro scatenato nel vento
di scirocco si stira,
ciò che all’imperturbato cielo e ai corvi
scopre la vanga
sono le dentature di cavalli
uccisi che si rammentano
che dolce festa faceva
quand’era vivo il sangue sulla pianura.

~

LA LUNA DEI BORBONI (1950-1951)

Piano si staccano
i tocchi
da un orologio e nuotano
fra pioggia, vento e vetri di finestre.
Le terrazze tamburellano
come teli da tenda
e il grido dei fanciulli:«Aea!» si perde
nelle vie
come pei corridoi
d’un castello assediato.
Inverno assediatore
vecchiaia dell’anno,
mette angoscia nei sensi,
chiude il domani.

Ma lasciamo un momento questa città.
Andiamo nel sonno,
andiamo a vedere che succede.

*

in apertura: Faro di Punta Palascìa, Otranto (LE)

Vittorio Bodini, due poesie

9~Leuca - Faro di Punta Palascia

Vittorio Bodini nasce il 6 gennaio del 1914 a Bari da genitori leccesi, che prestissimo si trasferiscono a Lecce con lui. A diciotto anni fonda un gruppo futurista e nel 1937 si iscrive alla Facoltà di Filosofia di Firenze, dove si laurea nel 1940; tornato a Lecce, con Oreste Macrì cura le pagine di alcune riviste e pubblica le prime poesie. Nel 1946 si trasferisce in Spagna come lettore d’italiano e poi antiquario e nel 1950 rientra a Lecce, dove dopo due anni riceve la cattedra di Letteratura Spagnola presso l’Università di Bari. Continua ad avere rapporti stabili con il Salento, anche se negli ultimi dieci anni si è trasferito a Roma, dove muore il 19 dicembre 1970. È autore di pochi, ma preziosi libri di poesia: La luna dei Borboni (1952), Dopo la luna (1956), Metamor (1967) e Poesie (1972, postuma).

*

Cade a pezzi a quest’ora sulle terre del Sud
un tramonto da bestia macellata.
L’aria è piena di sangue,
e gli ulivi, e le foglie del tabacco,
e ancora non s’accende un lume.

Un bisbigliare fitto, di mille voci,
s’ode lontano dai vicini cortili:
tutto il paese vuole far sapere
che vive ancora
nell’ombra in cui rientra decapitato
un carrettiere dalle cave. Il buio,
com’è lungo nel Sud! Tardi s’accendono
le luci delle case e dei fanali.

Le bambine negli orti
ad ogni grido aggiungono una foglia
alla luna e al basilico.

da La luna dei Borboni e altre poesie (1945 – 61)

~

Tutto un paese sorge contro un uomo
condannato al coraggio:
le torri aragonesi a rombo sulla scogliera
e le case alte un palmo
(e doverti pregare di sorridere!),
come il cucito su cui cade a picco
il profilo severo delle cucitrici
in una poca luce d’oleandri.
Mi sarebbe costato meno uccidere,
in quest’inefficace lume di luna
schiacciata ai poli e preda di vapori
d’un rissoso occidente,
che dover dire: «un uomo come me »,
e sentire lo spazio per tutti e quattro i costati
torcersi come rame bianco, e le stoppie bruciare
in fumo senza vampe.
Le cose si feriscono anche senza di noi.
Che cos’ha questo viso? Io non avrei dovuto
uscire così illeso dai miei naufragi e segnare
nuovi fatti insensati sul bilancio del vivere,
eppure il tempo non si vendica, serba una traccia
dell’antica fierezza che morì
nelle disabitate tombe sparse
fra questi scogli che corrode il mare
e lo zolfo di sommersi vulcani.
È lì che vaga la notte la tua anima
di uomo come me, di me che credo
in quegli avi sepolti per tanti secoli
con un profilo come il mio
con cui guidavano
il corso delle navi e dei cavalli
e amavano pazienti donne dagli occhi d’uva.
Come si dibatte l’omuncolo nell’intrico del sangue
di quell’offesa somiglianza – e intanto perde terreno!
Vedilo dunque saltare, saltare infinitamente
fra queste tombe greche
accecate di terra, in riva al mare,
sparire nelle grotte, ricomparire
col viso tumefatto dal dolciastro egoismo
d’essere ancora vivo senza pietà.

da “Dopo la luna” 1952-1955

*

in apertura: Faro di Punta Palascìa, Otranto (LE)

Vittorio Bodini, Dov’è l’uomo? Chi arriva

faux

Vittorio Bodini (Bari, 1914 – Roma, 1970) è stato un poeta e traduttore italiano, uno dei maggiori interpreti e traduttori italiani della letteratura spagnola. I suoi studi e le sue traduzioni sono ancora oggi da alcuni reputati veri e propri modelli.

🕊

Dov’è l’uomo? Chi arriva

Dov’è l’uomo? Chi arriva
fino al suo grido
dove non ha più fronte ma targhe d’ ottone?
Empio di sonno, vago nel mio sangue,
cascate azzurre piovono
sull’azzurro guanciale
e chi ho perso è il compagno mio: non è
più ai piedi del mio letto, dacché
talpa pensosa dei destini civici,
perso nei manifesti,
nella civica azione,
spio corridoi che portano
sempre più dentro, più attorti
nei visceri dei Pubblici Enti
divoratori di verbali, con lingue
penzolanti di tori squartati
e a testa in giù,
ed ogni scavo non è verso il varco,
non alla libertà la galleria
del mio sonno, di industre talpa e decoro
in cui si mura ogni gesto
d’amore del poeta ai suoi simili, e intanto
s’allontana il mio sosia, il compagno mio,
non come lo scudiero giovinetto che andava a corte
e aveva tanto sonno che dormiva a cavallo,
ma da un viottolo scuro, guardandosi
fra cocci di bottiglie e verdure selvatiche,
la punta delle scarpe nere,
una dopo l’altra.
C’è così poco sole quanto basta
perché ne brilli il manubrio della bicicletta,
ma nulla vede,
né i cardi del cielo,
né la chiocciola dura
abbarbicata agli sterpi;
oltrepassa capre, orme incise
di cavalli nelle piogge disseccate,
e il vecchio uomo seduto sul muricciolo,
con occhiali e bastone,
e il capo
sul taccuino di massime trascritte,
in compendio finale sotto un tenue
cielo di maiolica triste, ma non può vedere
nulla il compagno mio perché i suoi occhi
non gli servono a nulla senza di me.
Così valiamo poco, l’uno senza dell’altro,
e il lamento dell’uomo a cui muovemmo
s’abbarbica ai suoi fili e ci si fa nemico.

*

versi da “Dopo la luna (1952 – 1955)” in Tutte le poesie a cura di Oreste Macrì, Besa 2010 — In apertura, opera di Salvador Dalì.

Attraversando la poesia di Vittorio Bodini

Viviamo in un incantesimo,
tra palazzi di tufo,
in una grande pianura.
Sulle rive del nulla
mostriamo le caverne di noi stessi
– qualche palmizio, un santo
lordo di sangue nei tramonti, un libro
lento, di pochi fatti che rileggiamo
più volte, nell’attesa che ci dia
tutte assieme la vita
le cose che crediamo di meritare.

[11, Foglie di tabacco (1945-47) da La luna dei Borboni e altre poesie]

*

Daccapo?

Alle radici dei gesti
dove amare significa
imbeccare risposte a un passero giallo
chi ti cercò con l’anima
non ti trovò che con gli occhi.
O forse nei mattini senza specchi
ringrazieremo la morte dei suoi cortesi anticipi?
Le pallide avanguardie desiderose di scandalo
avanzano anch’esse verso il loro Acheronte.
O, soccorreteci, aiuto, bianca poesia!
Aiutatemi voi, bianco foglio di carta,
a dire ciò che non so.

(1964, da Metamor)

*

Locomotive dormienti

Alba.

Nel dormitorio i vetri
del finestrone sudano
sguardi lividi
che disegnano
su fondo buio
con confusione di prospettive
sagome incerte
ed anime d’acciaio
dormienti. Sono
le Guerriere dello Spazio.
I fianchi neri
delle esotiche amazzoni
sono iridati
da riflessi violacei,
preziosi.
Brivida l’aria
un fresco strano odore
di nude verginità
ed ironie metalliche.

[da Appendice, I. Poesie futuriste (1932-33)]

 

* * *

Vittorio Bodini, Tutte le poesie, edizione Besa 2010 – nota: La luna dei Borboni e altre poesie (1945-1961) e Metamor (1962-1966) fanno parte delle “Raccolte edite in vita”, secondo la distinzione operata in questo testo, l’unico che comprenda l’intera opera poetica bodiniana.

AA.VV. paesaggio, paesaggi

Federico Garcia Lorca, Paesaggio (Paisaje).

Il campo
di ulivi
si apre e si chiude
come un ventaglio.
Sopra l’uliveto
c’è un cielo inabissato
e una pioggia scura
di stelle fredde.
Tremano giunco e penombra
sulla riva del fiume.
Si arriccia il vento grigio.
Gli ulivi
sono carichi
di grida.
Uno stormo
di uccelli prigionieri,
che muovono le loro lunghissime
code nell’ombra.

*

Umberto Saba, Città vecchia

Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.
.
Qui tra la gente che viene che va
dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.
.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s’agita in esse, come in me, il Signore.
.
Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.

*

Giuseppe Ungaretti, Porto sepolto

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato

*

Vittorio Sereni, La spiaggia

Sono andati via tutti –
blaterava la voce dentro il ricevitore.
E poi, saputa: – Non torneranno più -.

Ma oggi
su questo tratto di spiaggia mai prima visitato
quelle toppe solari… Segnali
di loro che partiti non erano affatto?
E zitti quelli al tuo voltarti, come niente fosse.

I morti non è quel che di giorno
in giorno va sprecato, ma quelle
toppe di inesistenza, calce o cenere
pronte a farsi movimento e luce.
Non
dubitare, – m’investe della sua forza il mare-
parleranno.

*

Vittorio Bodini, [Viviamo in un incantesimo]

Viviamo in un incantesimo,
tra palazzi di tufo,
in una grande pianura.
Sulle rive del nulla
mostriamo le caverne di noi stessi
– qualche palmizio, un santo
lordo di sangue nei tramonti, un libro
lento, di pochi fatti, che rileggiamo
più volte, nell’attesa che ci dia
tutte assieme la vita
le cose che crediamo di meritare.

(testi tratti dal web – immagine d’apertura: affresco della romana Villa di Livia)

Finisterre – Finibus terrae, versi di Sylvia Plath e Vittorio Bodini

Finisterre, di Sylvia Plath (Boston, 27 ottobre 1932 – Londra, 11 febbraio 1963)

Qui finiva la terra: le estreme dita,
nocchiute e reumatiche, rattrappite sul nulla.
Ammonitori neri dirupi,
e il mare che esplode senza fondo,
o alcunché d’altro al di là, bianco di visi d’annegati.
Adesso è soltanto tetro, un ammasso di rocce –
soldati sbandati di vecchie, confuse guerre.
Il mare gli cannoneggia gli orecchi, ma loro non mollano.
Altre rocce nascondono i loro rancori sott’acqua.

Il precipizio ha un orlo di stelle, trifogli e campanule
ricamate si direbbe da dita, prossime a morte,
piccole al punto che quasi sfuggono alle brume.
Le brume sono parte dell’antico armamentario –
anime, rotolate nel cupo lamento del mare.
Cancellano le rocce, poi le rifanno alla luce.
Salgono senza speranza, come sospiri.
Ci passo in mezzo, mi riempiono la bocca di cotone.
E quando me ne libero sono imperlata di lacrime.

Nostra Signora dei Naufraghi va verso l’orizzonte,
le sue vesti di marmo sventolanti all’indietro come ali.
Assorto a lei s’inginocchia un marinaio di marmo
a cui s’inginocchia la donna vestita di nero
pregando al monumento del marinaio che prega.
Nostra Signora dei Naufraghi è tre volte il naturale,
e dolci le sue labbra di celestialità.
Non sente quel che dicono il marinaio o la donna –
è tutta presa dalla bella informità del mare.

Nastri color gabbiano svolazzano alla brezza
accanto ai chioschi di cartoline illustrate.
I contadini li ancorano a conchiglie.
“Comprate” dicono: “I bei gioielli che il mare nasconde,
piccoli gusci che fanno bamboline e collane.
Non vengono dalla Baia dei Morti laggiù,
ma da un altro posto, azzurro e tropicale,
dove non siamo mai stati.
Comprate le nostre frittelle, mangiatele ancora calde”.

 

*

Finibus terrae, di Vittorio Bodini (Bari, 6 gennaio 1914 – Roma, 19 dicembre 1970)

Vorrei essere fieno sul finire del giorno
portato alla deriva
fra campi di tabacco e ulivi, su un carro
che arriva in un paese dopo il tramonto
In un’aria di gomma scura.
Angeli pterodattili sorvolano
quello stretto cunicolo in cui il giorno
vacilla: è un’ora
che è peggio solo morire, e sola luce
è accesa in piazza una sala da barba.
Il fanale d’un camion,
scopa d’apocalisse, va scoprendo
crolli di donne in fuga
nel vano delle porte e tornerà
il bianco per un attimo a brillare
della calce, regina arsa e concreta
di questi umili luoghi dove termini,
meschinamente, Italia, in poca rissa
d’acque ai piedi d’un faro.
E’ qui che i salentini dopo morti
fanno ritorno
col cappello in testa.

(dal web – immagine d’apertura: Leuca (LE), Faro di Punta Palascia)

 

 

E tu, dove vivi?

Buenos Aires di Jorge Luis Borges

E adesso la città quasi è una mappa
di tanti fallimenti e umiliazioni;
da questa porta ho ammirato i tramonti,
davanti a questo marmo ho atteso invano.
Qui l’indistinto ieri e l’oggi nitido
mi hanno elargito gli ordinari casi
d’ogni destino; qui i miei passi intessono
il loro labirinto incalcolabile.
Qui l’imbrunire di cenere aspetta
il frutto che gli deve la mattina;
qui l’ombra mia si perderà, leggera,
nella non meno vana ombra finale.
Ci unisce la paura, non l’amore;
sarà per questo che io l’amo così tanto.

*

Paese di Leonardo Sinisgalli

Noi percorremmo tutto il paese nell’ora
che tornano gli asini col carico di legna
dalla cime profumate della Serra.
Raspavano le orecchie pelose contro le grezze
muraglie delle case, e tinniva, attaccata al collo,
la campanella della capretta che il vecchio
trascina al buio come un cane. Qualcuno
ci disse buona notte seduto davanti alla porta.
Le strade sono così strette e gli arredi
stanno così addossati alle soglie che noi
sentimmo friggere, al nascere della luna,
i peperoni calati nell’olio.

Tu eri molto colpita dal colore delle montagne.
“Foreste sono state sotto il mare per millenni”.
“Quaggiù anche i sassi sembrano vizzi,
anche le foglie hanno qualcosa di frusto”.
Uscivano dagli usci le donne coi tizzi accesi.
“Nei nostri paesi il sole cade a precipizio,
la notte è nei rintocchi della campana di mezzogiorno”.

I cavalli tossivano di ritorno dall’abbeverata,
i cani s’infilavano tra le porte:
noi eravamo soli a pestare la cenere dell’aria.
“Pare che tutta la gente a quest’ora
torni a dormire sottoterra e poi risusciti
ogni giorno alla vita”. La strada era senza
rumori, come di cenci, scolorita.
Da una casa serrata il caprone della tribù
starnutiva dentro il letto di Margherita.

“Entriamo in casa dei nonni dove mia zia
e mio zio hanno sempre una buona cosa
conservata per me”. Ci sediamo in cucina e guardiamo
l’incantevole famiglia delle chiavi appese al muro:

la piccola chiave dell’orto, la chiave gigantesca
della cantina che ha più di cent’anni. “Mio nonno
sapeva col fischio delle chiavi quietare
il pianto dei nipoti”. Ecco la chiave argentea
della conigliera, e le lucerne, i lumi, i lucignoli,
ingranditi sui muri guardo i profili
dei miei parenti e le immense ombre
delle mosche che strisciano come topi sulle pareti
“Cosima Diesbach, mia nonna, aveva girato il mondo”
“I miei avi hanno forse conosciuto l’Atlantide”.

Domenico passa di sera a chiudere le chiese,
a sprangare il cancello dei morti.
“Raccontavano a noi ragazzi
ch’egli parlava con la civetta, sui tetti, lassù.
Ha le orecchie mangiate, il campanaro,
ha il sonno duro. Per vestire i defunti
(non c’è nessuno più abile di lui)
bisognava chiamarlo lunghe ore
nel cuore della notte e fischiare forte
nelle chiavi”. Domenico è lì che strofina
uno zolfanello ai pantaloni, fuma la pipa
assorto sulla ripa del valico
dove una lontana sera vidi poggiare
la bara del Cristo morto, alla ringhiera.

Giù nella valle Crescenzio aizza la mula
zoppa. “Io ho buttato le redini sulla groppa”.

*

Città vecchia di Umberto Saba

Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.

Qui tra la gente che viene che va
dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.

Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s’agita in esse, come in me, il Signore.

Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.

*

da Foglie di tabacco di Vittorio Bodini

Viviamo in un incantesimo,
tra palazzi di tufo,
in una grande pianura.
Sulle rive del nulla
mostriamo le caverne di noi stessi
– qualche palmizio, un santo
lordo di sangue nei tramonti, un libro
lento, di pochi fatti che rileggiamo
più volte, nell’attesa che ci dia
tutte assieme la vita
le cose che crediamo di meritare.
.

*

La città di Pablo Neruda

E quando in Palazzo Vecchio, bello
come un’agave di pietra, salii i
gradini consunti, attraversai le antiche
stanze, e uscì a ricevermi un operaio,
capo della città, del vecchio fiume,
delle case tagliate come in pietra di
luna, io non me ne sorpresi: la maestà
del popolo governava.
E guardai dietro la sua bocca i fili
abbaglianti della tappezzeria, la
pittura che da queste strade contorte
venne a mostrare il fior della bellezza
a tutte le strade del mondo.
La cascata infinita che il magro
poeta di Firenze lasciò in perpetua
caduta senza che possa morire,
perché di rosso fuoco e acqua verde
son fatte le sue sillabe.
Tutto dietro la sua testa operaia io
indovinai.
Però non era, dietro di lui, l’aureola
del passato il suo splendore: era la
semplicità del presente.
Come un uomo, dal telaio all’aratro,
dalla fabbrica oscura, salì i gradini col
suo popolo e nel Vecchio Palazzo,
senza seta e senza spada, il popolo,
lo stesso che attraversò con me il
freddo delle cordigliere andine era lì.
D’un tratto, dietro la sua testa, vidi la
neve, i grandi alberi che sull’altura si
unirono e qui, di nuovo sulla terra, mi
riceveva con un sorriso e mi dava la
mano, la stessa che mi mostro il
cammino laggiù lontano nelle
ferruginose cordigliere ostili che io
vinsi.
E qui non era la pietra convertita in
miracolo, convertita alla luce
generatrice, né il benefico azzurro
della pittura, né tutte le voci del fiume
quelli che mi diedero la cittadinanza
della vecchia città di pietra e
argento, ma un operaio, un uomo,
come tutti gli uomini.
Per questo credo ogni notte del
giorno, e quando ho sete credo
nell’acqua, perché credo nell’uomo.
Credo che stiamo salendo l’ultimo
gradino.
Da lì vedremo la verità ripartita, la
semplicità instaurata sulla terra, il
pane e il vino per tutti.
.
(dal web – in apertura, opera di P.Gonzales; in chiusura, U.Boccioni, Visioni simultanee)

Tutto il paese vuole far sapere che vive ancora

Un bisbigliare fitto, di mille voci,
s’ode lontano dai vicini cortili:
tutto il paese vuole far sapere
che vive ancora

(Vittorio Bodini)

Grazie per la sensibilità. Dovere delle Arti è anche quello di salvare la Terra e l’Uomo. Informatevi e per cortesia condividete. Tanti, troppi cittadini italiani NON sanno cosa sta succedendo in quella che per altri motivi rivendicano come casa propria…Qui nel Salento lo Stato ha autorizzato una multinazionale a rubare terra e libertà. Nessuno è escluso. Salento siamo tutti quelli che credono in qualcosa di più per il proprio domani e per il domani dei propri figli. Informatevi! Girare la testa non salverà nessuno.

Portiamo subito all’attenzione il fatto più inquietante e che da solo basterebbe a fare indignare e quindi reagire chiunque abbia una memoria storica e, magari, anche quel qualcos’altro ormai del tutto assente in una umanità che è stata addomesticata al male, abituata-avvelenata a piccole dose continue e, così sedata, resa schiava, tanto da reputare ormai normale quello che normale non è: 2 KM DI MURO E FILO SPINATO, IN ITALIA, PUGLIA, SALENTO, NON ALTROVE, “in questa fetta del territorio salentino sottratta alla sovranità popolare, finanche al libero esercizio del diritto di cronaca dei giornalisti, e trasformata in territorio dell’ Azerbaigian, sotto protettorato svizzero, vigilato dalle Forze dell’ Ordine dello Stato italiano.” (http://www.leccecronaca.it/index.php/2017/11/20/il-muro-di-melendugno-una-vergogna-mondiale/)

Poi, per evitare di urlare davanti a ciò, raccolgo la razionalità e traggo solo qualche rigo dal web: tra giugno, luglio e agosto 2017 gli stabilimenti balneari hanno registrato una crescita del 16% rispetto al 2016 (fonte: CNA Balneatori), un incremento dei turisti stranieri del 5% sullo stesso periodo dell’anno scorso e un aumento generalizzato in tutte le regioni costiere, con il primato all’Emilia Romagna (+25%) seguita da Puglia (+23%) e Sicilia (+22%). Come dire che all’Italia NON conviene per nessuna ragione deturpare il proprio patrimonio ambientale. E, invece, IN PUGLIA che succede?

Angela Greco AnGre – #noTAP 

*

dall’editoriale di Bill McKibben: Gli europei, giustamente, prendono in giro il Presidente Trump, perché nega il cambiamento climatico. E tuttavia si stanno attivando per costruire uno dei più grandi gasdotti nel mondo – le somme di denaro che vogliono investire in questo progetto sarebbero giustificate solo se TAP fosse operativo per interi decenni. Fondamentalmente, l’Europa e i governi nazionali che sono coinvolti stanno dicendo che “nel 2017 ci aspettiamo che l’Europa sia ancora dipendente dai combustibili fossili.”

Stanno dicendo questo proprio nel momento in cui sta diventando chiaro quanto terribili possono essere gli effetti del cambiamento climatico. Siamo alla fine dei tre anni più caldi mai registrati sul nostro pianeta, e l’Europa stessa ne ha visto gli effetti: incendi boschivi di vasta portata sono ormai un avvenimento regolare, e sono causati dagli stessi episodi di siccità che hanno trasformato alcune delle valli più fertili del pianeta in deserti temporanei. Poi, quando il clima si ribella, lo fa nel peggiore dei modi.

Nel frattempo, TAP arriva proprio nel momento in cui il costo delle energie rinnovabili sta crollando. Qualunque prospetto giustificasse la costruzione del gasdotto qualche anno fa oggi è sicuramente datato: ogni tre mesi il costo dell’energia solare ed eolica si abbassa. E tra cinquant’anni? L’Europa starà ancora pagando un gasdotto che non servirà a nulla, se non come reperto museale di una tecnologia arcaica. Questo era lo scopo preciso della Conferenza di Parigi sul clima: dovevamo smettere di costruire nuove infrastrutture per i combustibili fossili, e abbandonare progressivamente la dipendenza dal gas e dal petrolio che avevamo già estratto.

(http://www.recommon.org/ferma-gasdotto-tap-bill-mckibben/)

Il Prefetto limita la libertà di circolazione a San Foca (Lecce) e assegna le aree adiacenti il cantiere “nella disponibilità delle forze di polizia”, mentre TAP distribuisce brioches e cappuccini al centro commerciale e diffonde un filmato in cui si vede la sede melendugnese fatta oggetto di scritte e lanci di uova. Ma tutto questo sembra non bastare a convincere la popolazione a desistere e rinunciare alla battaglia contro il gasdotto. Anzi, il fronte locale del NO appare ancora più determinato e compatto e riceve sponda anche dal resto dell’Europa.

“Non ci piegheremo davanti alla repressione messa in atto dallo Stato. Continueremo la nostra lotta, sempre più determinati, forti, convinti!”, scrive il movimento No TAP sulla sua pagina facebook.

(http://www.tagpress.it/ambiente/scatta-la-disobbedienza-no-tap-proteste-anche-in-europa-20171115)

in Salento barriere antisfondamento al posto dei muretti a secco – LECCE, Campagne di Melendugno blindate attorno al cantiere del gasdotto Tap, con barriere antisfondamento, recinzioni e cancelli tirati su in poche ore nelle proprietà private. Prende forma così la zona rossa attorno al gasdotto transadriatico proveniente dall’Azerbaijan, con 24 particelle di terreno (fuori dal tracciato del gasdotto) requisite. Al loro interno accesso e transito sono inibiti a chiunque (tranne i proprietari di case e terreni muniti di appositi permessi) e i giornalisti sono stati accompagnati sul cantiere dalla polizia per pochi minuti. Nell’area cuscinetto, voluta dal prefetto di Lecce Claudio Palomba, nessuno potrà entrare, almeno per un mese, al fine di evitare manifestazioni di protesta, presidi e contestazioni […] Diversi contadini hanno dovuto rinunciare alla raccolta delle olive, poiché l’ordinanza prevede che l’ingresso in area rossa avvenga solo singolarmente e dietro riconoscimento. Esclusi a priori i No Tap, che dopo otto mesi hanno dovuto abbandonare il presidio, compreso nella parte interdetta, ma cercano nuove forme per manifestare – insieme all’amministrazione comunale di Melendugno – la contrarietà all’opera. Per il sindaco Marco Potì, l’ordinanza del prefetto è “sovradimensionata” rispetto alle necessità di tutela del cantiere e “troppo oppressiva” delle libertà dei cittadini.

(http://bari.repubblica.it/cronaca/2017/11/15/news/gasdotto_tap_in_salento_barriere_antisfondamento_al_posto_dei_muretti_a_secco_il_cantiere_e_una_trincea-181144814/)

Il maxi-progetto Tap, presentato ai cittadini italiani come una grande opera strategica per liberare l’Europa dalla dipendenza dal metano russo, rischia invece di passare alla storia come il gasdotto dei tre regimi. L’ESPRESSO documenta decine di connessioni societarie (aziende con gli stessi amministratori o azionisti) fra tre blocchi di potere politico-economico, che portano al presidente turco Erdogan, al dittatore azero Aliyev e agli oligarchi russi legati a Putin.

(http://espresso.repubblica.it/inchieste/2017/04/14/news/tap-il-gasdotto-dei-tre-regimi-erdogan-aliyev-amp-putin-spa-1.299622)

Tap, gli affari sporchi degli uomini del gasdotto – Il manager finito in mezzo a un caso di riciclaggio mafioso, l’azero con la società offshore svelata dai Panama papers, l’uomo d’affari scelto perché ha buoni agganci con la politica e il condannato per furto di libri antichi. Ritratto dei nomi più importanti legati alla maxi opera. Un intreccio di vicende pubbliche e segreti privati che rilancia quel groviglio di interrogativi che fanno da detonatore delle proteste esplose in Puglia: chi ha deciso l’attuale tracciato? È davvero necessario far passare miliardi di metri cubi di gas tra spiagge meravigliose e oliveti secolari, anziché dirottare i maxi-tubi in zone già industrializzate, che si potrebbero disinquinare con una minima parte dei fondi del Tap? Come mai i finanziamenti pubblici europei sono stati incamerati da una società-veicolo con azionisti svizzeri? Se è vero che il gasdotto è strategico per molti Stati sovrani, perché sono le aziende private a progettare dove, come e con chi costruire una grande opera tanto costosa e controversa?

*

Vittorio Bodini, versi da La luna dei Borboni e altre poesie (1945 – ’61) 

Cade a pezzi a quest’ora sulle terre del Sud
un tramonto da bestia macellata.
L’aria è piena di sangue,
e gli ulivi, e le foglie del tabacco,
e ancora non s’accende un lume.

Un bisbigliare fitto, di mille voci,
s’ode lontano dai vicini cortili:
tutto il paese vuole far sapere
che vive ancora
nell’ombra in cui rientra decapitato
un carrettiere dalle cave. Il buio,
com’è lungo nel Sud! Tardi s’accendono
le luci delle case e dei fanali.

Le bambine negli orti
ad ogni grido aggiungono una foglia
alla luna e al basilico

.

Flavio Almerighi, Luoghi in ombra

luoghi in ombra, sensazioni,
il cuore esce dal petto
va a viversi in pace
un’autobiografia languida
bocche di pesca dove fuggire,
restare indolente
fino alla morte solitaria del cacciatore

il desiderio più che tiepido
ondeggia tranquillo in mare,
dov’è libertà dov’è il caso
non a caso a Sud,
dove il mondo si apre
in due come una melagrana
e la luna è dello stesso colore

.

*

I cosiddetti “social”, la nuova società dalla quale nessuno vuole sentirsi escluso, non accetta di sporcarsi le mani con notizie come queste (verificatelo ad esempio mettendo in bacheca le condivisioni #noTAP: in pochi leggeranno, ancor meno condivideranno); le piattaforme devono essere il luogo del bello, del sorriso forzato e corretto, del buonismo, così da essere accettati in una cerchia e non sentirsi esclusi. INVECE RIAPPROPRIATEVI DEL SENSO CRITICO, APRITE GLI OCCHI, INFORMATEVI, SEMPRE!!

Vogliamo terminare questo articolo con un segno, la foto d’apertura: Leuca, Faro di Punta Palascia (dal web), il punto più a est d’Italia, il punto della prima alba di ogni nostro giorno…che sia di buon auspicio per una Nuova Alba del genere umano. Abbiamo volutamente omesso giudizi politici, ipocrisie buoniste, moralismi e questioni di etica, perché i fatti parlano da soli ed abbiamo evitato anche fotografie a forte impatto emotivo, perché non vogliamo sensazionalismi, ma condivisioni, conoscenza e presa di coscienza.

(by Il sasso nello stagno di AnGre)

Vittorio Bodini, Pioggia minore

nuvole-rosse

 

Pioggia minore 
.
Uscivano le ninfe sulle soglie:
i girasoli e le povere rose a stampa sulle vesti
chiudevano in un’enfatica rigidezza
i loro fianchi smarriti.
Era piovuto, e forse domani
dal sommo della strada irromperanno operai
con acri denti, cantando Bandiera rossa,
oppure anelli si sfileranno dalle tue dita,
cadendo più rapidi d’un grido nel fatuo smeraldo dei fiumi;
ma tua fu quella pioggia, tua quella cauta ebbrezza
d’anice che si versa da un bicchiere sul marmo.
Come fotografie miserabili e gialle
all’angolo d’uno specchio, le foglie dei platani
s’incollavano sull’asfalto bagnato;
e un passero ringiovanito fu il cielo di settembre
che si posò cantando sulla tua nuca.
[Lecce, 1941]

*

Vittorio Bodini, Appunti di poesie, residue e sparse ; II – Lecce (1940-1944) da Tutte le poesie a cura di Oreste Macrì, Besa

21 marzo: tutti i colori della Poesia / e-book scaricabile gratuitamente

Il sasso nello stagno di AnGre - 21 marzo giornata mondiale della Poesia

.

“Guai a chi si costruisce il suo mondo da solo.”
(Angelo Maria Ripellino, Lo splendido violino verde, 1976)

Per questo 21 marzo, Giornata Mondiale della Poesia, Il sasso nello stagno di AnGre dedica ai suoi Amici e lettori questa breve selezione di versi: ogni poesia contiene un colore, così da rappresentare tutte insieme un’ideale tavolozza con cui dipingere un nuovo giorno, un nuovo mondo, dove ritrovarsi e ritrovare un’umanità libera da egoismi e ancora capace di fare gruppo e comunità in maniera positiva e proficua. Forse questo cambiamento a tanti, a troppi, sembrerà quantomeno folle e irrealizzabile, ma questo collettivo & blog fa parte di quella metà di Cielo che vuole provarci ugualmente a mutare il vigente e soffocante stato  di appiattimento culturale e umano, nel quale versiamo ormai da troppo tempo. Buona lettura a tutti!

(N.B. Sono stati scelti soltanto poeti italiani per poter “ascoltare” le loro voci autentiche, senza affidarsi ad eventuali, se pur notevoli, traduzioni — per scaricare gratuitamente il pdf \ e-book CLICCA QUI — by AnGre)

*

Peppino Impastato, da Amore Non Ne Avremo (Navarra Editore)

Sulla strada bagnata di pioggia
Si riflette con grigio bagliore
La luce di una lampada stanca:
e tutto intorno è silenzio.
.
§
.
I miei occhi giacciono
in fondo al mare
nel cuore delle alghe
e dei coralli
.
.
.i
Goliarda Sapienza, da Ancestrale (La Vita Felice)
.
Voglio ricordare. Ma ho paura
di smarrire nel nero dei capelli
di un sonno prolungato
qualche accento
della tua voce di ieri. Ho paura
di svegliarmi col sole che scantona
dietro l’angolo buio della casa.
.
§
.
Resta vicino a me ti prego
poco resta al biancore dei miei seni
e presto di fiori di carta le mie labbra
senza sangue saranno
senza domande
.
.
.
Vittorio Bodini, da Inediti 1954-1961 in Tutte le poesie (Besa)
.
.
I pomodori secchi
.
I pomodori secchi
attaccati a uno spago
e le donne dai cuori di cicoria.
I pomodori secchi e i datteri gialli,
e le donne che colgono le olive
fra gli olivastri, con la bocca viola;
tutto è univoco e perso a furia d’esistere.
.
Dove hai nascosto, cielo, l’altra ipotesi?
Quale parte è la nostra?
Non saremo null’altro
che rozzi testimoni di questo esistere?
.
§
.
Tre linguette di terra
.
Tre linguette di terra
fanno il mare
di tre azzurri diversi
e in cielo, rosa,
l’inizio d’un sorriso, o aurora,
e sporge
dall’orto il melograno
e dall’infanzia
il cigolio d’un carro: che fatica
per un attimo solo!
.

(Settembre 1958)

.

Sandro Penna, da Poesie (Garzanti)
.
.
Forse sull’erba verde un dì nasceva
la mia storia segreta: estremi ardori
di un sobborgo in vacanza.
Pioggia da gonfie nubi silenziosa.
Luci della città sulla campagna vuota.
.
§
.
Piovve nel nostro amore ardentemente
tutta l’estate. Indi mutò colore
in bello, la campagna.
.

 .

Salvatore Quasimodo, da Tutte le poesie (Mondadori)
.
.
Nascita del canto
.
Sorgiva: luce riemersa:
foglie bruciano rosee.
.
Giaccio su fiumi colmi
dove son isole
specchi d’ombre e d’astri.
.
E mi travolge il tuo grembo celeste
che mai di gioia nutre
la mia vita diversa.
.
Io muoio per riaverti,
anche delusa,
adolescenza delle membra
inferme.
.
§
.
Che lunga notte
.
Che lunga notte e luna rosa e verde
al tuo grido tra zagare, se batti
ad una porta come un re di Dio
pungente di rugiade: «Apri, amore, apri!»
Il vento, a corde, dagli Iblei dai coni
delle Madonie strappa inni e lamenti
su timpani di grotte antiche come
l’agave e l’occhio del brigante. E l’Orsa
ancora non ti lascia e scrolla i sette
fuochi d’allarme accesi alle colline,
e non ti lascia il rumore dei carri
rossi di saraceni e di crociati,
forse la solitudine, anche il dialogo
con gli animali stellati, il cavallo
e il cane la rana le allucinate
chitarre di cicale nella sera.
.
:
.
Angela Greco, da Arabeschi incisi dal sole (Terra d’ulivi)
.
i miei sono solo grafemi
in successione caduti
senza peso né posa
minimi myosotìs a bordo strada
che ripetono
il loro canto azzurro di cinque petali
.
§
.
apro parole e finestre al vento
di polline e profumo di mandorla bianca
in attesa che il guscio diventi scorza
metto da parte messaggi floreali
dall’animo fanciullo e piedi nudi
.
corro nel verde di un divenire
certezza o pena non m’importa
oggi nel (mio) cielo c’è il sole
ed il tuo nome è stella
che benigna m’invita al domani
.
che questo presente insista pure
nella sua stretta visione d’essere
e nel silenzio sempreuguale
dei suoi intrecci obbligati
.
io rincorro la primavera
prima che sfugga.

 i-sensi-della-poesia-la-scrittura

Vittorio Bodini, due poesie da Altri versi (1945-1947) in La luna dei Borboni e altre poesie

il sasso nello stagno di AnGre

Tanti anni

Noi abitammo in una rosa rossa.
Passavano treni in corsa alla periferia
– un gomito sonoro -;
e tutto il resro era un fermento di cieli.
Un meriggio d’inverno, col sole su un muro bianco,
riconoscemmo la vostra amata calligrafia.
Chi avrebbe mai pensato
che voi scriviate come un’ ombra d’ alberi,
come i pettini freddi
con i denti coperti di capelli!

(S’era in pena per voi.)
Così passammo la notte.

il sasso di AnGre

Olvido

Tutti gli orologi della tua casa
sono fiori irrequieti,
o battono con tempie di limoni
nelle fruttiere, al buio delle sale.

Ciò che sfere inuguali
segnano in essi è il tempo
dei tuoi fuochi divisi: odio e speranza,
timore e gratitudine, e i tuoi anni
fra cui rapido passa il tuo bel viso
come luna nei vuoti delle nubi.

Io non so questa mano che mi dai
a che giorno appartenga
o a quale notte;
né tu per dove io ti raggiunsi,
in quest’arca ribelle che sorvolano
ore a morte colpite dai proprî inganni.

Ma se dal fosco secolo dei tuoi capelli
un garofano cade com’astro in fiamme,
tutta s’aliena in fiamme e di quel fiore
la memoria confessa di voler vivere.

*

Vittorio Bodini, “Altri versi (1945-1947)”

“La luna dei Borboni e altre poesie (1945-1961)”, Tutte le poesie, a cura di O.Macrì (Besa)

Vittorio Bodini, due poesie da Collage

Tramonto da Castel Sant'Angelo di D.Forte
Roma, Tramonto da Castel Sant’Angelo di D.Forte

 

da COLLAGE (1969 – 1970)
Parte terza – Appunti di poesie, residue e sparse
III. Roma (1944 – 1946)

Racconto

Sfioravano orizzonti di cristallo
le dita della tenebra,
ed agghiacciava l’aria quella cupa armonia.
L’universo esitava fra l’inverno
della tua mano e la fedele statua
dell’ estate e i suoi verdi candelabri.
Poi le serpi decisero per tutti:
per tutti noi, creature simboli ed erbe;
docili s’annidarono ai tuoi piedi,
vi scrissero bracciali di magia,
e una luce s’illuminò e si spense
sopra un golfo scarlatto.

Roma, luglio 1945

*

Notturno

Le dimore dei sogni che la luna
difendeva dal sogno si lisciavano
con le zampe di gatti immacolati,
si stringevano gli olmi nei frangiati
mantelli d’ombra.
Le streghe che i capelli attorcigliavano
ai bambini nel sonno, scivolavano
di tetto in tetto.
Bisognava non mettere il piede in fallo,
e respingere il cuore dalla gola.
Mentre dalle finestre un sangue viola,
un tappeto intrecciato di chiome castane
dal quaderno di musica delle persiane
sgorgavano le cantilene delle mamme.
– Un cavallo furioso e disumano
divorava a ogni mamma il suo bambino;
ti salvò l’esser nata con in mano
una rosa di fiamma.
Dall’ultima osteria dense di vino
rotolavano voci sulla via
con strepiti di latta,
dalle valli del tempo un’eco inesatta
ci rimandava vite capovolte,
e il soffio zigrinato d’una civetta.

Giugno 1945

*

da Vittorio Bodini, Tutte le poesie – a cura di Oreste Macrì – Besa 2010

Vittorio Bodini, due poesie da Dopo la luna

9~Leuca - Faro di Punta Palascia
Leuca (LE) , Faro di Punta Palascia

 

Finibusterrae

 

Vorrei essere fieno sul finire del giorno

portato alla deriva

fra campi di tabacco e ulivi, su un carro

che arriva in un paese dopo il tramonto

in un’aria di gomma scura.

Angeli pterodattili sorvolano

quello stretto cunicolo in cui il giorno

vacilla: è un’ ora

che è peggio solo morire, e sola luce

è accesa in piazza una sala da barba.

Il fanale d’un camion,

scopa d’ apocalisse, va scoprendo

crolli di donne in fuga

nel vano delle porte e tornerà

il bianco per un attimo a brillare

della calce, regina arsa e concreta

di questi umili luoghi dove termini,

meschinamente, Italia, in poca rissa

d’acque ai piedi d’un faro.

È qui che i salentini dopo morti

fanno ritorno

col cappello in testa.

 

#

 

E’ piovuto e invisibile

 

E’ piovuto e invisibile ne odora

dietro il muro l’arancio

e al mento illividito risponde il verde

dell’albero che il neon inchioda

ai limiti del borgo: e questo pare

non sai se vicinissimo

o remoto alla vita.

 

Chiudi le mani a pugno

o luna sull’asfalto:

lasciaci indovinare dov’hai nascosto

la moneta d’oro.

 

*

da Dopo la luna (1952 – 1955)

Vittorio Bodini, Tutte le poesie – a cura di Oreste Macrì, Besa 2010