dopo una lettura de “l’albatros” di C.Baudelaire – di Cataldo A. Amoruso

“Credevano, essi, che per diletto li seguissimo; non immaginavano, questi marinai confinati agli abissi, che potessimo di lontano precederli, essi sempre ignari delle vastità inviolabili dei cieli, essi, fluttuanti animule credendoci attratti, catturati, atterriti sulle plance, essi ridendosi del nostro disagio, dello sgomento nel contrarsi dei nostri orizzonti…guardate, quello che crede di irretirci ghermendoci con la sua sciocca pipa a mo’ di becco, e l’altro che mima, anima claudicante, l’incedere ai suoi occhi incerto: ché non coglie l’insolito e il raro del moto trattenuto nelle ali, e si illude, chissà, di non dover capire…poi che a volte ci stacchiamo dal cielo, ad alleviare le solitudini degli umani, e ci insinuiamo nelle loro terrene occupazioni, e oltrepassiamo i loro sguardi e i pensieri…così, come poeti: i loro versi sono come le nostre ali, arditi, e candidi, come desideri…non rinunceremo, non li abbandoneremo- mai- quelli che vorranno elevarsi e salpare dagli abissi amari, quelli che, smesso l’abito dell’arciere, udranno alto il senso dei nostri richiami”

http://www.krimisa.blogspot.it/2012/03/oziosa-mente.html

(Mediterranea) – versi di Gianpaolo G. Mastropasqua

 

Quando eravamo Dei e camminavamo con gli alberi

e le vesti erano anime e animali vivi

e ancora festeggiavamo i compleanni delle nuvole

e all’ora danzavamo sulle acque come anemoni

e chiamavamo Israele la neve del deserto

e l’arcangelo bambino affacciato sull’abisso

e le sorgenti cantavano dai mari alla fonte

e le foglie erano velieri e lingue all’unisono

e i rami erano ponti trascendenti della luce

e l’impossibile mostro era libero di amare

e ogni passo era un sapore e un nome pedante

e le caverne erano occhi appena aperti sull’ignoto

e le pietre dialogavano nel concentrico giorno

ora che camminiamo senza gambe strisciando

tra la folla calpestata dal silenzio assassino

e le feste nucleari ci attendono al varco

e sogniamo a brandelli tra i respiri delle bombe

e chiamiamo vita eroica l’abbraccio del piombo

e le pietre sono masse che lapidano al pascolo

e le foglie e gli alberi hanno finito la primavera

e il mare dalla lingua di petrolio più non parla

e le lucciole sono nere e il gabbiano viene corvo

e il becco una lamalenta che vibra e penetra

e logora la fauna che si affolla in cadaveri pensieri

e l’impossibile mostro è già in gabbia da tempo

e i pugni si combattono nell’aria sanguinaria

e le cave hanno il profumo delle fosse comuni

e ogni passo è una palude da cui uscire vivi

procediamo non siamo nessuno sa perché dormiamo.

(2010, “inedito” da Pavane del “Viaggio selvatico incompiuto”)