Nella Valle dei Templi di Agrigento con Igor Mitoraj (seconda parte)

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Prosegue l’affascinante viaggio nell’arte di Igor Mitoraj iniziato la settimana scorsa nell’ambito della nostra rubrica d’arte  con questo approfondimento, un reportage di Daniela Spalanca sulla mostra delle sculture di Igor Mitoraj nella Valle dei Templi di Agrigento.

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Igor Mitoraj: oltre la forma modernamente classica (prima parte)

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Igor Mitoraj nasce a Oederan in Germania, da genitori polacchi, nel 1944; dopo gli studi all’Accademia di Cracovia, sotto la guida del grande pittore, scenografo e regista Tadeusz Kantor, prosegue gli studi a Parigi e rimane affascinato dalla cultura Precolombiana, al punto di decidere di trasferirsi per un anno in Messico. Al suo ritorno a Parigi nel 1974, dopo aver ottenuto importanti riconoscimenti, decide di dedicarsi a tempo pieno alla scultura. Trascorre lunghi periodi tra New York e la Grecia e sono questi i viaggi che risulteranno determinanti e gli faranno toccare i due estremi, la modernità e la classicità.

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Nel 1983 si traferisce in Toscana, dove scopre, prima a Carrara e poi in Versilia, il marmo e il bronzo come materiali ideali. Apre uno studio a Pietrasanta (senza abbandonare quello di Parigi) e in Italia realizza molte esposizioni con opere anche in permanenza all’aperto, tra le quali quelle esposte nel Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento, 17 gigantesche opere bronzee inserite accanto ai millenari templi. Così a Tivoli di fronte alla Chiesa di S. Maria Maggiore e all’entrata di Villa d’Este, non senza polemiche.

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Opere esposte anche a Firenze, nel paesaggio del giardino di Boboli, dove ha curato anche la messa in scena di opere teatrali, in particolare l’Aida di Verdi nel 2009. A Siena, su commissione del Comune, dipinge il “Drappellone” per il Palio e a Roma inaugura gli splendidi portali bronzei della Basilica di S. Maria degli Angeli e dei Martiri e sempre a Roma realizza la Fontana di Piazza Monte Grappa (foto qui in alto).

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Il suo stile è fortemente influenzato dalla tradizione classica con particolare attenzione ai busti maschili, che taglia, spezza, disarticola, fa a brandelli. Sculture modernissime nella loro concezione per il loro ostentare con particolare evidenza quei danni del tempo subiti dalle sculture classiche, mentre il troncarne alcuni pezzi conferisce alle sue creazioni uno stile inconfondibile e, pur essendo la classicità il suo referente principale, il suo non è un ritorno al Rinascimento, né un ritorno al passato o al Neoclassicismo – sul quale l’artista ha espresso giudizi decisamente negativi -. Le sue fratture alludono al mistero dell’antico che si manifesta a noi per frammenti, come reperti, allusioni o evocazioni.

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Nessuna delle sue opere presenta una forma intatta, ma sempre frammentata, mutilata, attraversata da vuoti che stimolano l’immaginazione dello spettatore per comprenderne le parti mancanti: la sua non è un’operazione nostalgica, ma qualcosa più vicina ad un intervento chirurgico, un’autopsia per isolare quegli elementi di maggior rilievo, che fanno sorgere interrogativi in chi le osserva. Mitoraj si è ispirato a personaggi mitologici facilmente riconoscibili (Eros, Venere, Icaro, il Centauro…) e al mito della Magna Grecia, riuscendo a realizzare opere moderne nonostante le tematiche legate all’antichità.

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Egli sembra dialogare con entità soprannaturali, avvolte da atmosfere ultraterrene, così da creare un rapporto tra l’uomo e l’universo: rappresentare la bellezza classica frantumata, come si trattasse di resti del naufragio di un mondo ormai scomparso. L’artista, nel suo lavoro, si collega all’uomo contemporaneo e ne rappresenta fratture e sofferenze ed in questi tempi di grandi conflitti politici, religiosi, economici e culturali, si schiera dalla parte degli “eroi perdenti”, ovvero di coloro che eternamente fuggono verso la libertà. (Costantino Piazza)

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Mitoraj - La caduta di Icaro

 Sotto i lembi di un azzurro inestimabile, nell’arido giorno di quell’estate davvero a sud in cui la Valle dei Templi di Agrigento ha accolto i miei passi, precipitato in prospettiva dinnanzi al Tempio della Concordia, Icaro sembrava non dolersi delle ferite del suo gesto: il sole era ancora nella sua posizione perfetta, mentre i suoi occhi ormai statici cercavano tra pietre, alberi di mandorlo e rade erbe il motivo di quella sconfitta. Il bronzo sembrava aver prepotentemente preso il posto della pelle, in quella sospensione di tempo che trasportava altrove da lì, fuori dalla vista infima di turisti dall’animo minimo a scherzare con la sua virilità ben messa in mostra, come si conviene a chi ha attraversato la polvere e sfidato l’astro dominante il giorno. Mi fermai ad ascoltare il silenzio reboante di quel corpo bellissimo dagli arti e dalle ali spezzati e inevitabilmente pensai alla caduta in cui ormai verteva la condizione umana circostante. Rimase solo la poesia ed il suo sguardo a dettare al cuore la meraviglia che ancora oggi custodisco gelosamente. (Angela Greco)

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