Terre Inquiete è la nuova collana di Poesia diretta da me per la cosentina Macabor Editore che ringrazio per la fiducia. Il nome, nel plurale e nella pluralità, unisce quella che ormai reputo la mia “patria poetica”, la Calabria, terra di affetti preziosi, alla mia terra delle radici, la Puglia, in un unico battito-respiro che è la Poesia, progetto e visione di un domani sempre più a misura d’essere umano. (AnGre, 27 aprile 2024)
Con affetto presento ai miei Amici e Lettori del Sasso il primo volume, rinnovando il ringraziamento all’autore e all’editore!!
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Bonifacio Vincenzi, Il cerchio imperfetto
(Macabor Editore, maggio 2024 – Qui)
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Prefazione di Angela Greco AnGre
La rappresentazione di un mondo inquieto e animato in ogni momento, in ogni dettaglio, in ogni sfumatura; anche quando sembra che ci si possa fermare, fosse solo per respirare, Bonifacio Vincenzi non concede mai tregua, né si può sperare in una staticità che rinfranchi. In questi versi ci si ritrova ad essere in un movimento continuo generatore di energie e generativo di nuove genesi di senso e significati. Laddove si possa credere finalmente di aver raggiunto la quiete, ecco che allora prendono a muoversi le astrazioni, le visioni incorporee, i pensieri, alimentando il flusso di un divenire che non comprende soltanto il presente o quanto illusoriamente crediamo di vivere, possedere o abitare. Che siano case o corpi, non muta la sorte.
I componimenti raccolti in questa silloge sono stargate da varcare in successione, affidandosi non già alla razionalità o alla conoscenza, quanto piuttosto a un sentire altro che afferra dal profondo. Ogni testo dà accesso a un meandro non in luce, ma non in senso negativo, quanto piuttosto nel senso di non svelamento, anche laddove risulti il pieno giorno. Comprensibile nel significato meno complesso, ogni verso invita alla riflessione profonda subito, senza sconti, captando la volontà del lettore con fascino e gentilezza. Persino se si parla di conflitti cruciali con quel se stesso che costantemente ci abita da estraneo e di cui, però, l’autore ha splendida consapevolezza e conoscenza.
Questa scrittura di Bonifacio Vincenzi coglie di sorpresa chi fosse avvezzo alla sua produzione realizzata fin qui, rivelando una poliedricità che non è nuova nell’autore e che diventa un pregio non da poco, se messa in relazione con un presente dal dilagante appiattimento anche artistico. Desta, nel senso proprio del termine, da un torpore che pervade oppiaceo i giorni che si susseguono senza nemmeno più la speranza, se non un progetto, che veda impegnato un essere umano alle prese con la fase discendete della sua parabola. Vincenzi, invece, un progetto ce l’ha e si configura in un ritorno allo stato primordiale passando attraverso quello che questa esistenza offre. O toglie. Perché vi è consapevolezza della dicotomia esistenziale contesa tra bene e male, con netta propensione per quest’ultimo, inteso come realtà nascosta, natura effettiva si potrebbe dire, mascherata da tutto quello che mira a non consentirne più il riconoscimento.
Questa poesia, partendo da punto preciso, giunge man mano ad una desiderata e ricercata evanescenza, nell’allargarsi di un cerchio che nell’espansione ingloba esperienze, accadimenti, azioni e ricordi e con essi man mano i protagonisti che sono rimasti nella sfera selettiva ed emotiva del poeta. Il tono narrativo, nel senso di andamento per parti successive, secondo un tracciato che in poesia resta lontanissimo dalla temporalità e dalla logica sequenziale, rende questa scrittura difficile da categorizzare, com’è proprio della produzione meno legata alla meglio conosciuta e praticata tradizione italiana. Si è senza dubbi nel tempo contemporaneo per metrica e frammentazione del verso, ma all’attenzione profonda di chi vuole partecipare di questa poesia, non si può mancare di percepire il lirismo del sentire meno evidente. Perché tutta la Poesia, quando è tale, passa dal cuore. Ed ecco allora che un ricordo fa da substrato fertile per la riflessione profonda, senza restare sterile orpello estetico e non realista.
Bonifacio Vincenzi sa bene che il mondo non è un giocattolo per passare il miglior tempo a propria disposizione. Ha vissuto e ha ancora occhi per vedere la meta finale, la finitudine che designa l’umano. In vista del limite estremo di ogni essere vivente, il tempo diventa entità relativa, perdendo potenza al cospetto di interrogativi e dubbi dalla forte connotazione filosofico-metafisica. Si riscontra una spiritualità primordiale, come presentimento di impossibilità che tutto possa essere soltanto quello che si è capaci di comprendere. La Poesia diventa un mezzo per tentare una comprensione che mai si porterà a termine, decretando, in tal modo, la necessità che essa continui un discorso iniziato in una notte dei tempi che ancora non ha abbandonato il presente.
È anche una poesia di ricerca non scevra dalle difficoltà che tanto comporta, questa, nella quale tutto scorre fornendo la dimensione e la soluzione per meglio vivere il poco o il tanto, non ha importanza, che è capitato a ciascuno per differente sorte. In tutto questo, non manca Dio, inteso come parte spirituale senza dubbi presente, anche quando non si appartiene ad una religione specifica, il quale diventa un convivente con cui confrontarsi nel costante equilibrio tra due metà di cui si è vittima e carnefice momento per momento.
Una caratteristica, che diventa anche simbolica, è l’uso del tempo Imperfetto che assume una valenza di onesta e concreta conoscenza della materia – soprattutto umana – imperfetta per antonomasia. Mancata perfezione messa a cardine di questa scrittura fluviale ed eruttiva, in un accostamento che non paia azzardato nella sua antitesi. Il poeta non ha risposte o coordinate precise del dove si ritroverà a realizzarsi nella sua natura e nei suoi progetti, ma ha certezza che questo luogo-non luogo esiste ed è meta e punto di partenza all’unisono. È utopia che salva nella sua accezione migliore di “ancora da realizzare”, questa poesia profondamente sincera tanto da incutere un timore simile a quello di vivere.
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Due poesie tratte da Il cerchio imperfetto di Bonifacio Vincenzi
Vibra costante l’eterno ritorno
a tutto ciò che è stato. Riavvolgere il nastro,
ricominciare da capo, ogni volta, chiedendo
all’istante di non lasciare cadere il passato,
portando in dote l’intera meraviglia del viaggio.
Tutto a ripetersi per mai partecipare alla perdita.
La replica non corruttibile ricomincia quando
la realtà si dilata, spettacolo parallelo alla morte,
in una danza senza tempo che non conosce la sorte.
§
Occhi dappertutto.
Occhi che non guardavano più.
Atmosfera inquietante.
Uomini, donne, bambini che correvano.
Si sarebbe potuti essere contenti, volendo.
Può essere una consolazione scoprire di esistere;
essere certi che si è comunque vivi.
Ma in quella corsa qualcosa era sbagliato.
Sembrava che ognuno vivesse ogni giorno
senza accorgersene.
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