Derek Walcott, due poesie

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Derek Walcott, due poesie

*

Una mappa dell’Europa

Come l’idea di Leonardo
Dove si aprono paesaggi su una goccia d’acqua
O draghi si acquattano in macchie scure,
Il mio muro che si sfalda, nell’aria chiara,
Mappa d’Europa con le sue venature.

Sul davanzale minato, il bordo di latta
Dorato di una birra luccica
Come la sera su un lago del Canaletto,
O come le rocce di quell’eremo
Dove, nella sua cella di luce, lo smunto Gerolamo
Prega che il Suo regno venga
Alla città remota.

La luce crea la propria quiete. Nel suo anello
Ogni cosa è. Una tazza da caffè crepata,
Un pane spezzato, un vaso sbrecciato diventano
Se stessi, come in Chardin,
O nel chiarore di birra di Vermeer,
Non oggetti della nostra pietà.

In lei nessun lacrimae rerum, nessuna arte.
Solo il dono di vedere
Le cose come sono, dimezzate da un’oscurità
Da cui non possono scostarsi.

*

da Isole. Poesie scelte (Adelphi), trad. it. M. Campagnoli

~

Concludendo

Vivo sull’acqua,
solo. Senza moglie né figli.
Ho circumnavigato ogni possibilità
per arrivare a questo:

una piccola casa su acqua grigia,
con le finestre sempre spalancate
al mare stantio. Certe cose non le scegliamo noi,

ma siamo quello che abbiamo fatto.
Soffriamo, gli anni passano, lasciamo
tante cose per via, fuorché il bisogno

di fardelli. L’amore è una pietra
che si posa sul fondo del mare
sotto acqua grigia. Ora, non chiedo nulla

alla poesia, se non vero sentire:
non pietà, non fama, non sollievo. Tacita sposa,
noi possiamo sederci a guardare acqua grigia,

e in una vita che trabocca
di mediocrità e rifiuti
vivere come rocce.

Scorderò di sentire,
scorderò il mio dono. È più grande e duro,
questo, di ciò che là passa per vita.

*

da Mappa del nuovo mondo (Adelphi), trad.di Gilberto Forti.

Ágota Kristóf, due poesie

5 marzo 2022 ph.AnGre

Àgota Kristóf, due poesie

*

Lentamente imbianca la notte sul suo viso senza sole
incessanti le stelle cadono
in profondi laghi scuri cadono
e in profondi boschi scuri cadono
le stelle

bianche
case ai margini della foresta inceneriscono si tende
il corpo di pietra delle strade dolore insensato
si nasconde nelle vene degli alberi
sempre più forte è il vento
sempre più scura la neve

fratelli
voi non vi ha amato nessuno ma domani
metterete piede sui raggi
della luna
i vostri occhi si abbelliranno laverete via macchie di sangue
dalle vostre mani dalle vostre labbra
attorno a voi cresceranno gli alberi
si placherà anche la notte e il vento porterà
cenere tiepida sulle vostre terre sterili

~

Ti aspettavo in fondo alla strada nella pioggia
andavo a capo chino ti vedevo lo stesso
ma non riuscivo a sfiorarti la mano

Ti aspettavo su una panchina le ombre degli alberi
cadevano sulla ghiaia fresca
come anche la tua ombra mentre ti avvicinavi

Ti aspettavo una volta di notte sul monte
crepitavano i rami quando li hai scostati
dal tuo viso e mi hai detto che non potevi restare

Ti aspettavo a riva con l’orecchio incollato
a terra sentivo il tonfo dei tuoi passi
sulla sabbia morbida poi si fece silenzio

Ti aspettavo quando arrivavano i treni lontani
e le persone tornavano tutte a casa
mi hai fatto un cenno da un finestrino il treno non si è fermato

*

Trad. di Vera Gheno, da Chiodi, Ed. Casagrande, 2018 – ph.AnGre

Sulla poetica di Giovanni Luca Asmundo di Angela Greco AnGre in Italia insulare i poeti, volume sesto (Macabor Editore)

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Italia insulare i poeti, sesto volume (Macabor Editore – QUI)

a cura di Bonifacio Vincenzi e dedicato alla poetessa sarda Marina Minet.

*

Il poeta della moltitudine in transito di Angela Greco AnGre

Giovanni Luca Asmundo è poeta della moltitudine in transito; quella che è stata e quella che è, in una attualità che non sfugge al suo sguardo. Una moltitudine che procede, non senza fatica, nella direzione di un futuro che il poeta ammette plurale e – soprattutto – senza più differenze, riconoscendosi umani nella stessa sorte, pur provenendo da storie e luoghi e sofferenze differenti. Una caratteristica, questa, legata alla genetica della città natale di Asmundo, Palermo, e a quella, finanche, della residenza lavorativa, Venezia. Un percorso compreso tra due realtà che hanno insito in sé il viaggio stesso, che tanto offre alla sensibilità di un giovane che guarda con gli occhi della Storia da cui ha avuto origine la civiltà che lega il Mediterraneo al resto del mondo.

il mito sfrangia in leggenda il tessuto / di un’oralità fatta a mano / e la colonna rotta e non finita / è il fuso ingigantito di una vecchia / che sorta all’ombra di un gesto ancestrale / siede filando la notte dei tempi (da “Disattese – coro di donne mediterranee”, 2019). Sintesi perfetta del soggetto, anzi, dei soggetti della poesia di Giovanni Luca Asmundo, in questi versi si ritrovano le radici della civiltà occidentale ed i topoi più significanti dell’opera di questo autore, dalla quale emergono, fino a rimanere impresse in modo incisivo, figure femminili che hanno attraversato il tempo per consegnare ai lettori di oggi la propria voce e le proprie azioni. Perché questa poesia è ricca di gesta e di gesti, verbi che la movimentano, luci che la colorano e Storia passata nelle maglie strette della difficoltà di giungere ai nostri tempi. Attualità, nella quale il poeta è immerso tenendo saldi i capi di una fune che ad un certo punto ha ceduto. Lui stesso diventa, così, il mezzo dell’unione necessaria per costruire un futuro comune. I personalismi sono avulsi a questo poeta gentile, raffinato e coltissimo; le rare esplicitazioni di accadimenti personali sono diluite con maestria nel dire comune che diviene, nella maniera in cui solo la Poesia sa essere, dire di ciascuno.

E finì per assomigliare al mare / perché sempre ne aveva scrutato obliquamente / il senso, oltre il silenzio abbacinato / […] E finì per assomigliare al mare / e al consumo dei giorni, incessante / e cangiante, oltre lo sguardo salato. (da “Stanze d’isola”, 2017)

La Sicilia è il grande palcoscenico sul quale Asmundo fa muovere le sue figure reali e radicate nella classicità, ma che – va sottolineato – estendono le proprie radici fino a quel suolo dove noi oggi ci muoviamo a nostra volta. Non è, però, una poesia che affida alla sicura riuscita dell’uso di canoni e temi classici la propria riuscita; ma è poesia che crede fermamente nei legami con le proprie origini e nella forza, in senso assolutamente positivo, dell’unione tra coloro che guardano lo stesso orizzonte e si impegnano per raggiungere la propria meta.

Sì, perché nonostante l’impianto da teatro greco di tanta parte della scrittura poetica di Asmundo, la sua è una poesia tesa ad uno scopo civile proprio nell’etimologia del termine: è una poesia che riguarda i cittadini e i loro luoghi e che guarda alla civiltà. Poesia che prende le mosse dal perimetro di un’isola e man mano si espande fino a includere un Mediterraneo allargato ben oltre il visibile. Ed ecco che, col procedere delle pubblicazioni e con la maturità della scrittura, affiora il Mare nostrum in tutta la sua splendente drammaticità, culla e bara, generatore di immense civiltà di cui ancora oggi ci sentiamo figli e figlie e luogo di tradimenti dei sogni di tanti, a causa di un dilagare della perdita del senso di umanità: Se solo fosse statua di fulgido bronzo / come quel giovinetto danzante / tutto quello che viene ripescato / in questo tratto di mare accecante. (da “Lacerti di coro”, 2022)

Un linguaggio ricercato accompagnato e sostenuto da suoni di eco di conchiglia caratterizza questa poesia; una scrittura meditata, concisa, precisa e affascinante, tecnicamente ineccepibile anche nei termini derivanti dall’attività di Gianluca (come si fa chiamare) Asmundo, che è architetto nel senso nobile del termine. Da ogni composizione emerge un equilibrio di sillabe e suoni, appunto, che rende la lettura un momento speciale, capace di trasportare il lettore in quell’armonia anelata come rifugio da un quotidiano che stride sempre più forte nelle tempie. Suoli di diversa natura generano suoni differenti al passaggio etereo di figure in massima parte femminili, che sembrano danzare nel loro affermare profonde verità nascoste e più spesso incise nei loro gesti quotidiani. Le donne del poeta Asmundo fanno parte di un vivere concreto, che assicura loro straordinarietà nei piccoli gesti antichi ripetuti per tradizione che diviene storia e cultura. Il mare è luce e specchio ustorio, mentre i prodotti della terra diventano compagni di una narrazione che travalica il tempo. E gelsomini, limoni e fichi sono simboli, ancora in quel plurale che il poeta non lascia mai. Nemmeno nei titoli delle sue pubblicazioni, dove si fa cenno sempre al coro, quello della tragedia classica, voce e insegnamento che proviene dall’esterno in momenti precisi della rappresentazione.

Se apro le orecchie, sento solo / ragli d’uomo / emergono dal buio cavernoso / compreso dal mio petto / otre amaro. // Magari potessi riudire / il canto docile delle cicale. / Con queste mani mi lego / a un tronco d’ulivo. (da “Stanze d’isola”, 2017)

E il suono è un altro grande protagonista di questa poesia che è tela ordita da mani sapienti in sapienti incroci e filo per filo consegnata al lettore, memoria e speranza per il domani. Il suono delle voci dei protagonisti, ma anche e soprattutto dei luoghi; echi di memorie del territorio, un’isola aperta in quel Mare nostrum, spesso dato per scontato, da cui si dipanano vie e il poeta stesso è un navigante di omerica memoria.

Il viaggio è spostamento fisico e dei destini a cui il poeta presta visioni e voce; di attese e di speranza che il futuro possa trovarci consapevoli e capaci di arginare i torti, le disuguaglianze e le ingiustizie che sempre hanno accompagnato la vita umana, ma che negli ultimi tempi paiono dominarla.

Quella di Asmundo è una poesia di pace e di riappacificazione, dove il ritorno è una costante anche per il poeta stesso, intensamente e appassionatamente legato alla sua terra e della quale porta impressa nella scrittura l’appartenenza anche a distanza; una voce che chiama a raccolta, lentamente, figure che sembrano emergere e prendere corpo dalla terra antica, richiamate da un nuovo Orfeo, che non si capacita della perdita del suo affetto più grande e continua a cantare e filare l’armonia spezzata dalla e della realtà. E ogni figura reca in dote il suo corredo di storie, con i suoi propri colori e le sue caratteristiche; mentre il poeta, dal suo punto d’ancoraggio nonostante lo spostamento fisico, assume le connotazioni di un faro che lampeggia il suo personalissimo alfabeto di salvezza.

la voce ancora nell’aria, vibrante / le ultime onde, lente e possenti / giunte da ovunque alla fine del mare / qui dove tutto ha inizio. (da “Lacerti di coro”, 2022)

*

Tre poesie estratte dalla produzione del poeta.

L’irriducibilità delle stelle
era pari alle braccia delle madri.
Non più vasi in testa, mutati i fardelli
ma sempre un arcaico sorriso giocondo
e il gomito ad anfora greca.
La cicala iniziava di notte, domandava
alle guance, alle caviglie di ognuna
se fossimo brandelli di uno stesso
corpo, attorno alla cesta di origano.

(da “Trittico di esordio”, Ed.Cofine, 2017, a cura di Anna Maria Curci)

*

Forse alla parola
ma credo alla presenza.
Presenza indistruttibile
di certo non si arretrerà di un passo
sui diritti.
Che sia una voce muta o cristallina
si resti a sostenere il fianco caldo
la mano stretta a confortare il braccio
di sorella o fratello, non distinti.
La parità di ognuno sia ben ferma
conquista in discussione in tempi grevi
che occorre rinsaldare in fiume d’oro.
La proprietà di carne è inammissibile
coraggio, nostra voce, nostre fronti
sfavilliamo.

(da “DISATTESE – Coro di donne mediterranee”, Collana di poesia Versante ripido)

*

Se candida luce ci lasciasse implumi
degli affanni, delle attese, delle sorti
se ci riducesse a minore, scevri
di rumori di fondo, potremmo
riporre al sicuro ogni ricordo.
Di molti canti e immagini il respiro
rimase evanescenza delle menti.

Ma se torneremo alla prima rada
o alla scoperta dell’ultima rena
ritroveremo finalmente approdo
e riusciremo a tramutare in cosmi
le nostre colonne in rovina.

(da “Lacerti di coro”, Il Convivio Editore)

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Giovanni Luca Asmundo (Palermo, 1987) vive a Venezia, dove ha conseguito un Dottorato presso l’Università IUAV su Danilo Dolci e lavora nel campo dell’architettura, della ricerca e della didattica. Sue sillogi sono pubblicate nel volume Trittico d’esordio, a cura di Anna Maria Curci (Cofine 2017), e nei libri Stanze d’isola (Oèdipus 2017, vincitore del Premio Felix 2016, introduzione di Domenico Notari), Disattese. Coro di donne mediterranee (Versante Ripido 2019, vincitore del Premio omonimo, postfazione di Cinzia Demi) e Lacerti di coro (Il Convivio 2022, tra i vincitori del Premio Pietro Carrera 2022, nota di Giuseppe Manitta). Suoi scritti in poesia, narrativa e prosa lirica appaiono in antologie, riviste e blog letterari. È tra i fondatori del progetto di poesia e fotografia Topografia di uno smarrimento, su una Sicilia in dissolvenza. Promuove progetti di scrittura e intermediali su migrazioni e dialogo, cura dei luoghi, riflessioni sulla città e il paesaggio contemporanei, tra i quali Periplo delle Repubbliche marinare o dei porti aperti, che raccoglie, inoltre, in rubriche sul blog Peripli.

Versi di Tom Pearson

Versi di Tom Pearson

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I. Una calma straniera

i. Frammenti di Icaro

….Fa’ che follia divina e frattura paterna non abbiano
importanza, sciagura è per noi l’esser resi immortali,
costellazioni che altri navigheranno via
……da ciò che va evitato.

….Sentii una gran voce nella testa la mattina
dopo la morte che mi destò dal sonno, mi sussurrò
all’orecchio: alzati e va’ – va’ a scrivere, spingendomi
……alla confessione –

….Per ricordarlo non come un volo fallito,
non per la caduta, per la fine di quella vita,
ma per i teneri anni di dolce gioventù passati con
……te, bestia della mia infanzia –

….Per tesori ricevuti, nascosti nel giardino,
ci scambiavamo storie raccogliendo cera e penne,
dicevamo la storia per poi rinnegarla
……subito dopo averla detta.

….E poi, infine, la nostra prima strofa giovanile,
l’autobiografia di una reclusione,
la metronomica distanza tra l’arrivo
……e la partenza.

….Nell’alba a stecche ho visto, sbirciando,
ombre nel giardino e incrementi di
colore, luce e suono strisciare furtivi in mezzo
……alla mia attenzione.

….In preda a correnti ignote, tenevo le imposte
chiuse di notte e le aprivo al mattino, l’umore
regolato dalla quantità di luce che accoglievo
……nella stanza fredda –

….Disponendo idee là, sui letti gemelli,
spinti insieme di notte e audacemente preparati
per un raccolto, all’interno, di sogni futuri, per
……ciò che sarebbe stato.

….In futuro, mi ricorderò di questo:
la benedizione della flotta, una quiete straniera,
cugini a nostalgia e malinconia,
……le effimere lanterne

….dei pescatori di notte che puntando le pertiche pregavano
per allamare un sogno o fiocinare una luce sotto la
suggestione di stelle, una volta attraversate, riattraversate,
……a ricucire il cielo.

….E in futuro penserò a lui lungo una
cartografia dei luoghi percorsi dalle sue mani,
mappe vergate su seta, nascoste in tasca ai cappotti e
……alla sua quiete furtiva.

….Ho segnato i giorni e un catalogo di minori
innovazioni sulla parete in un tentativo
di registrare le nostre sere senza pensare adesso
……a come considerarle –

….Nel mare, più che davanti a noi, e in quello
sforzo di annotare quel che era accaduto di
notte, più che vicino alle tue promesse, più che
……il sussurro delle onde –

….Più di Helios da ipnotizzare, con ali
o vele, testando, se gli dèi non fossero arrivati, che
gli dèi saremmo stati noi, in volo e in hubris, con
……un’imbracatura per il vento.

….Ma la nostra alchimia ne trasse poco vantaggio,
il nostro moto verso la libertà, s’immerse, ingollato
dai gabbiani o predato dai marlin, angeli che
……nuotano, pesci che volano.

….Lungo il margine dello strato liminale,
l’acqua inseguì il vento, correnti in coppia conflissero
a placare gli appetiti di troppi in
……ogni direzione –

….E l’energia della tua anima, intensamente sfruttata –
come ho pianto nel lasciarti lì, a urlare nel tuo
labirinto, e io a poppa, dietro al vento di coda
……del volo di mio padre!

….Un’opera simile, lasciata come il gioco di un bimbo,
la sua disattenzione, una spada, e in futuro
lo penserò così, a un padre che dorme,
……un mentore obsoleto –

….Un tempo prigioniero, ora ragazzo che annega
nel mare. Era stato scritto di mio pugno
sui rotoli degli abissi, questo stesso amore, questa
……passione per la caduta.

*

da Eppure, il cielo (Interno Poesia Editore, 2023), cura e traduzione di Andrea Sirotti.

Versi di Czesław Miłosz

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Versi di Czesław Miłosz

*

Un incontro

Attraversavamo all’alba campi ghiacciati su un carro.
Un’ala rossa si levò nel buio.

E all’improvviso una lepre corse sulla strada.
Uno di noi la indicò con la mano.

È stato molto tempo fa. Oggi nessuno dei due è vivo,
Né la lepre, né l’uomo che fece quel gesto.

O amore mio, dove sono, dove stanno andando?
Il lampo di una mano, una striscia di movimento, un fruscio di ciottoli.
Lo chiedo non per pena, ma per meraviglia.

di Czeslaw Milosz da Campane d’inverno – Trad. dall’inglese di Andrea Sirotti e Bruce Hunter – condivisa da InternoPoesia che si ringrazia

~

La finestra

Ho guardato dalla finestra e ho visto un giovane melo
diafano nel chiarore.
E quando ho guardato un’altra volta all’alba là c’era
un grande
melo carico di frutti.
Devono quindi essere passati molti anni ma non ricordo
cosa
sia successo nel sonno.
— Berkeley, 1965

~

Prova

E allora hai provato le fiamme dell’inferno.
Potresti perfino dire come sono: vere.
Terminanti con ganci aguzzi per strappare la carne
A pèzzo a pezzo, fino all’osso. E percorrevi la via
E aveva luogo il castigo, l’effusione di sangue, la fustigazione.
Ricordi, quindi non hai dubbi. È davvero l’Inferno.
1975

da “POESIE” di Czeslaw Milosz, a cura di Pietro Marchesani, Adelphi

Sulla poetica di Giuseppe Schembari di Angela Greco AnGre in Italia insulare i poeti, volume sesto (Macabor Editore)

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Italia insulare i poeti, sesto volume (Macabor Editore – QUI)

a cura di Bonifacio Vincenzi e dedicato alla poetessa sarda Marina Minet.

*

Sulla poetica di Giuseppe Schembari di Angela Greco AnGre

Due libri editi in poco meno di quarant’anni (sono del 1987 alcuni testi inseriti nella prima silloge), ma una vita intera affidata alla scrittura; alla poesia, che salva persino da se stessi. Un poeta di fatto, per quella visione nitida del presente e quella sottile capacità profetica, che caratterizza una scrittura essenziale, scabra, mai ingioiellata per vezzo o moda. Anzi, spogliata e nuda per essere assolutamente aderente a quella verità, che è la profonda ricerca di questo autore cresciuto nella realtà più concreta e meno poetica che si possa immaginare.

E qui sta il grande pregio di questa penna oggi decisamente – e ancora – fuori dagli schemi: riuscire a fare poesia, come l’etimo del termine stesso indica, artigianalmente, scrivendo materialmente un verso alla volta per poi comporre, in un altro tempo, quello della rilettura e della rielaborazione. Nuova elaborazione non tanto finalizzata al sempre proficuo labor limae, quanto piuttosto a restituire il legame tra emozione e realtà che ai versi ha portato. Un lavoro lungo, di analisi particolareggiata, che non contempla fretta o ansie da pubblicazione.

Versi votati alla sommossa fisica e ancor più interiore; una alternativa alla stasi dominante, alla quiete da accettazione passiva della realtà imposta dai sistemi alti: una poesia di reazione civile dalla forte connotazione politica, che conduce, anche a fronte di un linguaggio estremamente diretto, a prendere in seria considerazione gli argomenti di cui il poeta si fa portavoce. Ed ecco, allora, che incontriamo la contestata presenza americana nei territori della Sicilia orientale, la condizione dei detenuti, i margini della società per bene, la Chiesa, lo Stato e le forze dell’ordine visti con gli occhi di chi non condivide gli stessi ideali. Ma su tutto emerge la ricerca della verità, intesa come fame di autenticità.

Giuseppe Schembari, nelle peregrinazioni della sua esistenza non si è mai stancato di indagare oltre il visibile per tentare di trovare una risposta a quello che si vede in superficie e che affonda le proprie radici nelle scelte e nelle decisioni sociali di cui il poeta si sente, fondamentalmente, vittima e ostaggio e alle quali è d’obbligo reagire. Ma vittima del sistema è anche la stessa società, per conformismo, per adeguamento ad un quieto vivere che uniforma, appiattisce e, soprattutto, appanna grandemente la visione dell’ingiustizia perpetrata ai danni dei più deboli, di coloro di cui il sistema societario non si preoccupa e dei quali ha addirittura cattiva opinione, perché hanno un conto in sospeso con il perbenismo se non addirittura con la legge, che regola ogni rapporto tra le parti.

Due testi editi, Al di sotto dello zero e Naufragi (Sicilia Punto L Edizioni, 1989 e 2015) per un totale di quaranta poesie, il lascito – per ora – consegnato ai lettori di tre decenni, fanno di questo autore un concreto poeta del dissenso – come spesso è stato definito – anche nella scelta di non essere una presenza nel bel mondo delle pubblicazioni poetiche italiane. Anzi, il suo sguardo attento individua subito le realtà che si trincerano dietro apparenze benevole, salvo poi artigliare e rivelarsi nell’intimo come negative, coerentemente con il poeta che non tollera i soprusi, i favoritismi e l’inestirpabile ingiustizia sociale.

E l’attenzione ai temi della società e alla condizione del disagio è il trait d’union tra la produzione giovanile e quella ultima, che beneficia, però, anche di un più lucido sguardo al percorso di vita personale. Il tono si fa meno tagliente, nel secondo libro pubblicato a distanza di un quarto di secolo, ma non meno incisivo, indulgendo anche in una certa ricerca linguistica e formale, consapevole del fatto estetico più che altro, sfiorando un lirismo maggiormente confacente all’età, che porta ad ammorbidire – ma solo nell’espressività – il dire, che tuttavia resta volutamente pungente, diretto, ancora capace di scuotere persino i lettori di oggi, che sembrano ormai assuefatti a tutto.

Schembari, tra gli ultimi esponenti dell’Antigruppo siciliano (movimento letterario, artistico e culturale di contestazione nato in Sicilia nel 1966) resta fedele nel tempo alle caratteristiche di quest’ultimo, alla «natura anomala e conflittuale dello stesso consorzio letterario» che poggerebbe «sull’idea di dissidenza, di contrasto: non era necessario che un poeta Antigruppo fosse d’accordo con i principi di un altro, bastava che fosse contro i potenti, contro lo status quo. Era l’atteggiamento di critica che contava». A tale riguardo è utile riportare, traendolo dalla voce omonima presente on-line, anche un’altra breve specifica ancora oggi ben aderente alla poetica di questo autore: «La polemica antigruppo sembra(va) contemplare il categorico rifiuto di ogni possibile forma di dominio culturale e politico. […] essere “antigruppo” non vuol (voleva) dire, dunque, far parte di un movimento strutturato, ma piuttosto assumere un modus operandi di permanente contestazione anti-autoritaria».

Dissenso, rifiuto del potere, messa al bando del capitalismo, critica verso gli stereotipi della società dabbene, ma anche sguardo verso gli emarginati vittime del sistema, includendo non senza dolore un’analisi impietosa della propria esistenza, sono ancora le caratteristiche di questo poeta che continua a percorrere una strada alla ricerca di un presente differente, non regolato dalle logiche utilitaristiche dei dominatori a scapito dei dominati, dei forti sui deboli, tanto da farne una questione tutta politica e sociale, come ormai la poesia contemporanea ci sta disabituando.

*

Tre poesie estratte dalla produzione del poeta.

Luna proletaria (da Al di sotto dello zero)

La notte sussurra
arcane armonie
di nenie dolcissime
mentre la luna
è un’immensa amaca
che culla con fare materno
il sonno sereno
dello stanco operaio
La notte è lacerata
da urla strazianti
di uomini morti
in fabbriche lager
mentre la luna
è un occhio severo
un’eterna minaccia
un perfetto alternarsi
di terribili incubi
e spasmi cardiaci
che tormentano il sonno
dello sporco padrone

3 settembre 1988

*
Orfani (da Naufragi)

Cammino e raschio ruggine dal petto,
niente può scalfire quest’afa greve,
i calci restano lì dove li abbiamo presi
nella costanza di un presente inamovibile.

Per sempre orfani, senza più attese
un dimenarsi assurdo nella frenesia,
la timida avvisaglia in un capogiro
noi che attraverso il silenzio ci parliamo.

Si gioca sui timbri lessicali di un copione,
la didascalia indecifrabile delle parole
che scorre dentro la bocca come una preghiera.

S’è complici e mandanti di feroci rappresaglie,
stanare dalle viscere lo sdegno trasversale
nel fuoco senza attrito di un cuore depredato;
le verità nascoste di tutte le mancanze.

*

Cos’è rimasto (da Naufragi)

Cos’è rimasto

un sorriso lacero
la memoria prosciugata

scomposte geometrie
fratture inevitabili

l’ira dei pupi
e quella dei pupari

E’ rimasto
un vagito
a ricordare la vita

e il fruscio della seta
che increspa
il silenzio della parola

per farsi poesia

.

Giuseppe Schembari (Ragusa, 1963), ha pubblicato due volumi in versi: nel 1989, Al di sotto dello zero, con prefazione di Emanuele Schembari, e nel 2015, Naufragi, con prefazione di Pino Bertelli, entrambi editi da Sicilia punto L. Diverse volte vincitore del Concorso di Poesia “Mario Gori”, del Concorso nazionale di poesia civile “B. Brècht” città di Comiso, del Premio Nazionale di Poesia “Ignazio Russo” città di Sciacca; nel 2017/18 riceve Menzione d’onore al “Premio Lorenzo Montano”; è 3° classificato al Premio Il Convivio, Premio Speciale per l’originalità compositiva, e al Premio “Ugo Carreca” 2018; Premio Speciale “Il Sublime” 2018; Menzione d’onore al Premio Internazionale “Seneca” 2019; 3° Classificato al Concorso Nazionale “Luigi Balzano Conti” 2019 e al Premio Letterario “Città di San Giuliano 2020”; 3° e 5° classificato al Premio Letterario Etna Book, “Cultura sotto il vulcano 2020”. Sue poesie sono inserite in varie Antologie, una tra tutte “Bisogna armare d’acciaio i canti del nostro tempo, Antologia di poeti rivoluzionari”, a cura di Gian Luigi Nespoli e Pino Angione. E’ stato uno degli ultimi esponenti dell’Antigruppo Siciliciano.

Pino Corbo, Con il canto sulle labbra, prefazione di Angela Greco AnGre (Macabor Editore)

Con il canto sulle labbra P.Corbo a cura di AnGre

CON IL CANTO SULLE LABBRA – Testimonianze critiche per la poesia di Pino Corbo

Con una antologia poetica a cura di Angela Greco AnGre

Collana PERCORSI – Testimonianze per la poesia italiana, n°10 –  Macabor Editore, aprile 2024

Hanno collaborato a questo volume: Rocco Taliano Grasso, Silvano Trevisani, Anna Rita Merico, Rocco Salerno, Bonifacio Vincenzi, Alberico Guarnieri, Antonia Vetrone, Tommaso Di Brango, Carlo Giacobbi.

QUI il libro

*

Prefazione di Angela Greco AnGre

Meditate attese con riflessioni verticali, potrebbe essere l’essenza di questa poesia di Pino Corbo, poeta denso di slancio filosofico e consapevole della criticità che attanaglia i viventi. Il tempo, l’assenza, il vuoto sono compagni della vita e della morte che fanno la Poesia. Corbo attraversa i decenni con pubblicazioni che non perdono la voglia di domandarsi soprattutto e, quindi, porre al lettore, quesiti che diventano ricerca, motivo vitale e meta da raggiungere. L’esperienza personale diviene comune attraverso una scrittura che pratica straniamento e quindi a-temporalità negli accostamenti arditi, nei salti di immagine, nell’uso degli incisi e degli spazi che consentono al poeta di appartenere all’oggi fuori dalla data in cui effettivamente ha reso editi i suoi lavori. Nelle poesie di Pino Corbo ci si ritrova per fermata obbligata sull’evento esistenziale che lui frammenta dal primo all’ultimo verso di ognuno dei vari componimenti, segnando curve impegnative in una compagine di significati che resta impressa nel lettore.

Le testimonianze critiche su questa voce poetica contemporanea e contemporaneamente del Sud più profondo nella riflessione del vivere, fanno ben emergere il carattere filosofico nel senso di porsi domande, che questo autore ha ben chiaro. In una analisi dei testi pubblicati in quattro decenni, si intercettano sguardi obiettivi e utili al lettore per toccare con mano una poesia dagli echi ermetici e scarna di orpelli, ma non di capacità di costruzione del verso. Pino Corbo conosce benissimo il peso di ogni singolo dire e attende, spera, si augura che il lettore colga il suo, di tempo, quello dato amorevolmente alla Poesia in virtù di un lascito per l’umanità. Potremmo azzardare a dire – con Bonifacio Vincenzi – che per Corbo sia molto più importante l’attesa della creazione della creazione stessa.

Si conviene con Carlo Giacobbi, quando scrive che l’ ‘in se’ dell’io-lirico si sostanzia in quella sorta di acutezza sensoriale che amplifica il sentire. Secondo Corbo – come scrive Tommaso Di Brango – noi uomini cerchiamo un’armonia impossibile con la vita: perché, erroneamente, pensiamo di avere dei diritti di fronte all’esistenza; mentre Silvano Trevisani coglie con occhio attento che Nelle poesie di Pino Corbo ciò che lascia spiazzati è il diffuso senso di pudore che riguarda il suo stesso proiettarsi verso la scrittura, che si manifesta come atto solo residuale in chi è stato lungamente a vagliare. Sulla scrittura del poeta cosentino Anna Rita Merico mette in luce che essa conosce dinamismi leggeri, il suo ritmo procede attraversando altezze, profondità, linee mediane, tutto – nella Sua parola – si risolve e ricomincia, si apre e chiude in un movimento acceso che obbliga a sempre nuove scoperte di punti di vista, a sempre nuovi accessi dello sguardo; mentre Antonia Ventrone porta al lettore che in Corbo La parola diviene un contenitore di una calma verità che dall’Io si unisce al Tutto nello stesso destino.

Dalla lettura di Rocco Salerno, i versi sono come Diario, storia, dunque, di un’anima inquieta e sconsolata che cerca e si cerca nel continuo balbettio, nel continuo straripare che pone e ripone la sua “segreta” forza nella rivoluzione interiore della parola, fino a far affermare ad Alberico Guarnieri che il poeta insomma, si rifugia in un incantato maniero di cristallo, dove può vedere attraverso la trasparenza dei suoi versi (del vetro) il lento, uguale, disumano trascorrere della vita. Rocco Taliano Grasso evidenzia che Il poeta contempla con occhio immobile le immagini del mondo e con tono distante dal canto, un canto che si spegne sempre senza eco. Se poi dalle visioni si passa all’auscultazione si coglie pure, in filigrana, questa dispersione, la frantumazione avvicinando, così, Pino Corbo alla dimensione attuale, a quella disintegrazione dell’unità che tanto dice dell’Uomo moderno.

*

Quattro poesie di Pino Corbo estratte da Con il canto sulle labbra

ti riconosci ex voto nello specchio
ma non ritrovi grazia
peccato illuminante

ti riconosci
– non ti sorprendi – caldo di gennaio:
nessuno sa che soffri
il fuoco dell’inverno –
aspetti (ad altre latitudini)
meteoropatie o un tempo
senza variazioni

certo le strade irregolari
(le strade di montagna)
tengono assorti incantati
a un passo dell’attesa

dove sopravvive il mistero
per continuare dissolvenze –
dimenticarsi è follia
dismisura del mondo

I sogni

I sogni dimenticati
non diventano poesie.

I versi più vicini alla coscienza
si cancellano nella memoria –
per pigrizia, stanchezza, pudore
e infinità vanità del tutto.

La mia poesia

La mia poesia
è una vecchia serva
a cui permetto poche volte
di mostrarsi in pubblico.

La mia poesia
è una muta aguzzina
che mi sottopone
ai suoi capricci
al suo imprevedibile
desiderio di parole.

.

Pino Corbo è nato nel 1958 a Cosenza. Nel 1982 si è laureato in Lettere Moderne con indirizzo artistico (DAMS) presso l’Università della Calabria. Come poeta ha pubblicato quattro sillogi: Cerco nel vento, 1978; Il segreto del fuoco, 1984; In canto, 1995; La logica delle falene, 2018. Ha pubblicato, inoltre: sei plaquettes (di cui quattro con artisti), due volumi come critico letterario (uno su Pasolini, l’altro su cinema e letteratura) e numerosi saggi, interventi, recensioni su varie riviste italiane e straniere e volumi collettanei.  È stato redattore di numerose riviste; ha insegnato nella Scuola Superiore e ha collaborato dal 1991 al 1998 con il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’UNICAL, svolgendo una ricerca su Pier Paolo Pasolini ‘diseducatore’.

Mark Strand, tre poesie

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Mark Strand, tre poesie

*

Luna

Apri il libro della sera alla pagina
in cui la luna, la luna sempre, appare

tra due nuvole, spostandosi così piano che parrà
siano trascorse ore prima che tu giunga alla pagina seguente

dove la luna, ora più luminosa, fa scendere un sentiero
per condurti via da ciò che hai conosciuto

entro i luoghi in cui quello che ti eri augurato si avvera,
la sua sillaba solitaria come una frase sospesa

sull’orlo del significato, in attesa che tu ne dica il nome
una volta ancora mentre alzi gli occhi dalla pagina

e chiudi il libro, sentendo ancora com’era
soffermarsi in quella luce, quell’improvviso paradiso di suono.

~

La storia della poesia

I nostri maestri se ne sono andati e se tornassero
chi tra noi li sentirebbe, chi riconoscerebbe
il suono corporeo del paradiso o il paradisiaco
suono del corpo, infinito ed evanescente, che dava sintonia
ai nostri giorni prima che le stelle roteanti
venissero private di ogni potere? La risposta è
nessuno di noi qui. E cosa significa se vediamo
le montagne invetriate di luna e il paese con le porte
e i serbatoi piezometrici muti, e ci viene da alzare la voce
un poco, o a volte a fine autunno
quando la sera fiorisce un momento sui monti a occidente
e ci immaginiamo angeli che si precipitano lungo gli scalini freddi
dell’aria per augurarci il bene, se abbiamo perso ogni volontà
e non facciamo altro che poltrire, udendo e non udendo, i sospiri
di questa o quella brezza vagare senza meta sulle fattorie in malora
e i giardini sterili? Questi giorni quando ci svegliamo
ogni cosa risplende della stessa luce celeste
che colmava il nostro sonno qualche minuto prima,
così non facciamo altro se non contare alberi, nubi,
i pochi uccelli rimasti; poi decidiamo che non dovremmo
essere severi con noi stessi, che il passato non era meglio
di adesso, perché non è forse sempre esistito il nemico,
e la chiesa del mondo non era già in macerie?

~

A volte scoppiava un incendio e io ci camminavo dentro
e ne uscivo illeso e continuavo per la mia strada,
e per me era soltanto un’altra cosa fatta e finita.
Quanto a estinguere l’incendio, lo lasciavo ad altri
che si gettavano nelle nubi di fumo con ramazze
e coperte per spegnere le fiamme. Una volta finito
facevano crocchio per parlare di quello che avevano visto –
la gran fortuna di aver testimoniato i lucori del calore,
l’effetto acquietante della cenere, ma anche più di aver conosciuto il profumo
della carta che brucia, il suono delle parole che respirano la loro fine.

.

(Traduzioni di Damiano Abeni con Moira Egan, la seconda)

Due poesie di Dario Bellezza

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Due poesie di Dario Bellezza 

*

Per sempre

Eri una emozione per vivere,
per stridere durante il pasto
serale. Era emozionante ricevere
posta. La mattina in fretta
le scale scendevo e lì
trovavo le ingiurie tue
alla mortale natalità.

Accuse per andare avanti.
Ma dopo ti rendevi inquieta
al delitto del non detto
se non rispondevo per le rime.
O rima che dirti non sapevo
senza la fuga in avanti
di terzine squilibrate
sul dolce stil vecchio della
Musa canterina a presiedere
gli ozi di Sodoma. Dirti
che ero pieno di sonno
se l’immortalità era un pio
desiderio, lugubre sospiro
ti avrebbe annoiato.
Talvolta una stradina
mi risucchia indenne
dove non alberga strepito di auto;
allora sciolto dai tuoi lunghi
sensi camminare ti vedo per sempre.

~

In Calabria

Davanti immacolate montagne
nel sole meridiano indicano
al viandante la sosta e la calma.
Ma fino a quando? E io chi sono
se ancora ardo di voluttà segreta
nel giorno finito, anzi nei giorni
finiti del mondo caduto?

La casa è decrepita
come piace a me, ma troppo tardi,
mi dico, è arrivata, come tutto
ormai tardi è arrivato agli umani.
Panni stesi al balcone al vento
del Pollino, letti disfatti, aurore
così si placa nel risentimento
la vita che ci è data vivere.
Il mio io è distrutto, non esiste:
la realtà è un nome assiderato.

Fragili legami letto da Angela Greco AnGre su IL SARTO DI ULM – Rivista di Poesia (Macabor)

Fragili Legami Macabor letto da Angela Greco AnGre

Fragili legami – Disarmonia e precarietà del mondo contemporaneo (Macabor) letto da Angela Greco AnGre – su IL SARTO DI ULM – Rivista di poesia (anno V – numero 19 – 2024, Macabor Editore).

*

2023, Collana Nuova luce. A cura di Alessia Lombardi; prefazione di Anna Rita Merico. Poesie di Vasyl’ Ivanovyč Holoborod’ko, Patrizia Baglione, Maria Benedetta Cerro, Flaminia Colella, Mariapia L.Crisafulli, Alessandro Fo, Valentino Fossati, Caterina Lazzarini, Isabella Leardini, Paola Loreto, Rossella Tempesta, Silvano Trevisani, Bonifacio Vincenzi.

Una lettura attenta della contemporaneità interpretata da voci che negli ultimi anni sembrano aver visto con anticipo l’esito di questo presente. O, più probabilmente, hanno saputo cogliere la costante disarmonia, appunto, come recita il titolo, che accompagna l’essere umano in quanto tale. In quanto essere consapevole della propria precarietà difronte agli accadimenti, sentimenti o avversità che siano.

Un lavoro collettaneo con il suo coro di voci ha il grande merito di identificare la frammentazione dell’epoca letteraria a cui apparteniamo, consentendo al lettore un confronto; non già per trarne una valutazione estetica, quanto piuttosto per ampliare il ventaglio della lettura. La contemporaneità ha sdoganato stilemi e strutture e un’antologia consente di toccare con mano le prospettive verso cui la poesia si sta orientando. E’ dunque lodevole un lavoro che metta insieme più voci anche distanti anagraficamente e geograficamente, ma accomunate dall’appartenenza a questo oggi; anzi, fragilmente legate da e ad un sentire acuminato nei confronti degli aspetti meno luminosi di questo momento.

Si entra a far parte, così, di un vissuto comune, substrato per emozioni, sicuramente, ma anche per riflessioni di ampio respiro, che lascia emergere non tanto la poesia di mestiere – che pure non manca tra le pagine di questa collettanea – quanto un movimento empatico verso quel che è successo e verso cui si è assunta un’indulgenza che è diventata scrittura. I poeti di questa antologia hanno vissuto intensamente quello che hanno scelto di condividere con i lettori senza nascondimenti e finzioni; hanno elaborato e rivestito di esperienza il succedersi di eventi sentimentali o personali, per offrire un punto di vista sul presente e sui suoi mutevoli aspetti. Ci si ritrova tutti in questi versi. E questo è un pregio non da poco. Si torna a partecipare dell’altro oltre se stessi; attività ampiamente caduta in disuso, ormai, a fronte di egoismi ritenuti sempre la catastrofe maggiore. C’è una delicatezza anche nella sofferenza, nello scorrere delle pagine e delle esperienze poetiche, e si apprezza il suono corale privo di stonature, nel quale non prevale nessuna voce sull’altra, ma tutte insieme lasciano sentire quell’armonia tanto auspicata non solo in poesia.

La Prefazione, nella quale particolare rilievo è da attribuire alla sintesi scritta per ogni poeta, bene mette in mostra le connessioni con il tempo che stiamo vivendo, ancorando al meglio la selezione dei partecipanti alla possibilità di fornire una valida alternativa: “Fragili legami […] è sguardo che non si arrende all’esistente. Lo sguardo che si palesa, nei testi poetici presentati, è sguardo indagatore di lettura del presente, di testimonianza disciplinata sull’evento dell’essere e delle sue possibilità di stare nel cambiamento.”

[Angela Greco AnGre]

*

QUI Fragili legami, antologia

QUI – Il sarto di Ulm – tutti i numeri

Iosif Brodskij, tre poesie

Iosif Brodskij, tre poesie

*

Io ero solamente ciò
che tu toccavi, quello
su cui – notte fonda, corvina –
la fronte reclinavi tu.

Io ero solamente ciò
che tu là in basso distinguevi:
sembiante vago, prima, e poi
molto più tardi, tratti.

Sei tu ardente, che
sussurrando hai creato
la conchiglia dell’udito
a destra, a manca, là, qui.

Tu che nell’umida cavità,
tirando quella tenda,
hai messo voce, perché
potesse te chiamare.

Cieco ero, nulla più.
Tu, sorgendo, celandoti,
hai dato a me la facoltà
di vedere. Si lasciano scie

così, e si creano così
mondi. Spesso, creati,
si lasciano ruotare così,
elargendo regali.

E, gettata così,
in caldo, in freddo, in ombra, in luce,
persa nell’universo,
ruota la sfera e va.

~

Batti sulla pagina vuota, lingua di candela,
palpita, cùrvati sotto il fiato rotto,
segui, ma non avvicinarti!, la sequela
delle lettere in fila per un contenuto.
Rischiari un muro, un armadio, il satiro in una nicchia,
un’area ben più grande di quella che ricopre la scrittura.
Ed il filo del tuo fumo s’innalza e supera
i pensieri dell’autore di queste righe.
Del resto, acquisti un nome nella loro struttura;
in stilografica, in memoria delle sottili tue
virgole in fuoco, alla fine del millennio a Roma
scrivo «lampada», «miccia», «torcia», «fiaccola»,
e virgola, non punto, e la camera ha l’aspetto di prima.
(Se compone la penna, compone sempre poco).
Ma quanta luce danno nella notte
con il buio fondendosi gli inchiostri!

~

Serie d’osservazioni. Angolo caldo.
Lo sguardo lascia una scia sulle cose.
L’acqua si ripropone come vetro.
L’uomo è mostruoso più del proprio scheletro.

Sera con vino rosso in nessun posto.
Una veranda assalita dai salici.
Appoggiandosi al gomito riposa il corpo
come morena fuori dal ghiacciaio.

Fra un millennio un fossile bivalve estrarranno
da questa tenda, e rivelerà fra le nappe
l’impronta di due labbra che non hanno
nessuno a cui augurare “Buona notte”.

Lucilla Trapazzo, tre poesie da Paralleli e meridiani – Diari di viaggio

Il sasso nello stagno di AnGre poesia edita

Tre poesie da Paralleli e meridiani – Diari di viaggio di Lucilla Trapazzo 

prefazione di Mara Venuto – Macabor Editore, 2023 – Qui il libro

*

All’ombra del castello
(41°24’27.32″N – 13°45’55.89″E)

Non ritornerai
nel paese dei cartelli Vendesi
dove il silenzio ci contiene
tutti
contiene i nomi e il vuoto
delle vite e dei negozi
chiusi

Certi giorni la nebbia avvolge
il campanile e i merli
il sole diventa una pietra
o forse è luna piena – certi giorni
si sfaldano i confini
del pensabile

Ricordo quando c’era luce sul laghetto
(quasi un onsen giapponese)
di rosa e d’arancio vestiva il salice
piangente

– custode del campo, dei sogni e di futili promesse
sussurrate –

e qui oggi la corsa del criceto

sospesi sul pozzo dei vermi restiamo
e guardiamo lo sterco
dei buoi la mano che graffia che tende
all’azzurro.

*

Ziitreis – Ha Long Bay
(20°53’59.99″ N 107°11’60.00″ E)

Corrono a grappoli le isole
s’aprono e si chiudono
vanno vengono s’allargano
nella luce cambiano di posto
È una sera qualunque
poi arriva un suono
un punto un dove, un sapore
come macchina del tempo.

Se esiste una costante
è che ogni giorno cambia
eppur non cambia niente
tutto resta uguale.

L’unico rumore è quello delle onde.

*

Napoli
(40° 51′ 6.389″ N 14° 16′ 5.248″ E)

Il maestrale romba tempesta
sulla roccia a ponente
del porto. Solleva le onde
e le tue gonne gitane.
A piedi nudi e con il rosso al vento
danzi. Danzi sopra i versi.
Danzi sul dolore delle prugne.

Tra le parentesi dei venti s’inabissa
la parola io e poi s’alza
in sinfonia di noi.

.

Lucilla Trapazzo è una poeta, traduttrice, artista e performer italo-svizzera.

Redattrice della sezione poesia di MockUp Magazine, Italia e di Innsaei Literary Journal, India, consulente editoriale per Zheng Xin International Award and Journal, Cina, co-redattrice di antologie internazionali, è giurata in concorsi di poesia internazionali e co-organizza e modera eventi di poesia, festival internazionali e mostre d’arte per associazioni internazionali. Le sue poesie sono state tradotte in diciotto lingue e pubblicate ampiamente su importanti riviste letterarie internazionali. copertina TrapazzoNumerosi anche i premi e i riconoscimenti internazionali

Convinta sostenitrice dei diritti umani e del pianeta, il suo punto di vista sociale, e femminile si riflette in molti dei suoi scritti. Da una sua poesia, Salmodia, che narra di una sposa bambina, è stato tratto un video (produzione Palazzo del Poeta, OST Marco Di Stefano), trasmesso da RAI 1 nella stagione primaverile e autunnale 2021. Nelle sue opere cerca spesso una sintesi tra i diversi linguaggi artistici. Cinque i suoi libri di poesia

Due poesie da Tornanti di Angela Greco AnGre (Macabor Editore)

Tornanti di Angela Greco AnGre poesia Macabor Ed

Due poesie da Tornanti 

*

Continuo a guardare quella foto.
Lo sfondo azzurro, il nostro cielo privato, e
una serratura arrugginita per assenze.
Il Maestrale concede di rivedere nitidamente
dopo troppi giorni di sabbia e deserto.
A bordo strada, il fico selvatico sa dell’abbraccio e
di quella dolcezza nascosta in piccoli semi.
Profondissimo, il tuo sguardo riflette i luoghi;
una narrazione in punta di cuore che commuove.

~

Tu sarai così il canto,
sarai il ritorno e
tutte le persone
che sono state.

La terra stessa
sarai tu.

E anche io sarò.

*

Angela Greco AnGre 

Qui il libro

Tomas Tranströmer, due poesie

carta e penna

Tomas Tranströmer, due poesie

*

Stazione

Un treno è entrato in stazione. È fermo, vagone dopo vagone,
Ma nessuna porta si apre, nessuno scende o sale.
Ci sono veramente delle porte? Là dentro un brulichio
Di uomini rinchiusi che vanno su e giù.
E scrutano dai finestrini immobili.
Fuori lungo il treno cammina un uomo con un martello.
Urta le ruote che debolmente risuonano. Tranne qui.
Qui il rumore aumenta incomprensibilmente: un fulmine,
Il rintocco dell’orologio della cattedrale,
Il rumore della circumnavigazione del globo
Che solleva tutto il treno e le pietre umide dei dintorni.
Tutto canta. Ve lo ricorderete. Andate avanti.

~

La coppia

Spengono la luce ma la sua bianca campana di vetro
Riluce ancora un istante prima di svanire del tutto
Come una pastiglia in un bicchiere di oscurità. Poi si alza.
E le pareti dell’albergo si slanciano nel buio del cielo.

I movimenti dell’amore si esauriscono e loro dormono
Ma i pensieri pià segreti si incontrano
Come quando due colori si fondono
Sulla carta umida del disegno di un bimbo.

Buio e silenzio. Ma la città stanotte si è avvicinata.
Con le finestre spente. Sono giunte le case.
Stanno molto vicine nell’attesa affollata,
Di gente dal volto inespressivo.

(trad.di Franco Buffoni da “Songs of Spring. Quaderno di traduzioni”, Marcos y Marcos, 1999)

Omaggio a Leopoldo Attolico

Quattro sassi con - Il sasso nello stagno di AnGre

“la poesia è e sarà sempre azzardo, scommessa, ipotesi stellare.” (Leopoldo Attolico) 

🖋

Saluto con grande affetto un Amico, un Poeta e una splendida Persona, che da ieri brilla alto tra le stelle più luminose. Ciao, Leo! E grazie per la splendida poesia che sei stato…[ AnGre ]

*

da  Piccola preistoria, 1964-1967

.
Chissà che cosa c’è
cosa c’è sempre stato
tra la terra e il mare;
cosa ha contato per tanto tempo
quel lasciarsi toccare, quel cercarsi e trovarsi
scandito da nature diverse
.
Proviamo a immaginare
la terra senza il mare:
qualcosa di molto simile allo sgomento,
al morire sottile che prende chi non può più
voltarsi indietro, perché non c’è più scopo
.
La consuetudine con il mare, dunque.
Ecco, forse il suo essere
è sempre stato un poco il nostro esistere
aggressivo e dolce,
infinito/finito coniugare la vita col tempo
.
Ringraziamolo, il mare.
Chissà se senza lui
sarebbe stata mai possibile la comunione col cielo,
una occasione di canto in un confronto fuggente
tra l’illimite
e la pelle amabile delle cose
.
1964
.
.
§
.
.
ad Aldo Palazzeschi
.
Vorrei colorare di città queste parole
che qui al Gianicolo fanno le mattacchione
mandando in tilt grammatica rimari e richiami
di primavera .
Ma ho solo due labbra di nuvole nel cielo,
appenderci un verso non è cosa,
credo proprio che me ne andrò
stringendomi ‘sta Roma dentro al petto
a cercarmi il mio Rio Bo in un’altra sera…
Caro Rio Bo se batte forte il cuore,
accumula colore, già tesse forme, inventa!…
Esco dalla comune.
Mi affaccio a un orizzonte d’infinito pianoforte
.
1964
.
.
§
.
.
Tutta la vita ad inseguire la bellezza
come se fosse facile asservirla alle voglie del cuore
e all’ordinaria follia che gli fa da balia
.
Tutta la vita ad inseguire il codice binario
convinti che sia un congegno ferroviario,
un misterioso tramite di nuova conoscenza
con la rinnovata efficienza delle Ferrovie dello Stato
.
Tutta la vita a pedinare la felicità,
dal momento che la gioia non è mutuabile
e a buon mercato -si sa- si scippano solo ipotesi di felicità,
anche quella di tifare per gli ultimi
destinati a rimanere eternamente ultimi
visto che i primi sono irraggiungibili
.
1967
.
.
§
.
.
Io lo so che ci sta a fare
la scatoletta di latta a cielo aperto
sulla mia scrivania.
E’ lì per dirmi che la vita
è un crogiuolo frequentato da misterica malia
che lo vuole scoperchiato e disponibile
come un’acquasantiera
.
Tutto deve potervi entrare e uscire;
anche il destino di un tetto originario
che ha fatto della latitanza
l’unica nota irripetibile/fungibile
nel mare magnum del possibile più arioso
del futuribile ad oltranza
.
1967
.
.
 .

attolicoLeopoldo Attolico (Roma, 5 Marzo 1946 – 8 febbraio 2024) è autore di sei titoli di poesia e di quattro plaquettes in edizioni d’arte. Ha collaborato e collabora alle principali riviste letterarie. Una scelta significativa dei suoi testi è presente presso Chelsea, New York, n. 76, 2004, per la traduzione di Emanuel di Pasquale. E’ stato tra i redattori di Poiesis e lo è attualmente di Capoverso. Il suo ultimo libro, La realtà sofferta del comico, Aìsara, 2009, è prefato da Giorgio Patrizi, con post.ne di Gio Ferri. Contatti: leopoldo@attolico.it ; sitowww.attolico.it 

Nel 2018 è uscita l’opera antologica “Si fa per dire. Tutte le poesie, 1964-2016” pubblicata da Marco Saya Editore.

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