Tre poesie di Boris Pasternak

Tre poesie di Boris Pasternak

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Essere rinomati non è bello 

Essere rinomati non è bello,
non è così che ci si leva in alto.
Non c’è bisogno di tenere archivi,
di trepidare per i manoscritti.

Scopo della creazione è il restituirsi,
non il clamore, non il gran successo.
È vergognoso, non contando nulla,
essere favola in bocca di tutti.

Ma occorre vivere senza impostura,
vivere così da accattivarsi in fine
l’amore dello spazio, da sentire
il lontano richiamo del futuro.

Ed occorre lasciare le lacune
nel destino, non già fra le carte,
annotando sul margine i capitoli
e i luoghi di tutta una vita.

Ed occorre tuffarsi nell’ignoto
e nascondere in esso i propri passi,
come si nasconde nella nebbia
un luogo, quando vi discende il buio.

Altri, seguendo le tue vive tracce,
faranno la tua strada a palmo a palmo,
ma non sei tu che devi sceverare
dalla vittoria tutte le sconfitte.

E non devi recedere d’un solo
briciolo dalla tua persona umana,
ma essere vivo, nient’altro che vivo,
vivo e nient’altro sino alla fine.

~

In ogni cosa ho voglia di arrivare

In ogni cosa ho voglia di arrivare
sino alla sostanza.
Nel lavoro, cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.

Sino all’essenza dei giorni passati,
sino alla loro ragione,
sino ai motivi, sino alle radici,
sino al midollo.

Eternamente aggrappandomi al filo
dei destini, degli avvenimenti,
sentire, amare, vivere, pensare,
effettuare scoperte.

Oh, se mi fosse dato, se potessi
almeno in parte,
mi piacerebbe scrivere otto versi
sulle proprietà della passione.

Sulle trasgressioni, sui peccati,
sulle fughe, sugli inseguimenti,
sulle inavvertenze frettolose,
sui gomiti, sui palmi.

Dedurrei la sua legge,
il suo cominciamento,
dei suoi nomi verrei ripetendo
le lettere iniziali.

I miei versi sarebbero un giardino.
Con tutto il brivido delle nervature
vi fiorirebbero i tigli a spalliera,
in fila indiana, l’uno dietro l’altro.

Introdurrei nei versi la fragranza
delle rose, un alito di menta,
ed il fieno tagliato, i prati, i biodi,
gli schianti della tempesta.

Così Chopin immise in altri tempi
un vivente prodigio
di ville, di avelli, di parchi, di selve
nei propri studi.

Giuoco e martirio
del trionfo raggiunto,
corda incoccata
di un arco teso.

~

Non ci sarà nessuno a casa

Non ci sarà nessuno a casa,
tranne il crepuscolo. Il solo
giorno invernale in un trasparente spiraglio
di cortine non accostate.

Solo di bianchi boccoli bagnati
il rapido aleggiante balenio.
Solo tetti e neve e tranne
i tetti e la neve, – nessuno.

E di nuovo arabeschi intesserà la brina,
e di nuovo mi domineranno
lo sconforto dell’anno passato
e le vicende di un altro inverno.

E mi schermiranno di nuovo per una
colpa non ancora perdonata,
e una fame di legna avvinghierà
la finestra lungo la crociera.

Ma inaspettatamente per la tenda
scorrerà il tremito di un’irruzione.
Misurando coi passi il silenzio,
come l’avvenire tu entrerai.

Tu apparirai sulla soglia, indossando
qualcosa di bianco senza stranezze,
qualcosa proprio di quelle stoffe
di cui si cuciono i fiocchi di neve.

(trad. di Angelo Maria Ripellino)

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