Kiki Dimoula, due poesie

cuore

Vasiliki “Kiki” Dimoula (1931-2020) è stata una poetessa greca e la prima donna ad essere inclusa nella prestigiosa serie di poesie della casa editrice francese Gallimard.

*

Sintomo da camera singola

Si stupiscono ogni volta gli albergatori
quando chiedo una camera singola che dà sulla strada.
Mi guardano come se chiedessi morte con vista.

Quest’anno ho dato in pegno il mare
e ho deciso di passare le vacanze in montagna
forse i fruscii del bosco scongiureranno
quella dannata sindrome di ritorno
che domina immediatamente ogni mia fuga.
Se mi abbraccia il tronco satiro di un albero
penso che potrei anche mettere radici.

E i montagna lo stesso.
Come se fosse di ferro la stanza
e l’aria pura leggera esalasse serratura.
Cercavo di aprire con i miei tranquillanti
ma quelli erano più malati di me.
La stessa cose mi è accaduta a Pilo
la stessa fuga disordinata l’anno prima da Siro
a Kalamata l’anno scorso anche peggio
il treno stracolmo e i pianti che volevano
ritornare ad Atene a piedi.
Una tale mania di perseguitarmi domina i luoghi.

Mi manca forse la tua assenza?
Non viene con me la lascio a casa.
Patto esplicito del cambiamento è che non segua.

~

Ho un fiore in mano, forse

Ho un fiore in mano forse.
Strano.
Nella mia vita deve esserci
stato un giardino un tempo.

Nell’altra mano stringo
una pietra.
Con fiera grazia.
Nessun sospetto
per preavvisi di mutamenti,
sentore di difese piuttosto.
Nella mia vita deve esserci
stata ignoranza un tempo.

Sorrido.
La curva del sorriso,
il cavo del mio umore
somiglia a un arco ben teso,
pronto.
Nella mia vita deve esserci
stato un bersaglio un tempo.
E predisposizione a vincere.

Lo sguardo affondato
nel peccato originale:
assapora il frutto proibito
dell’attesa.
Nella mia vita deve esserci
stata fede un tempo.

La mia ombra, nient’altro che un gioco del sole.
Addosso un’uniforme d’incertezza.
Non ha ancora fatto in tempo ad essermi
compagna o delatrice.
Nella mia vita deve esserci
stata abbondanza un tempo.

Tu non ci sei.
Ma se c’è un precipizio del paesaggio
se io sto sull’orlo
con un fiore in mano
e sorrido,
vuol dire che da un momento all’altro arriverai.
Nella mia vita deve esserci
stata vita un tempo.

*

da L’adolescenza dell’oblio (Crocetti, 2000), trad. it. P. M. Minucci.

Kikì Dimulà, La pietra perifrastica

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La pietra perifrastica (1971), di Kikì Dimulà

Parla
Dì qualcosa, una qualsiasi.
Soltanto non stare come un’assenza d’acciaio
Scegli una parola almeno,
che possa legarti più forte con l’indefinito.
Dì “ingiustamente” “albero” “nudo”
Dì “vedremo”
«imponderabile»,
«peso».
Esistono così tante parole che sognanno una veloce, libera, vita con la tua voce
Parla
Abbiamo così tanto mare davanti a noi
Dove noi finiamo inizia il mare
Dì qualcosa
Dì «onda», che non sta arretra
Dì «barca», che affonda se troppo la riempi con periodi
Dì «attimo»,
che urla aiuto affogo,
non lo salvare,
Dì, «non ho sentito»
Parla
Le parole hanno inimicizie,
hanno antagonismi
se una ti imprigiona,
l’altra ti libera.
Tira a sorte una parola dalla notte.
La notte intera a sorte
Non dire «intera»,
Dì «minima»,
che ti permette di fuggire.
Minima
sensazione,
tristezza
intera
di mia proprietà
Intera notte
Parla
Dì «astro», che si spegne
Non diminuisce il silenzio con una parola…
Dì «pietra»,
che è parola irriducibile
Così, almeno
che io possa mettere un titolo
a questa passeggiata lungomare.
.
(Dal web)

Kikí-Dimulà_Kikì Dimulà (Atene, 1931-2020) – Ha lavorato tutta la vita come impiegata alla Banca Nazionale Greca, è stata sposata con il noto poeta Athos Dimulà, scomparso prematuramente: a lui sono dedicate la maggior parte delle sue poesie. Il suo esordio nelle lettere risale al 1952 con la raccolta Poesie e da allora ha pubblicato otto raccolte di versi. Tra queste, Il poco del mondo ha ricevuto il Secondo premio nazionale di poesia e la raccolta Addio mai il Premio nazionale di poesia. Il Premio dell’Accademia di Atene, per l’anno 1994, è stato assegnato alla raccolta L’adolescenza dell’oblio. La Dimulà è stata candidata per il 2000 al Premio Balcani con il libro Per un attimo insieme. Sue opere poetiche: Poesie (1952), Buio (1956), In contumacia (1958), Sulle orme (1963), Il poco del mondo (1971), Il mio ultimo corpo (1981), Addio mai (1988), L’adolescenza dell’oblio (1994), Per un attimo insieme (1998). (nota tratta da Crocetti Editore)

Qualcuno si ricorderà di noi di Alessia Pizzi letto da Angela Greco

Qualcuno si ricorderà di noi di Alessia Pizzi (FusibiliaLibri, collana “palco” (teatro di poesia), ottobre 2020; corto teatrale sulle figure storiche di Saffo, Erinna, Anite e Nosside, poetesse dell’antica Grecia in colloquio con Google, motore di ricerca dell’era digitale, come si legge nel sito dell’editore insieme ad un estratto della Introduzione di Antonella Rizzo) prende le mosse da un verso di Saffo, come la stessa autrice rammenta nella sua premessa, nella quale si presenta – romana, classe 1988 – e presenta il lavoro, che ha portato alla stesura di questo piacevole, originale e godibilissimo testo. Alessia Pizzi è laureata in Filologia classica, ma è ben lontana dall’aggiungere polvere all’idea che in tanti hanno di un mestiere come il suo; tutt’altro. L’autrice, con una verve non indifferente ed un entusiasmo notevole, presta la sua penna e la sua creatività alla realizzazione di un’opera meritevole non solo di essere ricordata, come auspica il titolo, ma anche diffusa.

Il pretesto è un incontro paradossale tra quattro poetesse classiche greche e il nostro beneamato Google, voce fuoricampo, che subito si vanta di essere il motore di ricerca più usato al mondo, gettando subito le protagoniste in un momento di confusione. L’impianto scenico è gradevolissimo: un crescendo a ritroso, che parte dalla presenza di lapidi in campo, per giungere alla personificazione carnale delle poetesse, mentre il caro interlocutore cibernetico man mano scompare dall’attenzione del lettore, che viene preso, a metà dell’opera, dal messaggio forte e chiaro che l’autrice dà: le donne, da sempre messe da parte, hanno oggi la possibilità di riscattarsi da ogni forma di violenza subita – dalla censura dell’intelligenza e della scrittura, alla violenza fisica – mettendo fuori la voce.

Tecnicamente il libro è una piece teatrale, un atto unico scritto tra serio e faceto, senza mai venir meno all’attendibilità storica dei fatti narrati, frutto serissimo degli studi dell’autrice, scritta in dialoghi teatrali inframezzati da componimenti poetici atti a sottolineare ora il pensiero ora la poetica delle protagoniste, sulle quali, spicca la figura di Saffo non tanto per grandezza tra pari – mi si passi l’espressione; Saffo non è più brava, né Erinna, Anite e Nosside sono meno brave – quanto piuttosto, per la sua posizione di saggezza nei confronti delle altre e per il suo ruolo di motrice, che invita e sprona le sue “colleghe” a mettere fuori la voce, in virtù di quella sorta di “fortuna”, che le è toccata, quella di non essere dimenticata del tutto, che meno benevola è stata con tante altre.

Un’opera, questa di Alessia Pizzi, che sicuramente ha il grande merito di aver riportato alla luce figure femminili – con tutte le difficoltà del caso, oggigiorno non ancora risolte – dell’età classica obliate per diverse ragioni e meritevoli, invece, di un posto d’onore per l’audacia, la passione e la creatività in un’epoca – non ancora terminata – di assoluto dominio maschile, ma che ha anche il merito, non da poco, di aver innestato antico e nuovo senza togliere meriti, né esaltandole fuori luogo, a nessuna delle due parti, ma creando un ponte utile per la costruzione di un domani più accettabile. L’autrice si pone, quindi, come trade d’union, come collegamento, che non manca di esprimere il suo fermo punto di vista, iniziando il lettore alla visione non stereotipata di alcune realtà letterarie. La poesia è una componente non in primissimo piano; il protagonista del libro è il pensiero dell’autrice sulle scritture e sulle protagoniste femminili dimenticate, come recita la dedica in apertura libro. Ma, d’altronde, come la stessa Saffo afferma, nel suo verso che dà il titolo al libro, la Poesia sa a priori che sarà materia futura, oltre il trascorrere del tempo e la dimenticanza, mentre è giustissimo che si ricordi che per troppo tempo le donne sono state volutamente dimenticate e azzerate (e volutamente non apro la discussione a riguardo, ma ci sarebbe davvero tanto da dire e da scrivere).

Il linguaggio di Alessia Pizzi, laddove non riporta i versi delle poetesse, è assolutamente aderente alla sua generazione, con espressioni appositamente usate per meglio evidenziare il divario temporale tra le parti; un’operazione che non poteva sfuggire ad una filologa, che ha ben rappresentato l’evoluzione della lingua in poche e centratissime pagine, regalando al lettore un libro e al contempo un manifesto sulla difesa della femminilità e dei suoi sacrosanti diritti, supportata da una validissima introduzione e da una editrice conosciuta per il suo impegno in questo campo.

Angela Greco

[immagini  per gentile concessione dell’autrice e dell’editore]

Constantinos Kavafis – Quella, l’origine

Toulouse-Lautrec - Il letto

Quella, l’origine

Il loro lecito godimento li ha saziati.
Levarsi dal materasso, in fretta rivestirsi,
In silenzio. E via di corsa dalla casa,
Separati, furtivi.
Dal loro inquieto andare per la via
Un timore trapela di tradirsi,
E che il lettuccio dei loro sfoghi
Di poco fa, li additi.
.
Ma quale innalzamento della vita
Per un artista! Di forza inaudita
Domani e dopo, e tra molti anni,
Comporrà versi.
………………………L’origine fu quella.
.
[1921]
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Constantinos Kavafis, Un’ombra di piacere (a cura di Guido Ceronetti, Adelphi, 2013; immagine: Toulouse-Lautrec, Il letto). Al link che segue, un breve video sul poeta di Alessandria:
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Antonis Fostieris, Nostalgia del presente

citta

Nostalgia del presente

Ho nostalgia del presente che vivrò
(L’attesa si accorda con la memoria:
Entrambe falsificano quanto più possono
La sventurata realtà. Lo vedi.)

Quali eventi macchineranno di nuovo
La mia partecipazione? Quale variopinto
Straccio di passione
Imiterà di nuovo la porpora?
Mi stupisce
A che velocità si genera la noia. Se conoscessi
La matematica dei sentimenti correrei
Immobile come Achille (l’idea di Zenone)
Più lento della tartaruga della mia vita.
Non dobbiamo avere fretta.
Come osare sorpassi con il clacson
Quando davanti a te sono imbottigliati gli inferi.

Come posso prevedere qualsiasi cosa accada,

In questo presente così remoto.

*

Antonis Fostieris, da Nostalgia del presente (trad. di Nicola Crocetti, Crocetti Editore)

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2322-4273Antonis Fostieris
è nato ad Atene nel 1953. Ha studiato Giurisprudenza ad Atene e a Parigi. Dal 1981 ha fondato e dirige, con Thanasis Niarchos, la rivista letteraria “I Lexi”. Dal 1975 al 1981 è stato direttore dell’annuario “Poesia”. Ha pubblicato le seguenti raccolte: Il grande viaggio (1971); Luoghi interiori o i vénti (1973); Poesia nella poesia (1977); Amore oscuro (1977); Il diavolo ha cantato a tempo (1981); Il futuro e l’imperativo della morte (1987); Il pensiero appartiene al dolore (1996). Ha tradotto H. Miller, B. Vian, M. Jakob. Le sue poesie sono state tradotte in diversi Paesi europei. In Italia: Nostalgia del presente, trad. di N. Crocetti, intr. di M. Cazzulo, Crocetti Editore 2000.

(immagine dal web; testo tratto dal sito Crocetti Editore)

Anite di Tegea, a cura di Alessia Pizzi – Enciclopedia delle donne

Anite di Tegea, a cura di Alessia Pizzi (dal sito enciclopediadelledonne.it)

Anite (Tegea, Arcadia, Grecia) è una poetessa vissuta nel III secolo a.C. e ricordata dalle fonti come lirica, anche se di lei ci sono pervenuti esclusivamente epigrammi. Considerata l’iniziatrice del filone epigrammatico “dorico-peloponnesiaco”, seguita da Nosside di Locri e Leonida, la poetessa ha realizzato componimenti rivolti alla natura e all’infanzia ma anche funerari e votivi; questi ultimi sono proposti sotto forma di iscrizione fittizia in onore dell’antica veste del genere letterario, ovvero come incisione sui monumenti funebri, ma è chiaro che si trattava di componimenti scritti per un pubblico di lettori e magari raccolti anche in una silloge poetica:

Ad una cavalletta, usignolo dei solchi, e ad una cicala, ospite delle querce, tomba comune eresse Miro bambina; e infantili lacrime pianse, ché l’Ade cattivo fuggì con i suoi due balocchi.

Questi pochi versi racchiudono moltissime innovazioni letterarie introdotte per la prima volta dall’autrice, specialmente la personalizzazione dell’epigramma; anche le ambientazioni pastorali sono una novità nel genere e probabile riflesso dei suggestivi paesaggi dell’Arcadia in cui la poetessa viveva. A parte la collocazione geografica, comunque, di Anite si hanno ben poche notizie biografiche e ciò ha dato vita alla nascita di stereotipi romanzeschi che nel ventesimo secolo la identificavano come la vergine cacciatrice e mascolina che vive nei boschi. L’immagine è sicuramente affine alla produzione dell’epigrammista che, pur essendo eterogenea, rivela una predilezione per l’ambiente bucolico:

Siedi, chiunque tu sia, sotto i rami fiorenti d’alloro, e al bel ruscello un’acqua dolce attingi, sì che le membra ansanti di grevi travagli d’estate si riposino al tocco della brezza.

Tra le tematiche affrontate non manca l’attenzione per il mondo femminile, tipica di Saffo e poi anche di Nosside: nel caso di Anite viene manifestata negli epitaffi, in particolar modo quando la sua sensibilità si concentra sulla morte delle fanciulle decedute poco prima delle nozze:

Piango la vergine Antibia. La brama di lei, pretendenti spinse alla casa di suo padre a frotte, per la nomea di beltà, di saggezza. La Parca funesta rotolò via, di tutti, le speranze.

Non mancano ispirazioni di tutt’altro genere, dalle connotazioni patriottiche ai toni epici, per questo la poetessa è stata spesso definita come mascolina proprio l’epiteto di “Omero donna” (A.P. IX, 26) potrebbe essere dovuto infatti al grande utilizzo dell’immaginario omerico e alla presenza di epitaffi per soldati morti in battaglia, caratterizzati da una nuova prospettiva personale:

Il tuo valore Proarco ti uccise nella mischia e la tua fine gettò in tetro lutto la casa del padre Fidia; ma sopra di te la pietra canta questo messaggio bello: moristi combattendo per l’amata patria

Anite, inoltre, è pioniera dell’epitimbio per animali, sottogenere dell’epigramma funerario, con cui ricorda teneramente i piccoli amici defunti (e.g. A.P. VII, 190, 208,), motivo che avrà molto successo anche nella letteratura latina (chi non ricorda il passer di Lesbia cantato da Catullo?). Non si può escludere, infine, che la poetessa si sia spostata dall’Arcadia, principalmente perché nei suoi epigrammi dimostra di conoscere bene la realtà marina, quando descrive nei dettagli un delfino, oppure una statua che guarda il mare:

È sacro a Cipride il luogo, poiché fu caro a lei sempre scorgere dalla riva il luccicante mare, per dar felice la rotta ai navigatori: dintorno trema l’onda alla vista della sua fulgente statua.

Questo dettaglio potrebbe far entrare la poetessa nel novero delle poetesse vaganti, ovvero quelle artiste che, in età ellenistica, ottennero la possibilità di viaggiare per le sedi del mondo greco per proporre le loro opere di città in città.

immagine d’apertura: opera di Sir Lawrence Alma-Tadema

Sotìris Pastàkas, tre poesie

da: Sotìris Pastàkas, Preghiera per gli amici, Antologia poetica 1990-2012 cura e traduzione di Massimiliano Damaggio – RebStein, Quaderni di Traduzioni, XIV

*

Dono di addio

Questa piccola caraffa l’ha portata qui Kòstas
dall’altra parte della città. Giorno
di pioggia, se la teneva stretta addosso,
dentro alla giacca, e così ha preso un taxi,
che non lo urtassero e magari si rompesse.
La fine più comune di un’incomparabile
amicizia, avrebbe ricordato più tardi,
anche se nessuno lo poteva immaginare,
e nemmeno lui stesso, credo,
quando si fermò sul pianerottolo e salutò,
con un pezzetto di scotch del pacchetto
frettoloso, fra il medio e l’anulare
della mano sinistra.
.
.
.
Ritratto del poeta intorno ai quaranta
.
.
Intorno ai quaranta gli sono capitati insieme
un primo matrimonio e un secondo libro.
Semplice atto di risparmio, la maturità –
chi l’ha detto? Ha strasperperato quel che aveva
e adesso, nel suo nuovo attico,
in piedi al centro della compagnia, col vestito
di lino bianco, l’antiquato borsalino bianco
con il nastrino nero, alza il bicchiere
verso gli invitati. Ascoltiamo di nascosto:
.
“La poesia, in verità vi dico, non ci salverà
dagli errori del presente. Ci concede
consolazione e consenso per
ripeterli, miei giovani fratelli in arte,
sempre migliorati: in un terzo libro,
un secondo matrimonio.”
.
.
.
Salto triplo
.
.
Se puoi aiutarci, Signore,
aiutaci adesso. Adesso, che cerchiamo
il veicolo e non lo troviamo: adesso,
che la parziale perdita di memoria
ha il suo prezzo esatto: un volgare
tassì a tariffa doppia. Mezz’ora
che giriamo per le solite strade,
fuori dal locale coi buzùki
e non lo ritroviamo. La musica
assordante, le ragazze autoctone,
tradizionaliste, disponibili e sorridenti,
che si estasiano per le nostre massime
metafisiche: non benedire il Black Label,
perché la notte è corta e la vita
insopportabilmente lunga. Basta che il bicchiere
sia pieno, che la bottiglia si duplichi
sul nostro tavolo, i bevitori non devono
essere atleti, essere toreri? Ami Làrissa
quando piove, quando esci dal bar
e nessuno può condannarti
perché ti sei pisciato sulle scarpe,
aldilà che non ti ricordi dove hai parcheggiato.
.
Se puoi aiutarci, Signore,
non lo fare. Né urla, né lamenti,
né lacrime, già essiccate,
solo un vento che soffia nelle ultime due
ventiquattrore e noi soffiamo sulla
zuppa di carne mattutina:
il matrimonio si deve almeno
ripetere, e non li devi compatire
gli scapoli. I bevitori sono ogni sera
saltatori di triplo, amici imparentati per affinità,
i due o tre che si vanno a genio
e che continuano da soli,
senza il resto della compagnia, perché insistono
solo quelli che hanno perso la memoria,
quelli che una volta persero la ragione
e a volte anche l’anima, gente
beata e felice cui è capitato
di avere qualcosa da perdere.
Quando muore un uomo nasce
un maiale, e tutti noi, le vittime eccellenti
ringhiamo dal tavolo di fronte,
Circe degli abbracci multipli
delle confessioni inutili
e delle sfide nobili,
a fatica ti ricordiamo, e ti commemoriamo
nelle tue menzogne. Hai donato
a ognuno di noi l’illusione
che chiedevamo, la carezza che cercavamo,
la parola che aspettava, come maggiorana,
di addolcire le nostre agonie metafisiche,
la nostra favola relativa.
Tu da sola ti godi la trippa.
.
Se non puoi aiutarci, Signore,
non importa: ce l’abbiamo fatta
pure stanotte a vedere l’alba, dritti,
prontissimi per il nostro ultimo salto:
c’infileremo dentro la nebbia
a Capo Verde, a Recife,
nella più vicina Lisbona, per mischiarci
alle musiche sublimi, di Titina,
di Cesária Evora o di Agostinho
De Pina, perché la traduzione esatta
della parola saudade, in greco
è l’uomo che si perde
dalla stazione di Làrissa
dentro la Piana,
dentro la nebbia del mattino.
.
.

Sotìris Pastàkas è nato nel ’54 di Larissa e ha studiato medicina a Roma. È poeta apprezzato internazionalmente. Dal 1994 è membro della Società degli Scrittori Greci. Nel giugno del 2001 ha rappresentato la Grecia a Verona in occasione della fondazione dell’Accademia Mondiale della Poesia. Collabora con la Casa della poesia di Baronissi. È fondatore e condirettore della rivista elettronica Poiein (www.poiein.gr), la più importante del panorama greco. È traduttore di poeti italiani quali Vittorio Sereni, Umberto Saba, Sandro Penna, Alfonso Gatto.

Odisseas Elitis, Anniversario

 Anniversario di Odisseas Elitis

… even the weariest river
winds somewhere safe to sea!

 

Ho portato la mia vita fino a qui
Fino a questo punto che lotta
Sempre vicino al mare
Giovinezza sulle rocce, petto
Contro petto nel vento.
Dove mai può andare un uomo
Che non è altro che uomo
Contando con la rugiada i suoi verdi
Attimi, con le acque le visioni
Del suo udito e con ali i suoi rimorsi
Ah vita
Di un ragazzo che si fa uomo
Sempre vicino al mare quando il sole
Gli insegna a respirare là dove scomparirà
L’ombra di un gabbiano.

Ho portato la mia vita fino a qui
Bianchi addendi totale nero
Pochi alberi e pochi
Ciottoli bagnati
Dita leggere per carezzare una fronte
Quale fronte
Ha pianto tutta la notte l’attesa e non c’è più
Non c’è più nessuno
Che faccia risuonare libero il passo
Sorgere rinvigorita la voce
E sciabordare le prue nel molo scrivendo
Un nome più azzurro all’orizzonte
Pochi anni e poche onde
Remigare sensibile
Nelle baie che circondano l’amore.

Ho portato la mia vita fino a qui
Solco amaro inciso nella sabbia che scomparirà.
– Chi vide due occhi sfiorare il suo silenzio
E riunì il loro splendore cingendo mille mondi
Ricordi agli altri soli il suo sangue
Più vicino alla luce
C’è un sorriso che ripaga la fiamma –
Ma qui in luogo ignaro che svanisce
In un mare aperto e impietoso
Il successo perde le piume
Turbinio d’ali
E di attimi legati alla terra
Terra dura sotto piedi
Impazienti, terra da vertigini
Vulcano estinto.

Ho portato la mia vita fino a qui
Pietra votata all’umido elemento
Più lontano oltre le isole
Più in basso delle onde
In compagnia delle ancore
– Quando passano le chiglie fendendo impetuose
Un nuovo ostacolo e lo vincono
E con tutti i delfini albeggia la speranza
Vittoria del sole in un cuore umano –
Le reti del dubbio tirano su
Una figura di sale
Scolpita a fatica
Indifferente bianca
Che volge verso il mare l’orbita vuota degli occhi
Sorreggendo l’infinito.

*

da Orientamenti (1940), in È presto ancora (Donzelli Poesia, 2011 – Trad. di Paola Maria Minucci. L’esergo è tratto da The Garden of Proserpine di A. C. Swinburne)

Odisseas Elitis, versi da Monogramma e altre poesie

riproponiamo…

Emil Nolde - Mezza luna sul mare 1945 acquerello
Emil Nolde, Mezza luna sul mare, 1945 – acquerello

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Odisseas Elitis, versi da «Monogramma»

Tanto la notte, tanto l’urlo nel vento
Tanto la goccia nel cielo, tanto il silenzio
Tutt’intorno il mare despota
L’arcata del cielo con le stelle
Tanto il tuo più piccolo respiro

Tra le quattro pareti, il soffitto, il pavimento
Io non ho altro se non
L’urlo che è tuo e mi colpisce la mia voce
L’odore che è il tuo e s’infuriano gli uomini
Perché non sopportano quel che non hanno
Provato ed è loro straniero, è presto, mi senti
È presto ancora in questo mondo amore mio

Per parlare di te e di me.

IV

È presto ancora in questo mondo, mi senti
I mostri non sono stati domati, mi senti
Il mio sangue perduto e l’affilato, mi senti
Coltello
Come ariete corre nei cieli
E delle stelle spezza i rami, mi senti
Sono io, mi senti
Ti amo, mi senti
Ti prendo per mano, ti conduco, ti metto
La bianca veste nuziale di Ofelia, mi senti
Dove mi lasci, dove vai e chi, mi senti

Ti tiene per mano lassù tra i diluvi

Le gigantesche liane e la lava dei vulcani
Verrà giorno, mi senti
Che ci seppelliranno e poi, dopo migliaia di anni, mi senti
Non saremo che pietre lucenti, mi senti
Dove si rifrangerà l’indifferenza, mi senti
Degli uomini
E migliaia di pezzi da buttare, mi senti

Nell’acqua ad uno ad uno, mi senti
Conto i miei amari ciottoli, mi senti
E il tempo è una grande chiesa, mi senti
Dove le icone a volte, mi senti
Dei Santi
Piangono lacrime vere, mi senti
Le campane aprono in alto, mi senti
Un profondo valico per lasciarmi passare
Gli angeli aspettano con ceri e salmi funebri
Non me ne andrò via di qui, mi senti
O insieme tutti e due o nessuno, mi senti

Questo fiore della tempesta e, mi senti
Dell’amore
Una volta per sempre lo cogliemmo, mi senti
E non potrà più fiorire, mi senti
Su altri pianeti o stelle, mi senti
Non c’è la terra e neppure il vento
Lo stesso vento che toccammo, mi senti

E non un giardiniere che ci sia riuscito, mi senti

Da inverni e bore simili, mi senti
Spuntare un fiore, solo noi, mi senti
In mezzo al mare
Con la sola volontà dell’amore, mi senti
Alzammo intera tutta un’isola, mi senti
Con grotte, promontori e rupi in fiore
Senti, senti
Chi parla nelle acque e chi piange – senti?
Chi cerca l’altro, chi grida – senti?
Sono io che grido ed io che piango, mi senti
Ti amo, ti amo, mi senti.

(trad. di Paola Maria Minucci per blog.quotidiano.net)

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In questo blog, di Odysseas Elytīs (in greco Οδυσσέας Ελύτης) traslitterato anche Odysseus Elytis), pseudonimo di Odysseas Alepoudellīs (Candia, 1911 – Atene, 1996):

elitisIncenso al migliore, IX e IV

Marina delle rocce

Nel blu di Iulita

Sei poeti greci contemporanei… – pdf scaricabile  

 

Odisseas Elitis, Nel blu di Iulita ed una raccolta di poeti greci contemporanei

riproponiamo…

Odisseas Elitis (Iraklion, Creta, 1911 – Atene, 1996)

Nel blu di Iulita

Anche in un frammento di Briseide e in una conchiglia dell’Euripo si trova
Ciò che intendo. Deve avere avuto una fame tremenda di bonaccia agosto
Per cercare il meltemi; così da lasciare un po’ di sale sulle ciglia e
In cielo un blu il cui nome benaugurante odi tra i tanti
Ma nel profondo c’è il blu di Iulita
Come se precedesse la scia del respiro di un bimbo
Che vedi avvicinarsi così nitidamente i monti dirimpetto
E la voce di un antico colombo fendere l’onda e perdersi
.
Se il bene è sacro, di nuovo dal vento
Gli viene ricambiato. Si moltiplica tanto dai suoi stessi figli Eu-
Morfia e l’uomo cresce prima due e tre volte
Lo raffiguri il sonno
Nel suo specchio. Cogliendo mandarini o ruscelli di filosofi se non anche
Un villaggio mobile di api sul pube. E sia
L’uva fa bruno il sole e più candida la pelle
Chi se non la morte ci rivendica? Chi pratica l’ingiustizia dietro ricompensa?
Un accordo armonico la vita
————————–a cui si frappone un terzo suono
Ed è questo che dice veramente che cosa getta il povero
E che cosa raccoglie il ricco: fusa di gatto, rametti intrecciati di agnocasto
Assenzio con capperi, parole che si evolvono con una vocale breve
Baci e abbracci da Citera. Così, a cose come queste si aggrappa
L’edera e si fa più grande la luna perché vedano gli innamorati
In che blu di Iulita puoi leggere la ragnatela del destino
.
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Ah! Quanti tramonti ho visto e quanti corridoi di teatri antichi
Ho attraversato. Però non mi ha mai prestato un po’ di bellezza il tempo
E una vittoria per sconfiggere il nero e prolungare la durata dell’amore cosicché
Sia più ingegnoso e melodico il suo pulpito
Il canto dell’allodola che è in noi
Nube accigliata che solleva uno schietto “no” come una piuma
E poi ricade e tu ti sazi ti sazi ti sazi di pioggia
Diventi coetaneo dell’intatto senza conoscerlo e
Continui a farti il solletico con le tue cugine nei recessi del giardino
Domani un suonatore ambulante ci innaffierà di fiori della notte
E nonostante ciò saremo un po’ più infelici
——————————come solitamente nell’amore
Ma dal mastice dell’argilla sale un sapore eretico
Per metà di odio e sogno per metà di nostalgia
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Se continueremo a essere percettibili come uomini che
Passano la vita sotto cupole punteggiate da tritoni di smeraldo,
—————-allora
Sarà mezzo secondo dopo mezzogiorno
E la sublime perfezione
———————–compiuta in un giardino di giacinti
Cui è stato abolito per sempre l’appassire. Un po’ di grigio
Che una sola goccia di limone rasserena allorché
Vedi ciò che fin che intendevo dall’inizio incidersi
Con caratteri nitidi
 ———————sul blu di Iulita.

*

da Nuove poesie d’amore (Crocetti Editore, trad. di Nicola Crocetti)

— Clicca sul link per scaricare il pdf Sei poeti greci contemporanei 

immagine d’apertura: Georgia O’Keeffe It Was Blue and Green – Photo Courtesy Tracy Mar

Konstantinos Kavafis, versi da Poesie erotiche

Konstantinos Kavafis (gr. Κωνσταντῖνος Καβάϕης – Alessandria d’Egitto, 29 aprile 1863 – ospedale greco San Saba di Alessandria d’Egitto, 29 aprile 1933.)

.

SULLE SCALE

Scendevo quella maledetta scala;
tu entravi dalla porta; per un attimo
vidi il tuo viso ignoto e mi vedesti.
Poi, per non esser rivisto, mi nascosi, e tu
passasti in fretta, nascondendoti il viso,
e t’infilasti in quella maledetta casa
dove non avresti trovato il piacere, come anch’io del resto.

Pure, l’amore che volevi l’avevo io da darti;
l’amore che volevo – lo dissero i tuoi occhi
sciupati e diffidenti – l’avevi tu da darmi.
Si sentirono, si cercarono i nostri corpi;
compresero la pelle e il sangue.

Ma ci nascondemmo, tutti e due sconvolti.

§

DAL CASSETTO

Volevo appenderla a un muro della stanza.

Ma l’umidità del cassetto l’ha guastata.

Non la metto in un quadro questa foto.

Dovevo conservarla con piú cura.

Queste le labbra, questo il viso –
ah, per un giorno solo, per un’ora
solo tornasse quel passato.

Non la metto in un quadro questa foto.

Mi fa soffrire vederla cosí guasta.

Del resto, se anche non fosse guasta,
che fastidio badare a non tradirmi –
una parola o il tono della voce –
se mai qualcuno mi chiedesse chi era.

(Traduzione di Nicola Crocetti)

da Poesie erotiche (Crocetti Editore, 1983)

Sei poeti greci contemporanei per la Giornata Mondiale della Lingua e della Cultura Greca / e-book scaricabile gratuitamente

acropoli-di-atene-grecia

20 Maggio 2016 Giornata Mondiale della Lingua e della Cultura Greca

“Per la prima volta il 20 maggio 2016 sarà celebrata la Giornata Mondiale della Lingua e della Cultura Greca per la salvaguardia della quale è imminente una regolamentazione legislativa da parte dell’attuale Governo greco. L’iniziativa per l’istituzione di questa giornata è partita dalla Federazione delle Comunità e Confraternite Elleniche d’Italia con una iniziale raccolta di firme e completata con la proposta ufficiale tanto al Governo greco, attraverso il Parlamento greco e la Speciale Commissione Permanente dell’Ellenismo della Diaspora, quanto al Rappresentante della Delegazione Greca Permanente dell’UNESCO ed alla Presidenza delle Repubbliche di Grecia e di Cipro. Saranno quindi programmate da parte di tutte le Comunità Elleniche d’Italia, col patrocinio della Federazione, manifestazioni celebrative di questa giornata.” – comunicato tratto dal sito ellade.org

*

Sei poeti greci contemporanei a cura di Angela Greco
per Il sasso nello stagno di AnGre (pdf \ e-book scaricabile gratuitamente QUI)
.
Ghiannis Ritsos (1909 – 1990)
.
.
Mutamenti di popolazioni
.
La città vuota di filosofi, chitarristi, poeti;
forse da lontano mandano qualche segno, qualche favilla
la sera tardi, di tra i riflessi del crepuscolo,
qualcosa sui vetri delle case e nelle buche delle strade
o sulle antenne televisive e sui lampioni. Il che, naturalmente,
non influenza affatto il corso degli eventi. Può darsi tuttavia
che abbia un qualche ruolo più avanti. Ora
commercianti, diplomatici, ragionieri, armatori, trafficanti di antichità e strozzini
affollano le piazze, i bar, i ristoranti. E le notti
sentiamo gli enormi camion coperti scaricare
sul lastricato lustro del Mercato, davanti ai frigoriferi immensi,
certi enormi pescicani scuoiati dalle fauci aperte.
Kàlamos, 31.X.82
da “Poesie inedite” in Ghiannis Ritsos, Il funambolo e la luna e altre poesie inedite, trad. di Nicola Crocetti – Crocetti Editore Milano,1984.

*  *  *

.
Titos Patrìkios (1928)
.
.
I simulacri e le cose 
.

Non ci aspettavamo che accadesse di nuovo
eppure è di nuovo nero come la pece il cielo,
partorisce mostri di oscurità la notte,
spauracchi del sonno e della veglia
ostruiscono il passaggio, minacciano, chiedono riscatti.
Non temere Lestrigoni e Ciclopi…
non temere, diceva il poeta,
ma io temo i loro odierni simulacri
e soprattutto quelli che li muovono.

Temo quanti si arruolano per salvarci
da un inferno che aspetta solo noi,
quanti predicano una vita corretta e salutare
con l’alimentazione forzata del pentimento,
quanti ci liberano dall’ansia della morte
con prestiti a vita di anima e di corpo,
quanti ci rinvigoriscono con stimolanti antropòvori
con elisir di giovinezza geneticamente modificata.

Come una goccia di vetriolo brucia l’occhio
così una fialetta di malvagità
può avvelenare innumerevoli vite,
«inesauribili le forze del male nell’uomo»
predicano da mille parti gli oratori,
solo che i detentori della verità assoluta
scoprono sempre negli altri il male.
«Ma la poesia cosa fa, cosa fanno i poeti?»
gridano quelli che cercano il consenso
su ciò che hanno pensato e già deciso,
e vogliono che ancora oggi i poeti
siano giullari, profeti o cortigiani.

Ma i poeti, nonostante la loro boria
o il loro sottomettersi ai potenti,
il narcisismo o l’adorazione di molti,
nonostante il loro stile ellittico o verboso,
a un certo punto scelgono, denunciano, sperano,
chiedono, come nell’istante cruciale
chiese l’altro poeta: più luce.
La poesia non riadatta al presente
la stessa opera rappresentata da anni,
non salmeggia istruzioni sull’uso del bene,
non risuscita i cani morti della metafisica.
Passando in rassegna le cose già accadute
la poesia cerca risposte
a domande non ancora fatte.

da “La resistenza dei fatti”, 2000, in Poeti greci del Novecento, I Meridiani, Mondadori,  2010 – trad.di Nicola Crocetti (per questa poesia si ringrazia “poesia in rete” di Titti DeLuca)

*  *  *

Kikì Dimulà (1931)

Fotografia 1948

Tengo in mano un fiore, forse.
Strano.
Sembra che nella mia vita
sia passato un giardino, una volta.
 .
Nell’altra mano
tengo un sasso.
Con grazia e fierezza.
Nessun sospetto
che mi si avverta di mutamenti,
che stia saggiando difese.
Sembra che nella mia vita
sia passata l’ignoranza, una volta.
 .
Sorrido.
La curva del sorriso,
il cavo di questa inclinazione,
assomiglia a un arco ben teso,
pronto.
Sembra che nella mia vita
sia passato un bersaglio, una volta.
E l’inclinazione alla vittoria.
 .
Lo sguardo immerso
nel peccato originale:
assaggia il frutto
proibito dell’attesa.
Sembra che nella mia vita
sia passata la fede, una volta.
 .
La mia ombra, solo un gioco del sole.
Indossa una divisa d’esitazione.
Non ha ancora fatto in tempo a essere
mia compagna o mia delatrice.
Sembra che nella mia vita
sia passata l’abbondanza, una volta.
 .
Tu non appari.
Ma se c’è una forma nel paesaggio
se mi sono fermata sul suo bordo
tenendo un fiore in mano
e sorridendo,
significa che che fra un po’ verrai.
Sembra che nella mia vita
sia passata la vita, una volta.
.
da Antologia della poesia greca contemporanea (Crocetti Editore, 2005)
.
*  *  *
.
.

Odisseas Elitis (1911 – 1996)

Nel blu di Iulita

Anche in un frammento di Briseide e in una conchiglia dell’Euripo si trova
Ciò che intendo. Deve avere avuto una fame tremenda di bonaccia agosto
Per cercare il meltemi; così da lasciare un po’ di sale sulle ciglia e
In cielo un blu il cui nome benaugurante odi tra i tanti
Ma nel profondo c’è il blu di Iulita
Come se precedesse la scia del respiro di un bimbo
Che vedi avvicinarsi così nitidamente i monti dirimpetto
E la voce di un antico colombo fendere l’onda e perdersi

.

Se il bene è sacro, di nuovo dal vento
Gli viene ricambiato. Si moltiplica tanto dai suoi stessi figli Eu-
Morfia e l’uomo cresce prima due e tre volte
Lo raffiguri il sonno
Nel suo specchio. Cogliendo mandarini o ruscelli di filosofi se non anche
Un villaggio mobile di api sul pube. E sia
L’uva fa bruno il sole e più candida la pelle
Chi se non la morte ci rivendica? Chi pratica l’ingiustizia dietro ricompensa?
Un accordo armonico la vita
————————–a cui si frappone un terzo suono
Ed è questo che dice veramente che cosa getta il povero
E che cosa raccoglie il ricco: fusa di gatto, rametti intrecciati di agnocasto
Assenzio con capperi, parole che si evolvono con una vocale breve
Baci e abbracci da Citera. Così, a cose come queste si aggrappa
L’edera e si fa più grande la luna perché vedano gli innamorati
In che blu di Iulita puoi leggere la ragnatela del destino.

.
Ah! Quanti tramonti ho visto e quanti corridoi di teatri antichi
Ho attraversato. Però non mi ha mai prestato un po’ di bellezza il tempo
E una vittoria per sconfiggere il nero e prolungare la durata dell’amore cosicché
Sia più ingegnoso e melodico il suo pulpito
Il canto dell’allodola che è in noi
Nube accigliata che solleva uno schietto “no” come una piuma
E poi ricade e tu ti sazi ti sazi ti sazi di pioggia
Diventi coetaneo dell’intatto senza conoscerlo e
Continui a farti il solletico con le tue cugine nei recessi del giardino
Domani un suonatore ambulante ci innaffierà di fiori della notte
E nonostante ciò saremo un po’ più infelici
——————————come solitamente nell’amore
Ma dal mastice dell’argilla sale un sapore eretico
Per metà di odio e sogno per metà di nostalgia

.

Se continueremo a essere percettibili come uomini che
Passano la vita sotto cupole punteggiate da tritoni di smeraldo,
–—————allora

Sarà mezzo secondo dopo mezzogiorno
E la sublime perfezione
———————–compiuta in un giardino di giacinti
Cui è stato abolito per sempre l’appassire. Un po’ di grigio
Che una sola goccia di limone rasserena allorché
Vedi ciò che fin che intendevo dall’inizio incidersi
Con caratteri nitidi
 ———————sul blu di Iulita.

 .

da Nuove poesie d’amore (Crocetti Editore – Trad. di Nicola Crocetti)

*  *  *

Costantino Kavafis (1863 – 1933)

Idi di marzo

Anima, temi le cose grandi.
E se non puoi sconfiggere le ambizioni,
assecondale almeno con prudenza,
con esitazione. E più procedi,
con tanta maggior cura indaga.

Raggiunto che avrai il culmine, Cesare ormai,
quando figura d’uomo famoso avrai assunto,
soprattutto allora sii vigile, se esci in strada,
sovrano insigne, con il tuo corteo,
se avviene che ti si accosti dalla folla
un Artemidoro con in mano una lettera
e che ti dica in fretta: «Leggi subito questa,
è una cosa importante, t’interessa»,
fermati pure, allora, dilaziona
ogni affare o discorso; scosta pure
chi ti saluta e ti s’inchina
(li vedrai più tardi); lascia che aspetti
anche il Senato, e leggi subito
le cose gravi che scrive Artemidoro.

da poesie 1905 – 1915 in Costantino Kavafis, Le poesie, trad.e cura di Nicola Crocetti, Einaudi 2015

*  *  *

Nikitas Randos (1907 – 1989)

Villa Asphodela

Vicino al mare s’ergerà la casa che ospiterà i miei sogni
e davanti alla casa – casa piccola e brutta, tutta finestre e porte –
un giardino enorme senza molti alberi, senza aiuole,
e come fiori, solo di marzo, asfòdeli.
Invece di vialetti, rocce a strapiombo
e per ombra le grasse foglie dei cactus.
Un cipresso rinsecchito annuncerà i venti.
Ma tranne i gabbiani nessun uccello a intralciare con superflui gorgheggi la vista del —–[paesaggio.
A un’estremità del giardino, più ripida, più secca, più pericolosa del passo ignaro,
nei vasi pianterò capelli d’un colore
d’un ritmo che ricordi le chiome delle poche teste che ho veramente amato.
Quotidianamente li innaffierò d’acqua marina che porterò nel cavo delle mani.
Solo i cactus e gli asfòdeli berranno acqua piovana –
hanno il potere di non perdere i loro tratti austeri nonostante la carezza letale degli —–[acquazzoni.
Di giorno con il sole di notte con la luna
d’estate con il caldo consolatore che viene dalla Libia
e d’inverno con il vento che impara l’arte di bruciare su praterie gelate
quando le febbri del ricordo mi cacceranno fuori di casa seguirò
le strane giravolte della mia ombra in mezzo ai vasi, ai cactus, agli asfòdeli. –
Quando la stanchezza avrà sovvertito il ritmo del mio respiro
e i miei piedi nudi non soffriranno più gli spunzoni delle rocce
proverò a trovare il ristoro che le veglie insonni m’hanno tolto
poserò la testa presso la terra dove crescono i capelli
così da sentire la mia stessa chioma perdersi nei vasi d’argilla.
Questo rito dei miei perduti amori nessuno lo vedrà
le foglie dei cactus alte e larghe celeranno ogni cosa
l’onda scaccerà con gli urli dei gabbiani ogni sembianza umana
e i corpi secchi degli asfòdeli col grido acuto della morte
quando piedi d’uomo li spezzano – nella mia casa avranno la funzione del cane —–[fedele.
Vivrò così indisturbato finché mi nutrirà la fantasia di storie immobili nel tempo.
.
Sui cactus, con le spine stesse inciderò profonde le iniziali dei nomi per me dolci.
E con le unghie sulle stesse superfici scriverò epistole a un unico indirizzo: la vita —–[delle foglie.
Ciò che ancora serberò per pegno delle esistenze che mi esiliarono dalle gioie del [mondo,
insieme ai sassi lo butterò nelle fiamme verdi attizzate dai cactus impudichi.
La cenere di tante speranze l’annaffierà senza posa una schiuma bianca
che il vento pazzo d’una primavera impetuosa spargerà con sabbia abbondante sulle —–[rocce sepolcrali.
Quel vento recherà alle care piante del mio giardino il seme prezioso che eternerà la —–[saldezza delle linee intorno a me.
Così potrò sempre, tornando sfinito a casa mia,
addobbarla tutta, da cima a fondo – dopo aver chiuso ermeticamente porte e —–[finestre
con l’aroma degli asfòdeli.
.
(da Quaderno I, 1933)
da Antologia della poesia greca contemporanea (Crocetti Editore)

Bandiera-grecia

Il sasso nello stagno di AnGre - 20 maggio 2016

Odisseas Elitis, Incenso al migliore, IX e IV

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Odisseas Elitis, Incenso al migliore, da Il piccolo marinaio (1985) in E’ presto ancora (a cura di P.M.Minucci, Donzelli Poesia,2011)

IX

«Ieri ho affondato la mano nella sabbia e ho preso la sua. Tutto il pomeriggio poi i gerani mi guardavano dai cortili in modo signifi­cativo. Le barche, tirate a secco sulla riva, hanno preso un’aria no­ta, familiare. E la sera tardi, quando le tolsi gli orecchini per baciarla come voglio io, con le spalle appoggiate sul muretto della chiesa, tuonò il mare e i Santi uscirono tenendo in mano ceri per farmi luce».

Senza dubbio c’è per ognuno di noi una sensazione distinta, insostituibile che, se non la trovi e non la isoli per tempo e non vivi più tardi con lei così da riempirla di azioni visibili, sei perduto.

*

Odysseas Elytīs (in greco Οδυσσέας Ελύτης) traslitterato anche Odysseus Elytis), pseudonimo di Odysseas Alepoudellīs (in greco Οδυσσέας Αλεπουδέλλης; Candia, 2 novembre 1911 – Atene, 18 marzo 1996)

Odisseas Elitis Incenso al migliore da Il piccolo marinaio -Il sasso nello stagno di AnGre

Odisseas Elitis, Marina delle rocce

nuoto

 

Odisseas Elitis, Marina delle rocce

Hai un sapore di tempesta sulle labbra – Ma dove vagavi
Tutto il giorno nel duro sogno della pietra e del mare
Vento da aquile ha spogliato i colli
Ha spogliato fino all’osso il tuo desiderio
E le pupille dei tuoi occhi hanno accolto il segnale della Chimera
Rigando di schiuma il ricordo!
Dov’è la consueta erta del breve settembre
Nella rossa terra dove giocavi guardando in basso
I profondi faveti delle altre fanciulle
Gli angoli dove le tue compagne lasciavano bracciate di rosmarino

– Ma dove vagavi
Tutta la notte nel duro sogno della pietra e del mare
Ti dicevo di contare nell’acqua spoglia i suoi giorni luminosi
Di goderti supina l’alba delle cose
O anche di vagare per gialle vallate
Con un trifoglio di luce al petto eroina di giambo.

Hai un sapore di tempesta sulle labbra
E una veste rossa come il sangue
In profondo dentro l’oro dell’estate
E nel profumo dei giacinti – Ma dove vagavi

Scendendo verso rive e baie con i ciottoli
Là c’era un’erba marina fredda salmastra
Ma più giù un sentimento umano che sanguinava
E aprivi con stupore le braccia dicendo il suo nome
Salendo leggera sino alla trasparenza del fondo
Dove risplendeva la tua stella marina.

Ascolta, la parola è la saggezza degli ultimi
E il tempo scultore impetuoso degli uomini
E il sole lo sovrasta belva di speranza
E tu più vicina a lui stringi un amore
Con un amaro sapore di tempesta sulle labbra.

Non puoi contare azzurra sino all’osso su altra estate
Perché cambino corso i fiumi
E ti riportino indietro alla loro madre
Per baciare ancora altri ciliegi
O per andartene a cavallo del maestrale.

Avvinta alle rocce senza ieri né domani
Nei pericoli delle rocce con la raffica della tempesta
Darai l’addio al tuo enigma.

*

da Orientamenti

O.Elitis, E’ presto ancora (Donzelli Poesia)

Odisseas Elitis, Nel blu di Iulita

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Odisseas Elitis, Nel blu di Iulita

Anche in un frammento di Briseide e in una conchiglia dell’Euripo si trova
Ciò che intendo. Deve avere avuto una fame tremenda di bonaccia agosto
Per cercare il meltemi; così da lasciare un po’ di sale sulle ciglia e
In cielo un blu il cui nome benaugurante odi tra i tanti
Ma nel profondo c’è il blu di Iulita
Come se precedesse la scia del respiro di un bimbo
Che vedi avvicinarsi così nitidamente i monti dirimpetto
E la voce di un antico colombo fendere l’onda e perdersi
.
Se il bene è sacro, di nuovo dal vento
Gli viene ricambiato. Si moltiplica tanto dai suoi stessi figli Eu-
Morfia e l’uomo cresce prima due e tre volte
Lo raffiguri il sonno
Nel suo specchio. Cogliendo mandarini o ruscelli di filosofi se non anche
Un villaggio mobile di api sul pube. E sia
L’uva fa bruno il sole e più candida la pelle 
Chi se non la morte ci rivendica? Chi pratica l’ingiustizia dietro ricompensa?
Un accordo armonico la vita
————————–a cui si frappone un terzo suono
Ed è questo che dice veramente che cosa getta il povero
E che cosa raccoglie il ricco: fusa di gatto, rametti intrecciati di agnocasto
Assenzio con capperi, parole che si evolvono con una vocale breve
Baci e abbracci da Citera. Così, a cose come queste si aggrappa
L’edera e si fa più grande la luna perché vedano gli innamorati
In che blu di Iulita puoi leggere la ragnatela del destino
.
.
Ah! Quanti tramonti ho visto e quanti corridoi di teatri antichi
Ho attraversato. Però non mi ha mai prestato un po’ di bellezza il tempo 
E una vittoria per sconfiggere il nero e prolungare la durata dell’amore cosicché
Sia più ingegnoso e melodico il suo pulpito
Il canto dell’allodola che è in noi
Nube accigliata che solleva uno schietto “no” come una piuma
E poi ricade e tu ti sazi ti sazi ti sazi di pioggia
Diventi coetaneo dell’intatto senza conoscerlo e 
Continui a farti il solletico con le tue cugine nei recessi del giardino
Domani un suonatore ambulante ci innaffierà di fiori della notte
E nonostante ciò saremo un po’ più infelici
——————————come solitamente nell’amore
Ma dal mastice dell’argilla sale un sapore eretico
Per metà di odio e sogno per metà di nostalgia
.
Se continueremo a essere percettibili come uomini che
Passano la vita sotto cupole punteggiate da tritoni di smeraldo, 
—————allora
Sarà mezzo secondo dopo mezzogiorno 
E la sublime perfezione
———————–compiuta in un giardino di giacinti
Cui è stato abolito per sempre l’appassire. Un po’ di grigio
Che una sola goccia di limone rasserena allorché
Vedi ciò che fin che intendevo dall’inizio incidersi
Con caratteri nitidi
 ———————sul blu di Iulita.

 

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da Nuove poesie d’amore (Crocetti Editore)

(traduzione di Nicola Crocetti)

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