Simone Weil, Prometeo

Simone Weil, PROMETEO

Un animale smarrito e solo,
Morso nel ventre da un rovello incessante
Che lo fa correre, tremante di stanchezza,
Per fuggire la fame che solo morendo sfugge;
In cerca della vita per oscure selve;
Cieco quando la notte manda le sue ombre;
Colpito nel cuore della roccia da freddo mortale;
Pronto all’accoppiamento in casuali strette;
Preda di dèi, dei loro oltraggi che lo fanno urlare.
Tale saresti, uomo, senza Prometeo.
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Fuoco che crei e distruggi, o fiamma artista!
Erede dei bagliori del tramonto!
L’aurora sale al cuore di luttuosa sera;
II dolce focolare unisce le mani; il campo
Ha preso il posto dei riarsi rovi.
Duro metallo sgorga nelle colate,
li ferro si piega ardente e al martello cede.
Colma l’anima un lume sotto un tetto.
Come un frutto matura il pane nella fiamma.
Quanto vi amò, per farvi un tale dono!
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Vi dette ruota e leva. O meraviglia!
Il destino si piega al lieve peso delle mani.
Il bisogno teme la mano che di lontano veglia
Sulle leve, signora delle strade.
O venti marini sconfitti da una vela!
O terra aperta al vomere, sanguinante e nuda!
Abisso dove discende una lampada tremante!
Il ferro corre, morde, afferra, distende e trita,
Docile e duro. Le braccia portano la loro preda,
Il pesante universo che dà sangue e lo beve.
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Fu Prometeo artefice dei riti e del tempio,
Magico cerchio per trattenere gli dèi
Lontani dal mondo; così l’uomo contempla,
Solo e muto, la sorte, la morte e i cieli.
Egli creò linguaggio e segni.
Vanno attraverso il tempo parole alate
Per monti e valli a muovere cuori e braccia.
L’anima parla con sé e cerca di capirsi.
Cielo, terra e mare tacciono per sentire
Due amici, due amanti che si parlano piano.
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Ancora più luminoso fu il dono dei numeri.
Fantasmi e demoni dileguano morendo.
Sa scacciare le ombre la voce che conta.
È calmo e trasparente perfino l’uragano.
Ogni stella ha il suo posto nella profondità del cielo;
Non mente mai quando parla alla vela.
Atto si aggiunge ad atto; nessuna cosa è sola;
Tutto si corrisponde sulla giusta bilancia.
Nascono canti puri come il silenzio.
Talvolta si schiude il sudario del tempo.
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Grazie a lui l’alba è una gioia immortale.
Ma un destino funesto lo tiene piegato.
Il ferro lo inchioda alla roccia; la fronte trema;
E mentre pende crocifisso, in lui
Entra il dolore freddo come lama.
Ore, stagioni, secoli gli divorano l’anima,
Di giorno in giorno gli si strugge il cuore.
Invano gli si torce il corpo sotto la stretta;
L’istante fuggendo sperde il suo pianto al vento;
Solo, senza più nome, carne preda di sventura.
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da Simone Weil, Poesie, a cura di Roberto Carifi (Le Lettere Ed.)
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