Curare il mondo con Simone Weil, Editori Laterza, settembre 2023, di Tommaso Greco (si precisa che non siamo parenti) è stato pubblicato in occasione degli ottanta anni dalla scomparsa della filosofa francese, ma non è un atto celebrativo della ricorrenza occorsa. Piuttosto, il testo, magmatico di spunti e riflessioni, è una luce accesa su una visione nuova della società attraverso un pensiero scomodo e inattuale che, per un fatto destinico o per quella nota ricorrenza della Storia, risulta di una necessità indicibile a fronte degli accadimenti quotidiani di cui siamo partecipi come esseri accomunati della stessa sorte.
È una presa di coscienza sulla responsabilità del singolo e della comunità, una presa di posizione nei confronti degli ultimi, l’indicazione di una via senza compromessi per una società civile he rifugga la forza come mezzo di affermazione. Un testo che fornisce molte suggestioni e tocca molte corde; un diorama che apre prospettive, necessarie in moltissimi ambiti, nel solco della pubblicazione precedente – La legge della fiducia (Ed.Laterza, 2021). Questa volta, la fiducia è riposta nell’essere – verbo e sostantivo – umano e non solo nel sistema leggi-giustizia. Tra queste pagine, scritte ancora una volta non solo per gli addetti ai lavori, l’Autore prende in considerazione quello che sembra essere un limite della Giustizia, ovvero l’aver dimenticato, in qualche modo, di essere anche umana. Una Giustizia fatta certamente dagli uomini e per gli uomini, che ha perso la capacità di guardare a questa condizione dallo stesso punto di vista, quello umano, appunto. Ma il libro di Greco, come espresso in quarta di copertina, si domanda che cosa sia la giustizia, come ci si debba comportare per essere giusti e quale possa essere la via per far crescere le nostre relazioni, “sottraendole alla logica del dominio che le uccide”, espandendone il senso e considerando la giustizia che riguarda e definisce ogni rapporto quotidiano.
Ecco, allora, che Simone Weil diventa un mezzo, una strada da percorrere per conformare la Giustizia ad un modello nuovo. Una Giustizia che non sia frutto di applicazione meccanicistica, ma che guardi coloro a cui si rivolge con occhi scoperti, privi di benda; che deponga la spada della forza – giudizio, che categorizza in maniera assoluta; che sostituisca quella bilancia a bracci uguali, su cui vengono posti un peso e un contrappeso miranti all’equilibrio e con la quale iconograficamente è passata alla storia, con un nuovo strumento di misurazione che consideri quanto v’è oltre le mere argomentazioni addotte dal diritto: una bilancia a bracci diseguali. Bilancia nuova, che contrapponga ad un dato peso uno infinitesimamente più piccolo per ripristinare l’equilibrio, allungando non solo per una legge fisica, ma proprio in senso materiale, uno dei due bracci. Braccio, che in Simone Weil acquisirà le sembianze di quello teso verso lo sventurato, nel gesto di chi si abbassa, sbilanciandosi, verso le necessità dell’altro, del buon samaritano del vangelo di Marco. Questa pubblicazione, concretamente, sottolinea che la giustizia non si compie solo per mezzo del rispetto e attuazione delle leggi, ma, quando queste ultime giungono ad un limite, anche grazie ad altro.
Il libro, riproponendo al lettore ampi stralci del pensiero e delle opere della filosofa francese, fa prendere atto e riflettere su quanto serve non solo alla giustizia, ma a ciascuno di noi, perché non si realizzino svantaggi a scapito del più debole. Debole, che con Weil si impara a definire sventurato, ovvero toccato da una sorte non benevola, non voluta, ma accaduta; imparzialità, forza ed equilibrio, i tre principali attributi con cui viene riconosciuta la Giustizia, vengono così sostituiti da attenzione, debolezza e decreazione, i punti fondamentali del pensiero etico – religioso (pag.76) di una figura tenace e coerente, figlia di un tempo di forti tensioni e imminenti transizioni, capace, grazie ad una visione attenta e a un forte spirito critico, di intercettare quanto stava accadendole intorno. Non viene meno il ruolo della legge nel far rispettare i suoi principi, ma viene messo in evidenza che la Giustizia ha – o dovrebbe avere – una componente che travalica il suo aspetto meramente giuridico per rispondere ad un obbligo (che da definizione indica un vincolo ineludibile se non pagando un pegno) anche della coscienza.
Con Weil Tommaso Greco ci conduce a riscoprire quella giustizia cosiddetta dei semplici; la stessa che in “Fontamara” di Ignazio Silone fa dire ai cafoni che siamo tutti cristiani e quindi soggetti e meritevoli delle medesime attenzioni, anche dinnanzi a qualcosa che la legge non eguaglia in virtù di argomentazioni comunque ritenute valide. “Non si fa qualcosa in risposta a ciò che l’altro ha omesso o compiuto; si fa qualcosa per l’altro, per soddisfare la sua domanda di giustizia, investendo fiduciariamente sulla sua capacità di proiettarsi nel futuro” (pag. XII). In questo passaggio si può scorgere il legame tra questo saggio di Tommaso Greco e il precedente, nel quale si confidava nell’azione di ognuno, che non avrebbe dovuto agire per timore, ma in virtù del credere in quanto stava facendo. Così, non già per obbligo-timore delle conseguenze si deve agire verso gli altri, quanto piuttosto guardando invece la reale condizione in cui essi si trovano; infatti, richiamando il vangelo di Marco, in tanti passarono, ma solo uno, il samaritano, si fermò perché aveva guardato lo sventurato e si chinò verso colui che era a terra, tendendo la propria mano per aiutarlo. Nessuno sa nulla dell’altro, né conosce i reali motivi dell’azione, quindi uno si fida e l’altro si affida senza ruoli netti, in un rapporto che non pone nessuno su un piano sfalsato rispetto all’altro. Weil, quindi, con la figura del buon samaritano azzera le differenze tra chi sta in alto e, quindi in posizione privilegiata, e chi sta in basso, lo sventurato, supportando questa tesi finanche con l’esempio di un dio che ha ridotto la sua infinita potenza assumendo la condizione umana e persino quella più infima, la condizione del servo che percorrerà la via fino al Golgota, la maggior infamia a cui i Romani sottoponevano i fuorilegge. Cristo, però, non sovverte la legge di Cesare, ma la affronta in maniera differente.
Dio infinitamente grande si riduce a infinitamente piccolo, si de-crea, toglie cioè potenza ai suoi atti per stare al passo e accanto dell’uomo, realizzando in questo modo l’unica Giustizia concepita dalla filosofa francese. Cristo, la forma umana di Dio, spogliato di tutto e persino della dignità, nudo, non oppone resistenza ai carnefici e sulla croce, che rappresenta per Weil l’estremo del braccio lunghissimo del cielo, diviene il contrappeso minimo opposto all’enorme e vicinissimo mondo di forza e violenza in cui l’essere umano vive, realizzando quella Giustizia perfetta in cui credeva. Cristo concretizza la mitezza nell’escludere dalle sue azioni e persino dal suo pensiero prevaricazione e forza. E alla mitezza viene dedicato il capitolo finale del saggio, un percorso che ripropone una figura cara agli studi dello stesso autore e contemporanea di Simone Weil, quella di Norberto Bobbio. Su quella che Tommaso Greco chiama virtù dei semplici viene consequenziale richiamare anche il Discorso della Montagna (le beatitudini), nel quale viene detto che “i miti erediteranno la terra” ovvero ai miti spetterà quello che è previsto dalla legge (eredità). E se qualcosa, quindi, spetta per legge non è necessario fare guerre o violenze, ovvero non essere miti. In questo punto si può leggere il legame tra mitezza e giustizia perseguito nel libro e nel pensiero di Simone Weil e che presuppone una “educazione all’umanità” persino di coloro chiamati a far parte del complesso mondo della giustizia. Perché giustizia “è fare in modo che a ciascuno venga riconosciuto ciò che gli spetta nelle situazioni più normali e più diverse. Essa ha a che fare prima di tutto con noi stessi e mette in gioco il nostro atteggiamento nei confronti del mondo e di chi lo abita” (pag. IX). La Giustizia, quindi, si legge nel testo, chiama a scegliere se imporre il proprio io e ottenere con la forza i risultati o mettere questo io a servizio del mondo e rinunciare alla forza che si possiede; se prendere tutto lo spazio a disposizione o lasciarne anche per gli altri, tenendo presente che per Weil alle rive della giustizia non si approda attraverso il diritto, che per lei è connesso con la forza.
In Curare il mondo con Simone Weil si apprende che nella giustizia “giuridica” ci si sente obbligati solo in presenza dei diritti degli altri, quindi dove non ci sono diritti non ci sono obblighi, come scrive l’Autore. Vi è un’altra giustizia, invece, che non è determinata dal diritto, ma dal bisogno dell’altro – che si identifica per la Weil con la carità (ossia la capacità del cuore, che in san Paolo è sinonimo di Amore di andare oltre se stessi) – che riabilita, merito indiscusso del saggio di Greco, termini quali “cura” e “attenzione” dell’altro. Altro da sé visto come soggetto necessario alla costituzione di una società nuova, capace di contemplare dignità ed esistenza soprattutto degli sventurati; di coloro, cioè, che non avrebbero altrimenti voce in un mondo ormai dominato da egoismo e prevaricazione. La Giustizia diviene così qualcosa che non si può rimandare, essendo parte integrante e viva di ogni momento vissuto; occorre vedere l’altro qui ed ora, anche quando le regole e le leggi distolgono da ciò di cui esse stesse non possono occuparsi o da quanto non possono vedere per loro stesso limite.
Viene così evocata, con mandato sottinteso di difenderla, quella giustizia che era propria delle società precedenti quella attuale; quelle che abitavano un mondo meno contaminato da interessi e sopraffazioni a fini di prestigio o economici, dove il valore su cui si costruivano legami era quello legato alla persona di per sé. Quella Giustizia che sta fuori dall’eccesso di dire dei tribunali e delle leggi e dei mass-media; quella che all’inizio si è associata ai cafoni, alla gente rurale, ai semplici, che sanno che se annaffi una pianta quella vive, altrimenti – se non te ne sarai preso cura – la pianta morirà. Una giustizia schietta, che mette difronte alla nudità dei fatti, come nudo era quel Cristo sulla croce, che mira all’origine, ossia a quel qualcosa che rimarrà anche quando leggi e diritti saranno mutati col passare del tempo e delle sensibilità.
Tommaso Greco e Simone Weil pagina dopo pagina conducono alla riflessione, a creare una coscienza, a riesumare una responsabilità collettiva, una riflessione sullo stato di fatto che viviamo, dove pare ci si sia dimenticati che Lorenzo era un uomo […]. Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo, come scrive Primo Levi in “Se questo è un uomo” e citato a pag.124 a proposito del muratore, un uomo semplice, che lavorava nei pressi del campo di concentramento dove era detenuto e che ogni giorno gli portava qualcosa da mangiare e grazie al quale si salvò. Perché per scoprirsi esseri umani si ha senza dubbi necessità dell’altro, nel cui volto si ritrova il proprio. [Angela Greco AnGre]
Tommaso Greco (Caloveto – CS, 1968) è professore ordinario di Filosofia del diritto nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa, dove è anche direttore del Centro Interdipartimentale di Bioetica. Dirige la collana “Bobbiana” dell’editore Giappichelli e la rivista di storia della filosofia del diritto “Diacronìa”. Ha pubblicato Norberto Bobbio. Un itinerario intellettuale tra filosofia e politica(Donzelli 2000), La bilancia e la croce. Diritto e giustizia in Simone Weil (Giappichelli 2006) e Diritto e legame sociale (Giappichelli 2012). Per Laterza è autore di La legge della fiducia. Alle radici del diritto (2021, Premio Nazionale Letterario Pisa 2022 per la saggistica) e Curare il mondo con Simone Weil (QUI il libro).
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Angela Greco AnGre (Massafra- TA, 1976) si occupa di poesia e divulgazione letteraria; ha pubblicato un titolo in prosa e diversi titoli in versi ( info, qui ).