Edito da L’arcolaio (novembre 2017) con prefazione di Anna Maria Curci, Le ore del terrore di Simone Consorti è un imponente custode di versi, suddiviso in tre sezioni, che impegna il lettore fin dal titolo. La silloge si apre con un significativo e non credo casuale testo intitolato Alla frontiera, i cui primi due versi recitano: “La guardia di frontiera / ha detto che non sono io” dove, se potessimo applicare quanto accade in una narrazione, ovvero che l’incipit ha in sé l’intera opera, saremmo – il condizionale è d’obbligo – di fronte ad una netta presa di distanza del creatore dalla sua creatura, ad una visione esterna della materia trattata e il che già farebbe dire che siamo in presenza di un autore di un certo calibro, capace di rendersi estraneo ai più comuni moti che muovono alla poesia i più.
La medesima poesia, quella d’apertura, per me la più emblematica, nel prosieguo richiama altre figure “e che neppure mi assomiglio / tantomeno mi potrei spacciare / per mio padre o per mio figlio / Mi intima [la guardia] di restare fermo / e per convincermi mi mostra uno schermo / che qui chiamano specchio” utili al poeta per mettere in chiaro una sorta di obiettività a garanzia di quanto verrà offerto al lettore (qui lo specchio è mezzo di visione di se stesso, una semplice lastra riflettente), in cui sembra che il protagonista si faccia semplice strumento di espressione (“restare fermo”) e dove quella frontiera di cui nel titolo del componimento, sembra diventare un diaframma che raffredda la temperatura emozionale, poiché appare riferito al poeta stesso che, alla frontiera con il mondo fuori da sé, cerca, per mezzo della poesia, un dialogo storico-contemporaneo con quel che ha appreso e che lo ha coinvolto.
Alla fine, però, con una certa maestria e con una rotazione netta, che affonda la vite nel materiale da assemblare, Consorti mette in chiaro, fin dalla prima poesia, il suo ruolo di regista e di attore che vive quanto offre al lettore, dall’interno e dall’esterno, allo specchio (che non diventa mai lente ustoria, però), come si apprende dagli ultimi versi del medesimo testo d’apertura: “Gli altri passano e mi guardano / facendo di no con la testa / Devo essere una brutta persona / se sono l’unico che resta / Mi studio di nuovo sul mio documento / ma la guardia mi spiega che è vecchio / e lo straccia / fissandomi con la mia faccia” rivelando che la poesia è sì un mezzo per “guardare” gli altri, la Storia e le storie che possono generarla, ma che essa è anche (e soprattutto mi verrebbe da dire in questo caso) un potente mezzo per “studiare” – come dice il poeta – la propria faccia, il proprio essere in divenire (“è vecchio”, il documento, quindi differente dal momento attuale) e il proprio ruolo, evidenziato nella prima sezione da un ‘io’ che domina i vari testi e che offre al lettore le sue molteplici facce.
La prima sezione “Le ore del terrore” mette in scena il rincorrersi degli eventi che hanno imbruttito il Novecento (tranne 22 dicembre 1849): l’autore si rende partecipe per mezzo dell’io, che diviene quasi per abitudine quello di ciascuno ed anche del lettore, della cronaca dell’ultimo secolo, evidenziando una solitudine che a me, però, non giunge mai come quella dell’intellettuale consapevole del suo differente – dall’opinione comune s’intenda – sentire, quanto piuttosto mi giunge esattamente come voce dell’opinione comune su temi che attualmente calamitano l’attenzione della stessa, come si legge, ad esempio (ma non solo), nei versi proposti di seguito. Tanto, ci può stare, beninteso, ma a tanto, forse il lettore più esigente avrebbe voluto che si fosse aggiunto un punto di rottura, una crisi, un varco.
“Spoon River Italia” è una silloge nella silloge, che chiude Le ore del terrore con ventotto componimenti incentrati sul tema della morte, in cui ricompaiono temi di attualità, in una serie di quadri in cui molti versi potrebbero essere estratti come aforismi, aderenti all’originale di cui nel titolo della sezione, ma che nell’opera di Consorti perdono l’immediatezza dell’epitaffio, per dilungarsi in veri e propri testi poetici dai quali estraggo “un epitaffio nuovo di zecca e mai usato” (XXVII), come lo stesso poeta dice, che a mio parere ben chiudono questa lettura. [Angela Greco]
Simone Consorti è nato nel 1973 a Roma, dove insegna in un liceo. Ha esordito con “L’uomo che scrive sull’acqua ‘aiuto’(Baldini e Castoldi 1999, Premio Linus). Ha pubblicato “Sterile come il tuo amore”(Besa, 2008, adattato per il teatro nel 2009), “In fuga dalla scuola e verso il mondo”(Hacca, 2009), “A tempo di sesso”(Besa, 2012) e “Da questa parte della morte”(Besa, 2015), oltre che diverse raccolte di poesia, tra cui “Nell’antro del misantropo”(L’arcolaio, 2014) e “Le ore del terrore”(L’arcolaio, 2017). La sua piéce “Berlino kaputt mundi” è andata in scena al teatro Agorà di Roma nel marzo del 2018. Il suo libro di racconti “Otello ti presento Ofelia” è in uscita per L’erudita. E’ presente on line con il sito simoneconsorti.com
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