Rileggiamo i luoghi: Mezzogiorno a Caloveto

Caloveto ph.AnGre 2023 - 1 A

Un mio racconto di viaggio pubblicato un anno fa su Laboratorio Camenzind – Percorsi di antropologia meridiana di Tommaso Greco che ringrazio ancora oggi di cuore. (AnGre)

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“Quando un’amica che si trova in vacanza in Calabria passa “a trovarti” nel tuo paese, sapendo che non ci sei…e riesce persino a trovarti! Cose che riescono soltanto a chi ha dimestichezza con la poesia….come Angela Greco AnGre (preciso: non siamo parenti!), che ringrazio per questo bellissimo omaggio a Caloveto.” (Tommaso Greco)

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Di ritorno da Le Castella, direzione Taranto, attraversando l’abitato di Mirto ritrovo quel cartello dell’andata, Caloveto, il paese di Tommaso. C’ero passata molte volte lungo quel tratto della SS106 Jonica, ma se non avessi ascoltato la presentazione del suo libro, letto qualcosa su di lui e guardato qualche foto sul suo profilo social, non avrei mai seguito quella strada.
Inizia la salita: l’alveo sconfinato di un fiume un tempo generoso e oggi ridotto a guardiano silenzioso della valle, boschi di eucalipti, fiori selvatici, colline e colline, salite e curve fino al fatidico cartello di benvenuto. Appena oltre la linea spezzata delle montagne, lo Jonio si lasciava ammirare anche con la foschia di quella mattina. Lo avevo visto proprio in una foto scintillare azzurro in lontananza alle spalle della terra ed era stata anche quell’immagine a portarmi a Caloveto, pur non avendo la minima idea di come giungere al punto di quella visione. Né avevo voluto chiedere nulla a Tommaso, che poco credeva al fatto che qualcuno potesse andare a visitare il suo paese senza nemmeno che lui fosse presente.
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Una strada giunge in piazza. Una fontana zampillante accoglie il visitatore, in una vicinanza di botteghe e luoghi della vita comunale. I forestieri non passano inosservati. Subito saluto un signore sulla soglia di un tabacchino; chiedo se è possibile parcheggiare lì nei pressi e, magari, dove si può mangiare qualcosa. Ed ecco svelarsi lo stupore, quello stesso di Tommaso, che qualcuno avesse raggiunto quel sereno e silenzioso centro di un mondo che sembrava uscito da un romanzo d’inizio Novecento. Qualche indicazione, un saluto sorridente e via, a visitare stradine in pendenza che già mi agitavano pensando alla risalita, ad osservare gli esterni di case colme di tempo trascorso e immutabile attesa, incrociando gatti diffidenti e bimbi simili, che hanno salutato solo in presenza dei genitori. Ero nella parte storica del paese, quella che guarda dritto verso lo Jonio. Le case, una accanto all’altra, serene e mute, sembravano incoraggiarsi a vicenda. E tra quei colori terrosi – così vicini a quelli dello sperone argilloso rosso alla base e cretaceo alla sommità, su cui sorgeva Caloveto e che incuteva rispetto affacciandosi dal dirupo – timide primule gialle a bordo strada svelavano aspetti poco in vista della natura del luogo.
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Le stradine, che proseguivano dalla chiesa matrice in direzione vallata, terminavano su una strada costeggiata da una balconata; signore di passaggio salutavano per prime, sorridendo a chi stava scattando foto da quello che sembrava essere il belvedere, dove un tetto dagli embrici ormai divelti raccontava più di tante parole. Dopo tantissimi anni tornavo ad ascoltare un orologio che batteva le ore e i quarti – uno, due e tre. Fotografie, tante: ai gatti, alla valle, alle nuvole, alla ringhiera di ferro che curvava simile al letto del fiume verso il mare…Un paio di ore sono giusto il tempo di catturare qualche dettaglio e si spera un’emozione magari da riuscire a trasmettere, poi, ad altri.
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Man mano che torno a percorrere le viuzze a ritroso per tornare in piazza, mi fermo ad osservare meglio le abitazioni e dietro finestre socchiuse immagino i gesti quotidiani, le voci, i rumori e persino le tendine che abbellivano quei vetri ormai in frantumi. La curiosità mi porta a guardare dietro una porta fatta di assi di legno, attratta da uno spiraglio dal quale si intravedeva un esterno con vegetazione spontanea. Abituati gli occhi alla penombra, una grande mola, con le ruote ancora in situ, mi parla di una realtà ancora vivissima, quella agricola, che avevo constatato nel salire al paese, vedendo le podoliche al pascolo. Mi lascio meravigliare dallo stato di abbandono e immagino qualcuno intento a raccontare ai bambini ancora le storie di quel luogo. Un piccolo frantoio abbandonato, invece, raccontava a me, in silenzio, persino delle divinità greche, che in Calabria abitano ancora.
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Era ora di tornare.
Nei pressi della chiesa madre, mangio un panino al volo, seduta su una panchina verde dalla quale si vede l’orologio non in perfetto orario e le nuvole che si affacciano sulla vallata in uno strepitio di rondini che volano vicinissime. E rimango a pensare alla signora dell’alimentari che, con il suo bel sorriso, mi aveva chiesto: “Ma avete qualcuno al paese?”, una magnifica perifrasi per domandarmi cosa ci facessi in quel posto tranquillo, che tra metà luglio e metà agosto, però, tornava ad animarsi di persone e situazioni da bella stagione. “Un amico, che è nato qui, ma ora vive e lavora al Nord.” Ho salutato sorridendo, pensando a Tommaso, che se fosse stato lì, non ci avrebbe messo molto a presentarmi tutte le persone che conosceva.
Magari quest’estate ci torno.
Per ora porto con me questa sensazione di tempi perduti per tanto, per tanti, ma non per il cuore.
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Angela Greco AnGre 

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