“Ananke” di Angela Greco (Ladolfi Editore, 2021)
letto da Maria Daniela Pierri
Una modernità smarrita che ha già perduto l’architrave di valori che la sorreggeva ed ora abbandona la fiducia nella tecnologia, nel progresso, nella capacità di dominare la natura, ha bisogno di parole, non di vaghi discorsi, ma delle parole che salvano, quelle che sanno chiamare per nome la sofferenza, il disagio, quelle che sanno porre le giuste domande, quelle che non pretendono risposte certe, perché sanno percorrere le strade del dubbio costruttivo, quelle che sanno usare solo i poeti. Per questo Angela Greco ha scelto di parlare il linguaggio dei versi in questo momento di grande incertezza, in un tempo che non è come gli altri, è straordinario e paradigmatico, è il momento della crisi e della costruzione. I versi non hanno semplicemente narrato, non è compito della poesia farlo, le tappe di un diario della crisi pandemica, hanno cesellato in un linguaggio chiaro ed essenziale, aderente alle cose, non lirico ma metaforico e realistico, gli stati d’animo e i quesiti esistenziali. La funzione poetica si è espressa nella pulizia di un cesello imperioso che ha armonizzato il flusso di emozioni e riflessioni che nascono nell’esperienza individuale, affinché assumessero carattere universale nella elaborazione artistica.
Le vicende che Angela Greco e noi tutti stiamo vivendo a causa di un minuscolo virus che attacca i più deboli, scavano nei recessi dell’essere e trovano nuove dimensioni da mettere a nudo, da analizzare. Come nella grande stagione della tragedia greca e come in un dramma eschileo, forte e senza appello giunge la condanna all’uomo accecato che ha varcato i limiti che gli sono stati imposti. La condanna ha un nome ben preciso, è l’’Ananke’, la necessità che ci sia una punizione, che non ci sia che spazio limitato alla decisione umana. Angela Greco ha scelto questo titolo suggestivo per la sua opera, ma non lo limita ad un rigoroso determinismo, così come non enuncia mai leggi universali, evoca, provoca, suggerisce infiniti percorsi di approfondimento, allude ed interpreta i dilemmi interiori più che dare spiegazioni, non pecca di tale inaudita ‘hybris’. La tecnocrazia ha ignorato le leggi naturali, il progresso scientifico ha stravolto l’ecosistema con tale violenza e incuranza delle conseguenze che ora l’uomo è smarrito di fronte alla punizione inevitabile che si sta abbattendo su tutto l’ecumene. L’ananke non ha bisogno di grandi mezzi, anche se ne ha molti a disposizione che hanno un impatto terribile e devastante, come terremoti, tsunami, alluvioni, preferisce deridere l’umanità con le armi più piccole e apparentemente deboli, come il Covid-19 che in brevissimo tempo ha messo in ginocchio tutta l’umanità. Cosa fare di fronte a questo castello di convinzioni sgretolato, se non cantare il dubbio, celebrare lo spazio tra ‘ananke e indicibile’, suggerire l’ ‘inelluttabile ‘, sapendo che ‘delle tre Moire nessuna notizia’. Allora leggiamo la poesia di ricerca dell’inesprimibile, che vuol dar voce ai punti interrogativi che reggono i nostri pensieri.
In prima persona l’io lirico racconta il lockdown, il necessario distanziamento sociale che dovrebbe frenare la diffusione della pandemia, lo veste di poesia, distilla in sezioni gli aspetti e i momenti che vuole sublimare, in tal modo guida il lettore a ripercorrere l’ispirazione poetica ed evocare la reclusione che inquieta come ‘asma’, spinge a fiati affannosi: è la nostra ‘apnea’, cui siamo ormai abituati, finchè non riusciremo ad afferrare boccate d’aria nella speranza di tornare a respirare liberamente. La clausura che sospetta degli ipotetici untori ha portato i cuori a chiudersi ed Angela Greco ha subito ricavato l’immagine di case con le porte serrate e le finestre aperte, immagine che diviene più viva con gli occhi che hanno scrutato dall’interno ogni minimo afflato di vita esterna con diffidenza e soprattutto hanno scrutato dallo ‘spazio che va restringendosi’ quella piazza virtuale che ha cercato di placare la nostra fame di socialità. La poetessa ha introdotto le singole parti, stazioni di sosta del suo percorso espressivo, con incipit significativi, addolciti dalla scelta dei caratteri corsivi per poi sorprenderci allineandoli a destra, proiettandoli sulla fine che ospita le parole più importanti, quelle su cui soffermarsi:
“si sgretola la torre di certezze
In granelli che si susseguono
Impietosi in due metà
…
Crediamo a un’illusione
Senza precedenti”.
La poesia riprende poi l’andamento tradizionale per tessere la significativa elaborazione poetica dell’esperienza esistenziale a partire dagli oggetti concreti, dalle tappe del giorno, dall’aspetto dello spazio. Anche una semplice indicazione temporale evoca molto altro come ‘non lontano da questa mattina” che prefigura l’infanzia delle ‘caramelle e germogli’ e delle ‘ginocchia ferite’ di quando ‘eravamo piccole mani’, cui si oppone un ‘giorno risvegliato’, quello attuale, che ci ha sorpreso per le ‘sottrazioni’ che ha imposto a quel mondo sereno e lontano, per il quale l’estate è ormai ‘ipotesi’. Gli stati d’animo che ricamano i fogli sono sempre immersi nel contesto metapoetico della scrittura consapevole della sua funzione e nel paesaggio mediterraneo, tra i profumi, i fiori, le strade e le mura di Puglia: ‘tra cielo e pietra la Murgia canta/sortilegio e attesa’. L’amarezza per una ‘Terra masticata male’ e le ‘Stimmate di accadimenti’ si stemperano nella riflessione, anche se vana e sebbene la poesia sia incentrata sulla nostra debolezza, ‘Si vive senza punto di domanda/abbarbicati ad una falesia /di cui non si riconosce la fragilità’, spinge noi lettori a ‘riprenderci ciò che abbiamo perso’, per questo non dobbiamo perdere l’opportunità che la poesia di Angela Greco ci offre, di ‘vedere ancora quello che questo silenzio non dice’.
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Qui il libro: https://www.ladolfieditore.it/index.php/it/catalogo/perle-poesia/ananke.html