Giorgio Linguaglossa, I pensieri del poeta Gaio Cornelio Gallo a proposito del suo collega Druso

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Giorgio Linguaglossa, inedito

I pensieri del poeta Gaio Cornelio Gallo a proposito del suo collega Druso

Druso ha sempre i piedi sporchi nei calzari di cuoio,
il ventre prominente e parla un latino infarcito di dialettismi della Sabina;
inoltre, a tavola non è mai sobrio, ama l’eccesso
in libagioni e in amorazzi con le sue schiave
e con i mori che acquista al mercato al suono di sesterzi d’oro.
Nel Foro non prende mai una posizione
univoca, chiara, ciò che dice in
privato non lo ripete certo in pubblico.
È abile, sfuggente come una biscia, oleoso
come la resina del Ponto Eusino,
dire che non lo amo sarebbe un eufemismo,
una ipocrisia, ma ciò che è più grave,
non riesco neanche a detestarlo.
Mi dico: «Druso è un codardo, un mentitore,
un fingitore, un voltagabbana» ma, ciononostante,
non riesco a detestarlo. Forse che dovrei rimproverargli
il suo faccione impolverato di cerusso?
In fin di conti è un mio simile: un teatrante, un attore,
ha un mento, due occhi, un naso aquilino, proprio come me.
«Non c’è alcuna differenza – mi dico – tra noi».
Druso ha gli occhi foderati di cerone da teatro
il volto scivoloso di biacca, il mento leporino
e gli occhi cisposi per il vino in eccesso
bevuto la notte innanzi, ascolta
ciò che gli torna immediatamente utile,
quando non gli conviene fa il pesce in barile;
dei nostri discorsi sulla res publica
dice «che sì, che no, che forse, che insomma…».
Del resto, sto molto attento quando
nei conviti privati mi porge il cratere colmo di vino,
fingo di bere con un sorriso sordido…
mentre con la coda dell’occhio
sbircio sempre in allarme la porta d’entrata.
Evito di guardare in volto il capo delle guardie
quando fa ingresso in casa di Mecenate
con il suo codazzo di pretoriani e di ottimati profumati.
Anch’io parlo sempre meno in pubblico
dei miei pensieri privati, e in privato
dei miei pensieri pubblici…

*

tratto da: Tre poesie inedite di Giorgio Linguaglossa sul tema dei personaggi storici, mitici o immaginari (clicca qui per gli altri testi)

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Da un commento dell’Autore, leggiamo:

Le poesie fanno parte di una raccolta inedita “Tornare alla corte di Cesare?”, scaturita dalla lettura di una poesia di Zbigniew Herbert (“Il ritorno del proconsole”). La figura retorica sulla quale ho costruito le poesie della raccolta è la “trasposizione” (il traslato), ovvero, il parlare dell’oggi fingendo di parlare di personaggi del lontanissimo passato. Se non si capisce questo non si comprenderebbe nulla delle mie poesie. Il problema indagato è la condizione dell’artista nei confronti del Potere, di qualsiasi potere, anche di quello cd. democratico.

Ecco, l’avere lo sguardo lontano è proprio di ogni artista, ogni vero artista non può che disprezzare il presente, non può accordare la propria cetra alle regole metriche del Presente. Il tono “salottiero”, che taluni hanno evidenziato, è quello usato, è vero, ma vorrei ricordare anche l’altra figura retorica fondamentale di molta poesia degli ultimi due secoli (tra cui ci metto Brodskij) : quella della “epistola” che consente di scrivere nel’intimità delle cose che altrimenti non potrebbero essere vergate; il pubblico è lontano, le poesie sono indirizzate quindi ad un misterioso “interlocutore” non ben specificato. Tutte le poesie (almeno le mie) sono sempre indirizzate ad un “interlocutore” posto al di fuori del proprio tempo e del tempo, per questo forse appaiono stranianti (ma non sono il solo, ci sono molti poeti europei che scrivono in questo modo!). Parlo meglio di me e della mia epoca quando assumo la finzione di parlare di un’altra lontanissima epoca. [Giorgio Linguaglossa]

immagini: busto marmoreo di Gaius Cornelius Gallus (da Rome & Art) ; monete antiche.

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Giorgio LinguaglossaGiorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma. Nel 1992 pubblica Uccelli e nel 2000 Paradiso. Ha tradotto poeti inglesi, francesi e tedeschi tra cui Nelly Sachs e alcune poesie di Georg Trakl. Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura «Poiesis» che dal 1997 dirigerà fino al 2005. Nel 1995 firma con Giuseppe Pedota, Lisa Stace, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di «Poiesis». È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte. Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto. Nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo», Passigli, Firenze. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980 – 2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio PilatoMimesis, Milano Nel 2011, sempre per le edizioni EdiLet di Roma pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000 – 2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e Three Stills in the Frame Selected poems (1986-2014) Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Ha fondato la Rivista Letteraria Internazionale L’Ombra delle Parole. Nel 2016 ha curato l’Antologia di poesia contemporanea Com’è finita la guerra di Troia non ricordo, autori vari, ed. Progetto Cultura di Roma.

9 pensieri su “Giorgio Linguaglossa, I pensieri del poeta Gaio Cornelio Gallo a proposito del suo collega Druso

  1. NOTA: stiamo vivendo un periodo di grande fermento per il lit-blog (“lit” sta per “literary” mentre io, giocando sull’abbreviazione, intendo, con le medesime tre lettere, “little” per non togliere aria e spazio a quelli maggiormente accreditati di noi, come blog di letteratura 😉 ) Il sasso nello stagno di AnGre e ci scusiamo, se incalziamo con gli articoli, molti dei quali programmati fin dal mese precedente, proponendo letture corpose quasi quotidianamente; ma il nostro lavoro di stillicidio culturale, come piace definirlo a me, ovvero quel goccia a goccia che ormai da cinque anni somministriamo a chi ha sete di poesia, arte e letteratura, sta dando frutti insperati, portando questa piccola realtà ad una media di cinquecento visualizzazioni giornaliere e, pertanto, abbiate pazienza e tornate e ritornate a leggere anche articoli precedenti, mi raccomando, ci teniamo a Voi!

    Grazie a ciascuno.

  2. Grazie Angela, la poesia così com’è, smaccatamente anacronistica, mi piace (e lo sai che sono difficile di gusti!), mi ci riconosco. Sono passati duemila anni ma le cose non sono cambiate gran che.

    1. in effetti, caro Giorgio, non è l’anacronismo del tempo della storia trattata,quanto l’attualità di quanto esprimi che mi desta serie preoccupazioni… Comunque, la saggezza elementare e immensa di mia mamma dalla sola terza media e che ancora oggi mi è guida, avrebbe detto “mondo era e mondo è” …

  3. Vorrei tornare sul fatto ricordatoci da Mario Gabriele (lombradelleparole.wordpress.com):

    «il rifiuto del soldato Josef Schulz il quale, posto nel plotone di esecuzione dinanzi a 15 giovani serbi condannati alla fucilazione, dichiarò semplicemente «io non sparo», perché esso segna una linea divisoria tra l’autenticità e l’inautenticità. Posto dinanzi alla scelta se obbedire ad un ordine e sparare o disobbedire all’ordine decidendo di non sparare e condannarsi a morte certa, il soldato Josef Schulz sceglie la seconda possibilità con un formidabile atto di decisione anticipatrice della morte.

    La morte è una possibilità dell’esserci, è la possibilità più propria (concerne l’essere stesso), incondizionata (l’uomo vi si trova davanti da solo), insormontabile (si eliminano tutte le altre possibilità), certa.

    Con la anticipazione della morte, l’uomo comprende autenticamente sé stesso, ma ha anche la situazione emotiva dell’angoscia, che lo pone di fronte al nulla della morte, che è possibilità dell’impossibilità di possibilità.

    Essere-per-la-morte. La morte non va rifuggita, ma affrontata con la decisone anticipatrice di essa, sostiene Heidegger: non è il suicidio o l’attesa (forme di realizzazione che tolgono il carattere di possibilità), la soluzione, ma è tenere presente che questa possibilità c’è sempre. Accettare quindi con la decisione anticipatrice la possibilità della morte, ci richiama al nostro destino di mortali.

    1. Grazie, Giorgio, per aver condiviso anche qui questa tua riflessione, che apre a molti temi; sicuramente ogni giorno abbiamo dinnanzi quella decisione anticipatrice della morte che, come hai scritto nell’ultimo rigo del tuo commento, “ci richiama al nostro destino di essere mortali” e penso, semplicemente, a quando guardiamo crescere un figlio, ad esempio, anticipo della nostra fine ed estensione del nostro tempo stesso, tramite il suo esserci anche dopo di chi lo ha generato…

      Ma, “il rifiuto del soldato Josef Schulz” in pratica di disobbedire ad un ordine pre-stabilito, che, poi, gli è costato la vita, mi fa porre l’accento su altre questioni che pure si presentano a noi momento per momento, senza escludere anche quella dell’autenticità, che tu stesso richiami e potrei dire coerenza, coraggio, idealismo, fedeltà, rifiuto del compromesso…tutte accezioni ormai in disuso in questa realtà divenuta virtuale, anche quando spegniamo i nostri potenti mezzi di comunicazione…Il rifiuto di quel soldato, non richiama soltanto al nostro destino di mortali, ma alla vocazione di essere ancora Persone, capaci di scegliere…

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