Angela Greco, Fuori le mura, inediti con due note critiche e commenti

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Piet Mondrian, Evoluzione

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 Nota critica di Mario M. Gabriele (dicembre 2016)

Nella raccolta inedita dal titolo Fuori le mura del 2016 di Angela Greco, la tipologia linguistica, moderna e per frammenti, punta tutto sul fermo immagine, nel tentativo di recuperare universi statici e in movimento, con proprie frazioni temporali e metaforiche. La parola poetica si forma ad ogni scatto di foto flash, mentre lo sguardo si fissa sulle “facciate in ristrutturazione”, su tutto ciò che proviene dall’esterno. E’ un reportage multiforme, coloristico, percepibile come illuminazione del momento nel tentativo di scoprire l’attimo ineffabile, fluidificante fra soggetti e oggetti. L’occhio è il periscopio puntato sul mondo. Le campionature dell’esistenza, polverizzate dal tempo giacciono su un terreno deflorizzato, tornando a esistere nel momento in cui il Vuoto, la frantumazione, il senso deleuziano di una “totalità perduta” finiscono di essere tali, per integrarsi nel corpo dei frammenti, che ridanno essenza, all’assenza, in un viaggio della mente e della psiche. Qui “l’effetto di superficie” diventa armonizzazione delle cose, categoria rifondatrice della materia, volontà di ricostruire tutto ciò che resta nel cuore e nella mente. Non c’è bisogno delle narrazioni, perché il discorso si affida al frammento, che svolge un ruolo di determinazione delle cose, con piccoli squarci dialogici, in una spirale di frantumazioni e di intuizioni che si fissano in una sorta di fotoni poetici.

Il postmoderno ha ucciso i cantastorie e gli aedi del lirismo. Si è istituito così l’ideale storico della liberazione da ogni contatto con la metrica, che governava rigidamente la struttura del verso nel Novecento. Oggi il criterio di validazione di un testo poetico, non può prescindere dalla ricostituzione della parola, che resta l’unico mezzo progettuale del divenire poetico. La modernità culturale lo esige. Profondità e altezza si annullano con una descrizione del mondo esterno e di quello interno nella configurazione della realtà attraverso i vari stadi, provvisori e fluidificanti. L’autrice annota tutto questo con ritmo crescente, misurando la propria lunghezza visiva su sfondi catarifrangenti formalizzati poi con i versi.

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Appunto di Giorgio Linguaglossa sulla «Rappresentazione»

Il tratto caratterizzante della forma artistica del Moderno va individuato, secondo Foucault in quell’opera fondamentale che è Les Mot et les choses, nel concetto di Rappresentazione (Darstellung) attraverso la diagnosi di Las Meninas di Velazquez. I termini del problema sono presto detti. Si rappresenta l’atto stesso della rappresentazione: pittore, tavolozza, grande superficie scura della tela rovesciata, quadri appesi al muro, spettatori che guardano; da ultimo, nel centro, nel cuore della rappresentazione, vicinissimo a ciò che è essenziale, lo specchio, il quale mostra ciò che è rappresentato, ma come un riflesso così lontano, così immerso in uno spazio irreale, così estraneo a tutti gli sguardi volti altrove, da non essere che la duplicazione più gracile della rappresentazione.

Tutte le linee del quadro convergono verso un punto assente: vale a dire, verso ciò che è, a un tempo, oggetto e soggetto della rappresentazione. Ma questa assenza non è propriamente una mancanza, è piuttosto quella figura che “nessuna” teoria della rappresentazione è in grado di contemplare come suo momento interno. La caratteristica della rappresentazione alle origini del Moderno sta dunque nel fatto che il soggetto della rappresentazione, il produttivo “fuoco” che la sorregge, le coordinate, si colloca al di fuori della rappresentazione stessa.

L’absentia segnala dunque in Foucault la chiusura di ogni representatio. Nessuna teoria della rappresentazione è, in quanto tale, in grado di includere nel suo circolo il Soggetto-sostegno della rappresentazione. L’osservatore, per cui la rappresentazione è allestita, non può osservare se stesso, ma solo il suo simulacro, o, come in Las Meninas, la sua immagine riflessa nello specchio. La forma-poesia dell’età moderna rientra in questo schema epistemologico: il soggetto viene ad eclissarsi, viene detronizzato della sua presunta centralità e la sua visione diventa strabica, eccentrica, parziale, s-focata, fuori fuoco, fuori gioco, insomma, non è più centrale, ha perduto la sua centralità… ma questa intrinseca debolezza del soggetto, della centralità del soggetto, invece di rivelarsi una debolezza ontologica può, paradossalmente, riabilitarsi in una nuova volontà di potenza, in una nuova messa a fuoco del problema della rappresentazione e del soggetto che sta al di fuori di essa. In una parola, in una continua de-angolazione prospettica tipica delle moderne (o meglio post-moderne) forma-romanzo e forma-poesia.

È proprio il concetto di de-angolazione prospettica quello che vorrei mettere a fuoco nella poesia di Angela Greco. La de-angolazione prospettica in un testo letterario fa sì che si ha un inizio ma non una fine, non solo, e che all’interno dello sviluppo della rappresentazione non si dà un filo conduttore stabile ma un susseguirsi di punti di vista, di angolazioni prospettiche che confluiscono in un sistema di scrittura caratterizzata dalla multi prospezione prospettica; particolarità costruttiva che investe sia la forma-poesia che la forma-narrativa odierne.  Caratteristica della poesia di Angela Greco è il suo procedere per «tagli» dell’oggetto, per sovrapposizioni e accostamenti di «pezzi», e successivo montaggio, per dis-locamento dell’io parlante, per «slittamenti» frastici, per «sviamenti» e «deviazioni» dall’ordito principale del discorso; c’è insomma, una dis-locazione, un andamento a zig zag, che va di qua e di là, che porta il discorso poetico attraverso deragliamenti di significati e di direzioni, quasi che il senso, se senso c’è del discorso poetico, fosse possibile afferrarlo soltanto tramite una serie continua di deviazioni e di smarcamenti dal filo del discorso, mediante illogicismi, inserzioni di onirismo, di surrealtà, di fatti del quotidiano, di relitti linguistici che galleggiano in un mare di prosasticità. (tratto dalla Rivista Letteraria L’Ombra delle Parole  del 16 gennaio 2017)

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Kazimir Malevich, La cavalleria rossa, 1932 ca. Museo Statale Russo, San Pietroburgo.

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Nota dell’autrice – Queste composizioni inedite narrano incontri e situazioni reali e realmente accadute, che a loro volta hanno rimandato ad altri luoghi anch’essi spesso reali, ma ancor più simbolici e metaforici, inseriti per rimando d’immagine, mischiando soprattutto i piani temporali. La scelta del frammento si è adattata alla perfezione all’esigenza che da tempo avevo di rendere materialmente il problema del tempo sfuggevole e fuggente e del ricordo. Il momento, l’attimo, fosse del ricordo o dell’emozione, ho ritenuto opportuno renderlo in frammenti appunto, in flash, come fossi un fotografo, che sceglie (perché la stesura di un verso comporta delle scelte precise, delle decisioni da prendere) lo scorcio più idoneo, il taglio, l’angolazione, l’esposizione e solo dopo scatta la foto, dove “scattare la foto” qui sta per imprimere l’attimo su un supporto. Rimanendo nell’ambito delle scelte, per me la poesia è simile ad un taglio chirurgico, dove il chirurgo, deve sapere con esattezza dove incidere e ridurre al massimo l’indecisione (mancanza di decisione o indeterminatezza, ossia mancanza di definizione e torniamo così ancora all’immagine, che deve essere definita, precisa, e non generica) pena la vita del paziente. Così in queste poesie: i luoghi, i tempi, gli spazi, sono identificati con precisione, per catturare – non senza sforzo s’intenda – quel momento e non un altro; il momento preciso rimasto in me e che l’elaborazione-sedimentazione ha restituito soltanto dopo in poesia.

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Angela Greco, FUORI LE MURA – inediti 

Incontri urbani

Il cerchio perfetto dei tuoi occhiali
è sottrazione d’azzurro,
segna il confine dell’immagine riflessa
che accoglie il flash della macchina fotografica.
(Il fondale è lo spazio tra gli alberi
e la città in lontananza)
Nuda esco dalla Tempesta.
Settembre. Il giorno ha precisione meteorologica.
Il metal detector passa attraverso il suono delle campane.
Il treno esce allo scoperto lungo il muro disegnato.
Due file di auto e aceri a mosaico. La visuale.
Ti seguo.
In mezzo, un discorso sulla poesia.
Prima strada a sinistra. Facciata in ristrutturazione.
Le porte da saloon dell’ascensore stridono
e lo specchio ci riflette nei due angoli opposti.
Un metro quadrato fa procedere lentamente il tempo,
mentre al muro bianco si alternano vetro e luce.
Sesto piano. Rumore di chiave nella serratura.
Due porte. Corridoio con libri. Finestra aperta.
Interno giallo con legni scuri. Finestra chiusa.
Stapelia Variegata apre il suo fiore fuoristagione
e non ha più importanza quel che accade all’esterno.
«Sono uno dei tuoi angeli relegati in Paradiso».
Ridi.

Il nono secolo è stato un tempo di battaglie, per me;
per te, il tempo del testo kashmiri e della sua filosofia.
Uno di fronte all’altro: clangore di spade e fruscio di pagine.
Le porte del tempio di Giano ancora aperte
oggi si chiudono in questo inizio. Siamo il passaggio
e la doppia fronte nel suo significato originario.
Il Novecento è la cicatrice ombelicale da disinfettare,
perché si occluda e possiamo allora dirci adulti.
Procediamo un millennio alla volta: il terzo,
dall’anno 753 dalla fondazione di Roma, ci sorprenderà.

 

Tra me e dio

Di quante parole ha bisogno un dialogo?
Pavimento coperto da schegge di vetro.
Lo specchio rotto e l’immagine in frantumi.
Guardo in basso. Ogni frammento amplifica la visione.
Black out. La midriasi svela una presenza.
Pugni chiusi. Prendo la direzione opposta.
In silenzio. Ascolto.

Siamo nel 1987. Giugno. L’ulivo è in fioritura.
Non ci sono nuvole dopo pranzo. Passeggiamo.
In lontananza la strada scende verso il vigneto.
Il cane abbaia ad un’auto di passaggio. Io gioco
a raccogliere le pietre lisce verdi e grigie del fiume
che nasconde la sua acqua in profondità.
Siamo nel 1987. Sto imparando a scrivere.
In quel preciso momento abbiamo smesso di parlare.

Ho incontrato Dio una notte del 1928. Primi giorni di gennaio.
Mi dissero che era nato da poco.
Ebbero paura morisse subito, la mattina stessa del parto.
Per questo giunse a gennaio.
Mi domandai dove fosse l’altra metà da cui anche quel dio era nato.
19 ottobre 1959. Paese in festa. Le campane suonano alle 11.
Sono passati cinquantasette anni e trenta secoli
dal giorno in cui le due parti si sono ricongiunte.

Pagina bianca. Mitra uccide il toro. Qualcuno muore sempre.
Dalla giugulare fiotta la fertilità della terra. Pagina scritta.
Ogni dio ha un sacrificio da compiere. Il mio è vivere.
L’immortalità è scrittura nell’agonia del foglio immacolato.

Ultimo atto. Quattro i cavalli e quattro i colori. Sette i sigilli.
Il giorno successivo al primo flagello ho imparato a cavalcare.
Una filastrocca scioglie la lingua e segna la strada.
Primo giorno di scuola. Finestra aperta. Siedo nel banco
vestita di bianco e tu sorridi lasciandomi la mano.
Dio è una promessa di ritorno.

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Strada senza uscita

Da tre anni aspetto la fioritura dell’iris aucheri
affresco di Tebe e gioia del giardino del faraone,
introdotto in terra egizia dalla bella Siria.
Aspetto la scia colorata della buona notizia
l’attimo preciso in cui rileggere la carta delle vie
e lasciare alle stelle la decisione dell’esito finale
di questa strenua battaglia che lo specchio conosce.

La finestra è aperta su un nuovo documento word,
ultima versione, stessi caratteri, spaziatura e margini.
La seconda finestra si apre su una strada senza uscita.
Cade a pezzi a quest’ora sulle terre del Sud
un tramonto di bestia macellata annuncia la notte.
Il toro muggisce nel recinto di pietra all’ombra del castello:
il compianto è per un’altra morte, questa volta
non è Ignacio a lasciare la scena eppure l’odore è lo stesso.

La camicia azzurra stirata alla perfezione
induce ad allontanarsi dal tuo petto
per timore che linee segnino il desiderio.
Basta una stretta di mano, affare concluso
senza altre parole si stipula il contratto:
coltiveremo iris e alleveremo bovini per gli dei.
Ci occuperemo anche della morte,
in un secondo momento.

Il castello è chiuso al pari di un ufficio comunale.
A questo si riducono i viaggi, alla burocrazia.
Riprendo il cammino con l’indice tra le pagine
e mi fermo al quadrivio segnato dalla croce.
Leggo ancora un verso, quello in cui descrivi la città
e tutte le variazioni del suo nome. Siamo ad Oriente
e il ritorno all’ora legale affretta la sera e le sue ombre.
Scrivo un altro rigo seguito da puntini sospensivi.

Le colombe al mattino tubano sul balcone.
Il computer illumina la stanza centrale della casa.
La mattina inizia sempre con il caffè amaro
ed una lettura che mi restituisce il sogno.

 

Fuori le mura

Crollano all’esterno del palazzo
le mura, il re, pietre e attese.
Si spezza dell’abito dai bordi d’oro il filo
con cui era unito alle sete. Cadono bottoni.
Il telaio s’inceppa sull’ultimo punto:
un giorno di novembre ed un ritorno.

La regina ed i suoi enigmi destano Salomone.
Possono disconoscersi ed invertire i ruoli:
lui farà domande e lei avrà saggezza, ma
il deserto non cambierà la sua natura
e della sabbia si occuperà la carovana.
La notte segnata dalla stella riconduce a casa.

Living con divano in pelle e libreria. Terzo ambiente.
Orologio fermo all’ora del decesso. Dodicesimo anno.
La data immobile sul calendario dice che è dicembre
nuovamente il quindici.
Come numeri dalla faccia d’un dado, ha detto il poeta,
mentre imperterriti perdiamo tempo in domande inutili,
distraendoci con risposte di comodo.

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Ricorrenze

#1

Novembre è entrato alla tua uscita
per fumare e telefonare.
Ha posto due domande:
«Continuare fino alla fine?»
«Fermarsi al 23, mercoledì, ore 19 e 40?»

La pioggia mi sorprende a ridere
incredula della voce alla compieta,
preghiera esaudita, immagine nitida
nella sera incipiente. Poi la cena, per prassi.

Si è abbreviata la distanza dalla luna.
Nuovi eventi hanno permesso l’avvicinamento
e non occorre più rivolgersi ad alcuna agenzia.
Per esplorare il cosmo basta guardare la foto:
quella dove stringi tra le mani l’ultima ora del giorno.

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#2

«Dimmi cos’hai»
40 anni. Una penna. Fame.
Il libro degli astri. Un ricordo.
Scegli.

«E cosa vorresti?»
Un biglietto per l’Orient Express.

La voce legge Tranströmer:
un chiarore blu…una fessura
attraverso la quale i morti
passano clandestinamente il confine.
Mentre ci diluiamo con le ore della notte,
una lampada velata aspetta l’alba.

al buio

Mario M. Gabriele è nato a Campobasso nel 1940. Poeta e saggista, ha fondato nel 1980 la rivista di critica e di poetica Nuova Letteratura. Ha pubblicato le raccolte di versi Arsura (1972); La liana (1975); Il cerchio di fuoco (1976); Astuccio da cherubino (1978); Carte della città segreta (1982), con prefazione di Domenico Rea; Il giro del lazzaretto (1985), Moviola d’inverno (1992); Le finestre di Magritte (2000); Bouquet (2002), con versione in inglese di Donatella Margiotta; Conversazione Galante (2004); Un burberry azzurro (2008); Ritratto di Signora (2014): L’erba di Stonehenge (2016). Ha pubblicato monografie e antologie di autori italiani del Secondo Novecento tra cui: Poeti nel Molise (1981), La poesia nel Molise (1981); Il segno e la metamorfosi (1987); Poeti molisani tra rinnovamento, tradizione e trasgressione (1998); Giose Rimanelli: da Alien Cantica a Sonetti per Joseph, passando per Detroit Blues (1999); La dialettica esistenziale nella poesia classica e contemporanea (2000); Carlo Felice Colucci – Poesie – 1960/2001 (2001); La poesia di Gennaro Morra (2002); La parola negata (Rapporto sulla poesia a Napoli (2004). È presente in Febbre, furore e fiele di Giuseppe Zagarrio (1983); Progetto di curva e di volo di Domenico Cara; Poeti in Campania di G.B. Nazzaro; Le città dei poeti di Carlo Felice Colucci;  Psicoestetica di Carlo Di Lieto e in Poesia Italiana Contemporanea. Come è finita la guerra di Troia non ricordo, a cura di Giorgio Linguaglossa, (2016). Si è interessata alla sua opera la critica più qualificata: Giorgio Barberi Squarotti, Maria Luisa Spaziani, Domenico Rea, Giorgio Linguaglossa, Letizia Leone, Luigi Fontanella, Ugo Piscopo, Stefano Lanuzza, Sebastiano Martelli, Pasquale Alberto De Lisio, Carlo Felice Colucci,  Ciro Vitiello, G.B.Nazzaro, Carlo di Lieto. Altri interventi critici sono apparsi su quotidiani e riviste: Tuttolibri, Quinta Generazione, La Repubblica, Misure Critiche, Gradiva, America Oggi, Atelier, Riscontri. Cura il Blog di poesia italiana e straniera Isoladeipoeti.blogspot.it.
Angela Greco (nelle foto dell’articolo) è nata il 1 maggio del ‘76 a Massafra (TA), dove vive con la famiglia. E’ un perito agrario con alle spalle quattro anni di Medicina Veterinaria. Ha pubblicato: in prosa, Ritratto di ragazza allo specchio (racconti, Lupo Editore, 2008); in poesia: A sensi congiunti (Edizioni Smasher, 2012 di cui è in preparazione la seconda edizione con prefazione di Flavio Almerighi); Arabeschi incisi dal sole (Terra d’ulivi, 2013); Personale Eden (La Vita Felice, 2015, con prefazione di Rita Pacilio); Attraversandomi (Limina Mentis, 2015, con ciclo fotografico realizzato con Giorgio Chiantini e nota introduttiva di Nunzio Tria); Anamòrfosi (in uscita per le edizioni Progetto Cultura di Roma con prefazione di Giorgio Linguaglossa). È presente anche in diverse antologie e in diversi siti e blog.

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18 pensieri su “Angela Greco, Fuori le mura, inediti con due note critiche e commenti

  1. Nota: i commenti, di cui ho scelto di riportare solo quelli critici, sono tratti dalla Rivista dove sono stati condivisi gli inediti qualche giorno fa. Grazie a tutti coloro che si sono fermati a leggere i miei versi.

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    § FLAVIO ALMERIGHI ha scritto: “Di quante parole ha bisogno un dialogo?” anche nessuna, ma sono indispensabili due interlocutori. Sono convinto sia questo uno dei punti nodali della poetica di questa ottima autrice, è molto evidente la sua preparazione e una non comune capacità di sapere risvegliare un tema come quello dell’assenza, un carsismo di cui si sa quale sia sorgente, ma non il punto di riemersione. (per dirla difficile)

    § VINCENZO PETRONELLI: “Complimenti per la tu opera, cara Angela; sinceramente non ti concoscevo e sono entrato in contatto con la tua poesia grazie all’opera sempre meritoria di Giorgio Linguaglossa e de “L’ombra delle parole”. Sono affascinato sia dalla folgorazione delle immagini che scaturiscono dalla tua poesia, quanto dalla tua incessante ricerca sulla parola, probabilmente anche sofferta per il travaglio che credo si accompagni ad un percorso così certosino, da vero demiurgo. Continuerò sicuramente a seguirti ed approfondirò ulteriormente la tua opera poetica.”

    § GINO RAGO: “Tra me e dio” è la prova poetica di Angela Greco che, più compiutamente delle altre, vibra all’unisono con le mie attuali corde. Tuttavia, Tutte le liriche oggi scelte e proposte da L’Ombra indicano senza dubbi né riserve mentali che un serio, appassionato e consapevole lavoro di ricerca ha sostenuto la modernissima esperienza di poesia di Angela Greco la quale si sta disegnando un suo sentiero nella fitta boscaglia della nostra civiltà poetica, come del resto ben segnalano sia Mario Gabriele sia Giorgio Linguaglossa nei loro acuti commenti.

    § LUCIO MAYOOR TOSI: Spero verrà presto il giorno in cui queste poesie, di Angela Greco, Francesca Dono e mettiamoci pure le mie, verranno considerate nella normalità di un modo particolare di concepire la poesia. Quel giorno si capirà che il supposto cambio di paradigma riguarda la poetica al suo interno; i parametri della critica tradizionale, ammesso che ve ne siano di certi, non ne risentiranno; solo si avrà giovamento per via delle nuove prospettive che si stanno aprendo. Finito il processo alle intenzioni, si tornerebbe a parlare di poesia e forma della poesia, di linguaggio e contenuto, fermo restando che qui il senso lo si ottiene per acrobazia – in taluni casi, di eccezionale volontà costruttiva, per sincera disperazione, o divertimento, all’atto esplosivo del nulla in miriadi di spazio-tempo – ma non c’è ragione di credere che generi e categorie, anche se trasfigurati, non resteranno gli stessi (intimismo, minimalismo, citazionismo, accompagnati o no da lirismo, surrealismo, cronachismo, sarcastico battutissimo o ironie del post modernismo, ma con un po’ di fantasia anche metriche e sonetti-smo, nonché lo slalomismo di alcuni velocisti del verso stretto): a parer mio non si avrebbe di che temere. La slogatura al linguaggio, come la perdita di memoria, non è dovuta alla pratica del frammento: è in atto già da tempo e per ragioni estranee alla poesia.
    Accade che la complessità, pur rifiutando la semplificazione, insegua la semplicità e la semplicità insegua la complessità; questo se si scrive consapevoli di stare nella poetica – da qui l’importanza della critica – altrimenti s’ha da aspettare che il vino giunga a maturazione. Però i segnali sono chiari, prova ne sono poesie come “Sonagli a Bali” di Francesca Dono, che mi è molto piaciuta, e qui, di Angela Greco, “Tra me e Dio” almeno nella prima parte, da “Di quante parole ha bisogno un dialogo? fino a “In quel preciso momento abbiamo smesso di parlare.” dove io mi sarei fermato e dal resto avrei ricavato altri componimenti. L’attitudine a tenere insieme l’album dei ricordi, pur gettando alle ortiche le date degli eventi, deriva dal bisogno personale di dare testimonianza e questo a parer mio crea il troppo. Con questo sottendo che l’oggetto poesia dovrebbe essere estraneo al corpo della madre che lo partorisce. Trovo invece convincente, perché privo d’intoppi, l’uso del verso libero; e anche la procedura per scatti fotografici, che non è nuova in sé ma è molto consona alla scrittura per frammenti (Linguaglossa docet). Ho apprezzato anche la presenza di alcune metafore spontanee come “cicatrice ombelicale da disinfettare” ma una lettura approfondita seguendo questa direzione non l’ho ancora fatta (però interiorizzando Tranströmer si eviterebbe il pericolo di trascriverne i versi).
    Mi scuso con Angela per il parallelismo con Francesca Dono, la quale a ben vedere avrebbe altre caratteristiche. Ciò è dovuto unicamente al fatto che i due articoli sono stati proposti in successione. Comunque l’autorevolezza di Mario Gabriele basta a inquadrare il tutto, specie dove scrive: “E’ un reportage multiforme, coloristico, percepibile come illuminazione del momento nel tentativo di scoprire l’attimo ineffabile, fluidificante fra soggetti e oggetti”; ma parla anche di “effetto di superficie” armonizzante, fatto questo per nulla da sottovalutare, anche perché appartenente a nuovi strumenti di critica: quelli di cui parlavo sopra, anche se io interpreto i suoi aut aut, di Gabriele, come incoraggiamento al nuovo.

    § ANTONIO SAGREDO: l’autrice massafriana o massafrese descrive quasi poeticamente tipici “interni” meridionali, ai quali fanno da sfondo riflessioni metafisiche del quotidiano esistere/non esistere. Il canovaccio “eventuale” (o “eventivo” :da eventi?) si srotola per geografie o geofanie che trascendono il luogo natale: lo scopo è quello ben riuscito di sprovincializzare il cortile, di distruggere gli steccati che parevano indistruttibili a causa della stratificazione di linguaggi indigeni come fossili. Per cui la Greco merita attenzione primaria.

    § STEVEN GRIECO-RATHGEB: Questa è una poesia senz’altro interessante, lontana di mille anni luce dalle raccolte che questa stessa poetessa mi fece vedere nel novembre 2015, poco più di un anno fa. Un cambiamento così repentino e radicale da lasciare letteralmente stupefatti. Come leggere due poetesse diverse. Deve essere questo dunque l’effetto trainante della nuova poesia per frammenti sui poeti più giovani: che quasi ci lascia intravedere ormai la formazione di una scuola che fa capo a Mario Gabriele e Giorgio Linguaglossa, seguiti da vicino da Lucio Mayoor Tosi.
    Io ho sempre detto che i poeti giovani devono essere trainati, tutte le fatiche dei poeti più grandi sono inutili se non risvegliano l’interesse di quelli giovani.
    Ed ecco che questa cosa sta succedendo.
    Più di ciò per il momento non mi sento di dire. Il necessario è già stato detto nei commenti critici di Gabriele e Linguaglossa, Anche Mayoor Tosi caratterizza la poetica per frammenti in modo del tutto felice.
    Ci troviamo ad un bivio un po’ pericoloso, e le poesie della Greco ne sono il chiarissimo sintomo.
    Dove andrà la poetica per frammenti da qui?
    Penso che la Nuova Poesia e la poetica per frammenti non siano esattamente la stessa cosa. Anzi, già inizia a vedersi un divario fra i due, foriero però anch’esso di nuove suggestioni, nuove potenzialità.
    Grazie della lettura.

    *********

    Per onestà riporto anche l’unico intervento in cui appare un’ombra non riferita ai miei versi, ma alla mia persona:

    ANGELA GRECO: “Bisogna avere rispetto per chi fa un commento, anche se critico, anzi dobbiamo imparare ad accettare e arricchirci dai commenti intelligenti anche se non sono trionfalistici.” (G.Linguaglossa – cit. da un altro articolo) – Esatto. Hai scritto benissimo, caro Giorgio.Ma bisogna farli i commenti. Il silenzio è censura. Speravo di leggere qualche tua parola anche nei commenti ai miei inediti. Invece?

    GIORGIO LINGUAGLOSSA: Cara Angela,
    io e Mario Gabriele, insieme, in due, cosa mai avvenuta nell’Ombra, abbiamo composto per te una presentazione critica alla tua poesia e non ti basta? dovremmo commentare che cosa? il nostro commento? – Cerca di essere un po’ più umile, Angela, quella umiltà che tu reclami negli altri non fa parte del tuo bagaglio spirituale, vedo.

    ANGELA GRECO: può notarlo chiunque che tu anche laddove vi siano le tue note introduttive, partecipi sempre nei commenti… O sbaglio pure in questo? Il mio bagaglio spirituale in questa sede non può essere chiamato in causa, né compreso da un messaggio sull’umiltà altrui che ho scritto. Sia chiaro.

    **********

    1. Flavio io, invece, sottolineo la tua gentilezza nell’aver voluto lasciare un commento anche in questo mio luogo. Come ormai so per certo, sono alcuni gesti, che fanno la differenza. Grazie!!

      Riporto con vero piacere anche la mia risposta al tuo commento:

      “carsismo” basterebbe a dire di me e delle mie salde radici pugliesi.
      Grazie, Flavio, perché il tuo commento è espressione diretta della tua capacità di dire sempre quello che pensi senza favoritismi o affezioni particolari. Caratteristica, questa, che mi fa stimare ed apprezzare le persone.

  2. Nadia Rosati, che ringrazio di cuore per la sua sensibilità, ha scritto:

    “Si entra in punta di mente nel tuo labirinto incantato e si esce pieni di parole che chiamano indietro per rileggere su i muri ciò che s’era perso e portare via un poco di te, lasciandoti intera”

  3. Leggendo i versi di Angela Greco si ha l’impressione che siano essi ad inseguirla e a ( felicemente ) fagocitarla e non il contrario . Angela Greco è “agìta ” dal linguaggio pur sapendolo gestire egregia(mente) . L’interlocuzione esperisce – linguisticamente – continui passaggi dall'”io” al “tu”, al “noi”, che , anche se meno presente , ben si attesta a dimostrare la capacità di oggettivare il discorso , tenendosi lontano da narcisismi e dintorni . Insomma siamo lontani da qualsiasi spontaneismo creativo , proprio perché è solo e sempre il linguaggio che “batte cassa” sulla modernità e l’acribia di questa poesia ; con Angela che paga ma anche riscuote , almeno presso i lettori più avvertiti .

    1. Carissimo Leo, prima di tutto grazie del commento critico così bene assestato, come un colpo preciso. Anche ai tempi di Personale Eden lessi di me che venivo letteralmente inseguita dalla Poesia e a volte, sinceramente, avverto nitidamente che sia lei stessa, la Poesia a farmi girare nella sua direzione posandosi mano sulla mia spalla, e a costringermi al tavolo con tastiera o penna che sia.
      Angela paga e va benissimo, se poi dobbiamo ritrovarci tra amici che si stimano sinceramente 😉

  4. Grazie Mirella per la lettura e per aver evidenziato qualcosa di specifico e significativo: “percorso”.
    Perché di fatto la scrittura e la poesia in particolare, per me è un cammino, un prosieguo, una ricerca continua. Un abbraccio 😀

  5. § KARTINE : Ciao, spero con il mio linguaggio strettissimo di farmi capire non tutto é necessario tenere,ogni volta che scatti riguarda “Novembre é entrato alla tua uscita”é forte va bene.

    AnGre: Grazie per il suggerimento 😀 La poesia il più delle volte lavora giustamente per sottrazione, ma può esserci anche un certo tipo di poesia maggiormente narrativa. Occorre chiedersi (e lo chiedo a me per prima anche) se il dettaglio è funzionale o semplice barocchismo. Le mie narrazioni in versi sono letteralmente storie vere a cui è necessario il dettaglio, ad esempio una data o un colore, che di fatto nella microimmagine, ad una certa lettura può apparire superficiale, invece nella macro immagine, nel testo o nel contesto completo ( le mie non sono mai singole poesie) assumono anche simbologia e significato differente, quando non diventano addirittura metafore. É una mia caratteristica, nulla di che, esternata fin dal mio primo poemetto. Un caro saluto e grazie per la lettura!

    § LUCIO MAYOOR TOSI: “Per esplorare il cosmo basta guardare la foto:
    quella dove stringi tra le mani l’ultima ora del giorno.”

    Scelgo questo verso per dirti: brava!
    Credo che pochissime persone al mondo siano immuni alla chiacchiera, io non sono tra queste. Ho bisogno di tempo per aspettare il momento dell’incontro e della comprensione. La chiacchiera porta a dire che i versi nel frammento sono accostati “come viene”. Ed è così, ma la chiacchiera porta in sé un giudizio che nulla a che fare con la comprensione: il giudizio è un derivato che l’oscura. Il momento è difficile, si traballa un po’. Ciao

    AnGre: Lucio, sorpresa e felice della rilettura, Grazie! I due versi che hai scelto sono una sintesi incredibile e terribile di un incontro con qualcuno che non sentivo da anni. Il cosmo è semplicemente tutto quello che non disse…

    § MARIELLA COLONNA: Carissima Angela,
    molto interessante anche questa serie di commenti che testimoniano quanto sia apprezzata la tua poesia. Io mi inerrogo sulla tua capacità e di ‘inchiodare i momenti del vissuto anche quotidiano perché restino lì e il tempo non li distrugga: tu li scolpisci con il linguaggio della poesia come se usassi il bulino e altri strumenti materiali ( l’obbiettivo fotografico )…eppure riesci a non pietrificare la vita con le parole. Devo ancora capire come fai a rendere eterno ciò che è caduco senza trasformarlo in lapide commemorativa. Per quanto riguarda me…è il mio timore più grande e ringrazio Giorgio per la forte spinta che mi ha dato nella direzione della nuova ontologia e della quadrimensionalità.

  6. Trovo semore intetessante e liberatorio seguite percorsi nella scrittura che portino fuori dai consueti schemi in cui a volte un autore può essere costretto. In questo caso il taglio volutamente fotografico amplifica il senso della parola che diventa protagonista di uno spazio scenico allargato, privo di confini ai quali spesso siamo costretti dai nostri stessi trascorsi poetici.

    1. Grazie Mirella per la lettura e per aver evidenziato qualcosa di specifico e significativo: “percorso”.
      Perché di fatto la scrittura e la poesia in particolare, per me è un cammino, un prosieguo, una ricerca continua. Il passato poetico ho constatato essere per molti, in effetti, una sorta di recito sicuro entro cui sostare… Io, per carattere, pur essendo assolutamente stanziale come persona, non amo in poesia sostare troppo a lungo da nessuna parte. Non per insicurezza, ma per quella voglia di conoscenza e ricerca (non sperimentazione) che in questo campo mi anima, seguendo fisiologicamente l’evoluzione dei bambini quando scoprono il gioco serissimo della scrittura 😉

  7. § NICOLA ROMANO: Nei tuoi versi, I repentini scarti delle immagini tengono sempre desto il lettore, che viene così introdotto dentro un surrealismo che gradualmente conduce verso ambientazioni oniriche…

    § FRANCA ALAIMO: Non il celeberrimo flusso di coscienza, ma un flusso di immagini recuperate, sovrapposte, confrontate, in una sorta di infinito gioco di specchi in cui si perdono i confini spazio-temporali, nonostante le date, i luoghi precisati: date e luoghi che, pur essendo reali, allo stesso tempo sembrano appartenere ad una dimensione mitico-onirica, ad ogni possibile dove e quando.

    § ROSELLINA LI VIGNI: Un linguaggio poetico denso ed essenziale al tempo stesso che esprime bene il cammino felicemente (e faticosamente) percorso.Mi ha colpito tanto Ricorrenze !

  8. § ALFREDO DE PALCHI: Entro nella scrittura di Angela Greco senza leggere gli scritti di Mario Gabriele e Giorgio Linguaglossa, con i quali non saprei criticamente competere. Li leggerò con i commenti dopo.
    Guardando i testi ho l’impressione di dover leggere poesia formale, specialmente narrativa. Il passato remoto in poesia non va, non ha l’urgenza che è anche poesia. Leggo e subito mi colpisce la straordinaria continuità, complicata da stacchi ad immagini. È l’insieme comprensibile? o incomprensibile? Che importa, il presente storico ci dà il senso istantaneo della storia che l’autrice dice, non narra e non spiega. L’esempio, “Tra me e dio” c‘è tutto per il credente, e niente per l’agnostico quale io sono. Sospetto che sia l’antropoide stesso il dio, il malefico presuntuoso; sì, tra me e lui, c’è lo specchio in frantumi della sua immagine, e la viltà del suo offrire sacrifici di tori a se stesso. E perché di animali dall’epoca primigenia ? La risposta è che per costituzione l’antropoide è vile. La creazione di Angela, in queste tre poesie, è coerentemente forte.

    § AnGre: Grazie di cuore, Alfredo, per la lettura e per aver citato la composizione a me più cara insieme con il richiamo al Toro, archetipo e nonché mio segno zodiacale di cui sono rappresentante da manuale per passioni primarie, testardaggine e senso del possesso. Le note di Mario Gabriele e di Giorgio Linguaglossa a me sono risultate consone e precise e le ho molto apprezzate, pur essendo anche io nella condizione di non raggiungibilità delle stesse dal punto di vista critico. Sottolineo del tuo commento anche il richiamo alla coerenza – “coerentemente forte” – e alla creazione, sorridendo felice di leggermi figlia di mio padre nella prima e confidando sempre che non m’abbandoni lo spirito della seconda. Un abbraccio forte e ancora grazie.

    1. caro Lorenzo, metti in evidenza con mia gioia un aspetto particolare dei miei versi e della mia persona 😀 Il pudore e la ritrosia nel parlare di alcune persone, come mio padre ad esempio, in alcuni di questi versi, fanno parte del mio carattere, cresciuto in un ambiente d’altri tempi. Tempi differenti sicuramente rispetto a questi in cui viviamo, nei quali sembra che non vi sia più alcun velo non già che nasconda, quanto piuttosto che non lasci che subito si veda qualcosa…

      grazie

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